La mattina del 30 marzo 1995 l’anziano parroco venne trovato nella sua canonica sdraiato sul letto, “incaprettato” (mani e piedi legati da una corda che passava anche intorno al collo), con un cerotto intorno alla bocca, massacrato di botte; la morte era stata provocata dalla sua stessa dentiera che gli si era conficcata in gola in seguito ad un potete colpo.
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alle persone meno note uccise dalla mafia e il cui numero cresce di anno in anno. Dal 1961 si contano circa 1031 vittime innocenti.
La figura del parroco ricopre spesso, nei paesi italiani, come un ruolo importante per la comunità, diventando punto di riferimento per i cittadini. Ad esso si rivolge chi ha problemi, dubbi, riflessioni o, a volte, anche segreti da confidare.
Lo sapeva bene Don Cesare Boschin, nato a Trebaseleghe, in provincia di Padova, l’8 marzo 1914 e ordinato sacerdote all’età di 28 anni, quando, dopo aver esercitato il suo magistero in molti paesi del nord Italia, venne collocato a Borgo Montello, frazione del comune di Latina, dove rimase per 40 anni.
Nel paese laziale la comunità aveva bisogno di parlare, confidarsi, ma anche confrontarsi con chi aveva rapporti e amicizie potenti. Don Cesare era perfetto, potendo vantare rapporti con alti esponenti della Democrazia Cristiana romana ed essendo sempre disponibile ad aiutare chi aveva bisogno.
I cittadini erano preoccupati per certi movimenti strani e certi odori sospetti che provenivano dalla zona della discarica. Ma non potevano parlare apertamente, non solo perché i gestori delle discariche sovvenzionavano i partiti, le associazioni, i giornali e le squadre di calcio della zona, ma anche perché la gestione dei rifiuti nel territorio era notoriamente in mano alla Camorra. La potente organizzazione mafiosa, infatti, aveva posto in Lazio una delle sedi dei suoi traffici illeciti, che le procuravano fiumi di denaro sporco.
Don Cesare Boschin, di fronte alle inquietudini dei suoi fedeli, non rimase inerte; non avrebbe potuto, lui non era fatto così. Quando vedeva un’ingiustizia, interveniva; quando i suoi concittadini avevano bisogno, lui li aiutava, qualunque fosse il problema. E non si tirò indietro nemmeno davanti al traffico di rifiuti tossici, altamente inquinanti e pericolosi per la salute umana, gestito dai clan camorristi a Borgo Montello. Nonostante gli ottant’anni d’età e il cancro ai polmoni, sostenne il comitato cittadino che aveva l’obiettivo di chiedere un intervento pubblico sulla discarica e prese appunti, numeri di targhe, orari, nomi di aziende che trasportavano rifiuti e scattò fotografie. Sollecitò l’intervento della politica e si rivolse persino al capitano dei carabinieri, rivelandogli quanto aveva saputo: tutto inutilmente. Espresse tutta la sua preoccupazione e il suo disappunto anche dal suo pulpito, in chiesa, la domenica, durante la messa, davanti a tutta la comunità locale e a quegli stranieri, sempre più numerosi, dal forte accento meridionale, che si stavano trasferendo nella zona.
Per il suo attivismo, per il suo non volersi fermare davanti a niente, nemmeno di fronte alle intimidazioni, alle minacce, ma anche per le sue aperte prese di posizioni anti Camorra, Don Boschin venne atrocemente punito.
Legato come un capretto
La mattina del 30 marzo 1995 l’anziano parroco venne trovato nella sua canonica sdraiato sul letto, “incaprettato” (mani e piedi legati da una corda che passava anche intorno al collo), con un cerotto intorno alla bocca, massacrato di botte; la morte era stata provocata dalla sua stessa dentiera che gli si era conficcata in gola in seguito ad un potete colpo. Nella sua stanza, messa a soqquadro mancavano soltanto le sue agende, il frutto di tutte le sue ricerche, mentre al loro posto erano le piccole somme di denaro che conservava.
Le indagini batterono dapprima la pista di un incontro omosessuale degenerato, poi si conclusero sommariamente dichiarando avvenuta un’aggressione a scopo di rapina ad opera di tre balordi polacchi poi rientrati frettolosamente nel proprio Stato. Il caso venne chiuso e, qualche anno dopo, i reperti raccolti nella scena del crimine vennero pure distrutti.
Dopo il tremendo omicidio, la popolazione perse il suo punto di riferimento e il comitato si sciolse: la malavita potè, indisturbata, continuare la sua attività illecita almeno per altri 20 anni, quando la dichiarazione di un pentito del clan dei Casalesi, Carmine Schiavone, fece accertare la presenza di pericolosi rifiuti tossici di derivazione industriale nella discarica di Borgo Montello, dando inizio, finalmente, a un’indagine. Vennero così motivati i tanti, troppi tumori di cui erano vittime gli abitanti del territorio e si riuscì a ipotizzare che cosa ci fosse sotto quella alta collina di un verde un po’ strano sorta in mezzo alla pianura.
Ad oggi, la discarica continua ad esistere, dopo essere stata persino ampliata mentre i responsabili del brutale assassinio del parroco sono ancora senza un volto e senza un nome, nonostante i continui appelli della famiglia Boschin perché chiunque sappia qualcosa, parli.
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