Questa è una storia dal triste epilogo, in cui comunque risuonano forti la tenacia, la passione, l’impegno civile che rendono grandi ogni racconto sui difensori della legalità. Tutte qualità in cui Renata Fonte ci è da grande esempio.
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alle persone meno note uccise dalla mafia, il numero cresce di anno in anno. A oggi si contano circa 1031 vittime dal 1961 a oggi.
La città di Nardò è quel tipico luogo della Puglia dove si rimane incantati dal candido innalzarsi di strutture barocche, contaminate dallo scorrere dei periodi storici che hanno lasciato nell’arte i propri elementi, rendendo le chiese, le piazze, i vicoli, un calderone di segreti che si nascondono tra i fregi e i porticati e che scompaiono nei chiaroscuri delle facciate dei palazzi.
A pochi minuti di camminata da un centro ornato da così tanta luminosa bellezza, avvicinandosi di appena un chilometro al mare, si incontra invece un posto più grigio, se non per colore, almeno per l’umore dei suoi frequentatori. Si tratta del cimitero comunale di Nardò. Come ogni cimitero un museo di storie di vita, giunte al termine dopo amorevoli anni da nonni, dopo giovani incidenti da ragazzi o dopo gravose malattie di ogni età. In questo labirinto di pietra e fiori, una tomba porta una foto che in moltissimi, se non tutti, hanno visto almeno una volta nella città di Nardò.
È bene precisare che la lugubre popolarità che rende l’immagine di un morto immediatamente riconoscibile in alcuni paesi, è in genere riservata a due categorie di esseri umani: i boss della mafia e gli uomini e le donne che per la loro mano hanno perso la vita.
Il nostro caso è quello di una giovane donna, trentatré anni, un fiore tra i capelli e la determinazione di chi vuole far bene il proprio lavoro. Il suo nome è inciso in ogni pietra, soffia sulle spiagge ioniche ed aleggia sulle rocce frastagliate, si adagia e protegge ogni indomabile albero o cespuglio che dona libertà, profumo e bellezza al parco naturale di Porto Selvaggio. È per lui che Renata Fonte ha lavorato con dedizione, è per questo che è stata uccisa.
Nata nel 1950, i suoi numerosi spostamenti nelle diverse parti d’Italia non avevano arrestato la sua volontà di tornare in quella Nardò che le aveva dato i natali, dove poi la sua passione per la politica si era affermata, portandola ad emergere tra le file del locale Partito Repubblicano Italiano, fino ad essere eletta consigliera ed assessora alla Cultura del suo comune nel 1982.
Mossa dall’entusiasmo e dall’onestà che poneva in ogni azione e scelta che aveva a cuore, uno dei suoi obbiettivi primari una volta acquisito il ruolo pubblico era quello di salvaguardare l’inestimabile patrimonio naturale delle sue terre, da tempo nel mirino delle speculazioni edilizie e di interessi sporchi, che male si sposavano con gli spazi incontaminati di Porto Selvaggio.
Difatti quel fazzoletto di costa colorata di verde, rossastro ed azzurro, per alcuni doveva essere sommerso dal cemento di un nuovo lussuoso residence, che avrebbe dovuto ergersi nell’area protetta. Una qualche struttura alberghiera ingombrante e snaturante per i territori brulicanti di indisturbati gioielli di flora e fauna.
Chi avrebbe dovuto proteggere questi progetti distorti, era il primo dei non eletti: il collega di partito ed avversario di Renata nella corsa all’assessorato, Antonio Spagnulo. Egli avrebbe dovuto assicurare tacitamente le volontà di quanti cercavano di arricchirsi attraverso quel territorio, mentre per l’assessora Fonte questo era un progetto assolutamente inammissibile, che lei ostacolava senza cedimenti e compromessi, dotata com’era di incorruttibilità e perseveranza. Lottava dunque per le ragioni e per la tutela del territorio e della cittadinanza tutta, invece che per il riempirsi delle tasche di pochi.
C’era dunque solo un modo che garantisse l’arrendevolezza di queste qualità, ed era la violenza.
Uccisa a 33 anni
Nella notte del 31 marzo 1984, in conclusione di una riunione della giunta comunale, Renata si apprestava a rientrare nella propria casa, dove la attendeva la sua famiglia. Ma quella sera, invece del calore del focolaio, è arrivata la sua fine, cruda ed ingiusta. Tre colpi di pistola, un’esecuzione e niente più.
La morte non sfoggia fronzoli: solo tre spari e l’ultimo respiro. Non è stato però un destino senza rumore quello di Renata, perché, nonostante sia questa una considerazione triste e amara, è probabilmente il suo assassinio che ha salvato Porto Selvaggio. È per aver orchestrato la sua morte che i palazzinari, avidi e ingordi dei propri piani e ricavi edilizi, non hanno potuto raggiungere i loro sordidi risultati.
Tre anni dopo questo evento, furono formalizzate ben cinque condanne: tra esse spicca quella di Antonio Spagnolo, che subentrò nell’incarico di consigliere e assessore subito dopo la morte dell’assessora Fonte. Ottenne il massimo della pena per omicidio premeditato in ogni grado di giudizio (l’ultimo nell’88), è scomparso qualche giorno fa all’età di 92 anni portando con sé ombre e segreti di quell’omicidio che sconvolse la famiglia di Renata e il comune di Nardò
Questa è una storia dal triste epilogo, in cui comunque risuonano forti la tenacia, la passione, l’impegno civile che rendono grandi ogni racconto sui difensori della legalità. Tutte qualità in cui Renata Fonte ci è da grande esempio. Perciò, quando sarete in Salento, meta delle vacanze estive di migliaia di italiani ogni anno, e calpesterete il suolo ed ammirerete l’acqua cristallina del parco naturale di Porto Selvaggio, rivolgetele un pensiero e credete fermamente che sia così che nella vita si lotta e si cambiano le cose. E poi, infine, cercate quel cartello in legno che reciterà per sempre “Porto Selvaggio, a Renata Fonte”.
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