Trascinato in catene negli uffici della Questura, a Palermo, all’alba dell’11 marzo è rinchiuso all’Ucciardone. La sua carcerazione «preventiva» dura un anno e mezzo.
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie si focalizza sulle storie di Pio La Torre, di Carlo Alberto dalla Chiesa, di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Sui delitti e sulle stragi di trenta e quarant'anni, che hanno sconquassato la Sicilia.
«Da Polizzello si difende la Sicilia», è il grido dei contadini siciliani che invadono i latifondi abbandonati da nobili, tutti andati in città a dilapidare gli ultimi avanzi dei loro patrimoni. Il 10 marzo 1950, Pio La Torre è alla testa di un corteo di seimila uomini, donne e bambini. Quella mattina, si prendono i duemila ettari del feudo di Santa Maria del Bosco del barone Inglese.
Di sera, quando i braccianti tornano nelle loro case a Bisaquino, vengono circondati da tre colonne di poliziotti e carabinieri. Avanzano minacciosi.
Su ordine del prefetto Angelo Vicari, si mettono a sparare. È un’imboscata. Sassaiole, scontri, c’è qualche ferito, in molti riescono a fuggire, in centottanta vengono fermati. Fra loro c’è Pio. È circondato dai poliziotti, gli sputano in faccia.
Trascinato in catene negli uffici della Questura, a Palermo, all’alba dell’11 marzo è rinchiuso all’Ucciardone. Quattro giorni dopo, il 15 marzo, il direttivo provinciale della Federterra si riunisce ed elegge segretario «per acclamazione il compagno Pio La Torre, arrestato a Bisaquino nel corso delle recenti lotte ed attualmente ancora detenuto nelle prigioni del ministro Mario Scelba».
La sua carcerazione «preventiva» dura un anno e mezzo.
Nei camminatoi dell’Ucciardone incrocia i ceffi della banda Giuliano, gente che – nel consegnarsi allo Stato – ha avuto la promessa dall’Ispettorato generale di Pubblica Sicurezza di poter espatriare «all’America». Dopo la resa, però, li schiaffano nel carcere borbonico, davanti al porto di Palermo. Uno è Frank Mannino. Un altro è Antonio Terranova che tutti conoscono come «Cacaova». All’Ucciardone c’è anche Gaspare Pisciotta, il cugino traditore di Salvatore Giuliano, il bandito che sulle colline di Montelepre si è autoproclamato «colonnello» dell’Evis, l’Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia.
Il primo colloquio con sua moglie – Pio e Giuseppina si sono sposati il 29 ottobre del ’49, quattro mesi prima l’occupazione del feudo di Bisaquino – riesce a ottenerlo dopo sessanta giorni in cella di isolamento. È dietro una porta di ferro, per parlare con lei deve incastrare la testa fra le sbarre. Giuseppina è sconvolta. Aspetta già un figlio, Filippo, che nasce il 9 novembre del 1950.
Pio La Torre lo vede per la prima volta nel cortile alberato dell’Ucciardone, tenuto in braccio da una guardia carceraria e infagottato in un sacco di tela. Passano altri mesi e Pio La Torre resta in galera. Abbandonato, dimenticato anche dai suoi compagni di partito. Dentro il Pci siciliano la lotta è aspra. Da una parte la dirigenza regionale con il segretario Girolamo Li Causi, dall’altra la Federazione provinciale di Palermo con Pancrazio De Pasquale, Pio La Torre e altri giovani compagni.
Il primo è accusato di interpretare una linea eccessivamente parlamentarista, gli altri di essere troppo «movimentisti», di pensare solo all’occupazione delle terre, di guardare con simpatia anche a Danilo Dolci, il sociologo pacifista, il sognatore, l’agitatore sociale appena sceso da Trieste per mettersi a capo delle rivolte con i suoi scioperi “alla rovescia” in tutte le campagne della Sicilia occidentale.
Lo scontro è duro. A Palermo si riunisce il comitato regionale, presente anche il vice segretario nazionale Pietro Secchia. È un processo in puro stile staliniano. Contro Pancrazio De Pasquale e tutti gli altri che, nel partito, la pensano come lui. Sono incolpati di «attività frazionistica». De Pasquale viene destituito da segretario della Federazione. Lo spediscono prima alla «scuola di partito» a Frattocchie, poi a Genova. In esilio. Pio La Torre resta solo. E sempre in galera.
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