Per comprendere la profondità di quel conflitto, che emerge pubblicamente per la prima volta in tutta la sua asprezza attraverso le pagine dei diari di Falcone, è utile ricostruirlo attraverso le parole dello stesso Giammanco e quelle di segno opposto degli altri magistrati palermitani ascoltati dal CSM nel luglio del ’92
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata al depistaggio sulla strage di via D’Amelio, nella quale morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
“Per prima cosa ne parlerò all’Autorità Giudiziaria” dice Borsellino, ma l’esplosivo di via D’Amelio compirà il suo lavoro prima che ciò possa avvenire.
Come ci portano i diari di Falcone al depistaggio sulla strage di via D’Amelio? Certamente ci aiutano a definire un contesto ambientale (la procura di Palermo) ed un conflitto professionale (quello che oppone, come detto, il procuratore Giammanco prima a Giovanni Falcone, poi a Paolo Borsellino). Ed entrambi, contesto e conflitto, incideranno sull’isolamento di Borsellino e sul successivo sviamento delle indagini di via D’Amelio.
Per comprendere la profondità di quel conflitto, che emerge pubblicamente per la prima volta in tutta la sua asprezza attraverso le pagine dei diari di Falcone, è utile ricostruirlo attraverso le parole dello stesso Giammanco e quelle – di segno opposto - degli altri magistrati palermitani ascoltati dal CSM nel luglio del ’92 (sulla genesi di quel ciclo di audizioni riferiremo a breve).
In prima battuta è il procuratore generale di Palermo Bruno Siclari a cercare di gettare acqua sul fuoco su alcune delle accuse più dirette rivolte da Giovanni Falcone a Giammanco, come accade ad esempio per il caso “Gladio”, o ancora laddove il giudice Falcone aveva scritto: “…(Giammanco) ha sollecitato la definizione di indagine riguardanti la Regione al Capitano De Donno (procedimento affidato ad Enza Sabatino) assumendo che altrimenti la Regione avrebbe perso finanziamenti, ovviamente qualche uomo politico gli ha fatto questa sollecitazione ed è altrettanto ovvio che egli prevede un archiviazione e che solleciti l'ufficiale dei Carabinieri in tale previsione (intorno al 10 dicembre 1990)”.
Evasivo Giammanco durante la sua testimonianza al CSM:
GIAMMANCO già Procuratore della Repubblica di Palermo. Ho sollecitato perché la collega per più di un anno si è tenuta un fascicoletto di atti relativi, che teneva bloccato un appalto. Si trattata di un appalto già concesso dalla Regione ad una grossa società di progettazione, che avrebbe fatto perdere, credo, 54 o 64 milioni. L’ho sollecitato, certamente non perché mi sia mai stato sollecitato da nessuno…
Il racconto della pm Sabatino
Diversa la versione offerta dalla dottoressa Enza Sabatino che conferma la veridicità dell’annotazione di Giovanni Falcone: era stata la Presidenza della Regione a contattare Giammanco.
SABATINO, sostituto procuratore generale presso la Corte d’ Appello di Palermo. Successe che un giorno il procuratore ha voluto questo fascicolo… Dopo di che mi chiamò dopo un po’ di giorni… mi disse: «se vieni nella mia stanza» e mi ha detto: «ho visto questo fascicolo», io mi meravigliai, «dalla Presidenza della Regione vogliono sapere se si chiude, perché ci sono problemi, praticamente problemi di finanziamenti…» e mi chiese che cosa intendessi fare. Gli dissi che intendevo fare delle indagini… Allora lui: «vedi di fare presto».
Per Giammanco, in ogni caso, quei diari di Falcone non sono un problema: la sua reazione è quella di minimizzarli usando toni sprezzanti.
GIAMMANCO, già Procuratore di Palermo. Quanto al cosiddetto “diario” che è stato pubblicato, le pochissime annotazioni che mi riguardano… sono relative a circostanze assolutamente di basso profilo, veramente banali, appaiono con ogni evidenza quale espressione di reazioni umorali che non potevano che essere passeggere, tra persone che collaboravano, quasi uno sfogo che (Falcone, ndr.) dopo un po' non poteva non dimenticare. È inverosimile, difatti, conoscendo il suo carattere franco e leale, che egli scrivesse o dicesse in giro, qualcosa solo per giustificare con una certa area politica il proprio allontanamento da Palermo.
Per Giammanco non c’erano problemi
Insomma, quelle di Falcone sarebbero “reazioni umorali passeggere”, propalate solo per giustificare la sua scelta di accettare l’incarico romano. Il clima era invece di “collaborazione”; il rapporto, “franco e leale”.
Falso. Ascoltiamo Roberto Scarpinato, Vittorio Teresi e Teresa Principato.
SCARPINATO, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello Palermo. Partirei dall'ultimo giorno in cui Giovanni Falcone sta in procura. C’è una riunione alla quale partecipa il procuratore Giammanco… eravamo in cinque o sei e Falcone dice in tono acceso al Procuratore Giammanco: «io non condivido il tuo modo di gestire l’ufficio». (…) Giovanni Falcone lamentava il fatto di essere, come dire, bypassato, in momenti cruciali o da lui ritenuti cruciali, nella gestione di alcuni processi… I problemi venivano da lui avvertiti quando si passava dalla normale amministrazione, tra virgolette, in materia di mafia, a livelli superiori. E per esempio il caso Gladio…
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TERESI, già Procuratore aggiunto a Palermo. Ero consapevole, per essere molto vicino a Giovanni e ad altri colleghi che con lui e con me lavoravano, che non c'era proprio un'identità di intenti nella gestione generale e nel coordinamento dei processi di mafia all'interno dell'ufficio.
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PRINCIPATO, Procuratore aggiunto di Palermo. Io ricordo che Giovanni Falcone, nella sua stanza, mi disse: «Hai visto che cosa succede? Io sono stato totalmente esautorato. Io in questa procura non ho cosa più cosa fare, anzi, io me ne vado e vi raccomando una cosa, andatevene anche voi, perché la vostra presenza qui non fa altro che legittimare questo sistema, di mettere il coperchio a questa situazione, che invece prima o poi dovrà esplodere».
Toccherà alla professoressa Maria Falcone offrire ai consiglieri del CSM spunti di riflessione di straordinaria rilevanza: certifica l’ostruzionismo patito dal fratello e, soprattutto, il fatto che quest’ultimo ritenesse Giammanco politicamente un intoccabile.
MARIA FALCONE. Giovanni diceva spesso questa frase: «io non posso competere con gli appoggi politici di Giammanco, io sono un magistrato soltanto… che vuole fare il suo dovere e che spesso sono stato sconfitto nelle varie contese»
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