Mondo aveva già incrociato lo sguardo della morte due anni e mezzo prima, il 6 agosto 1985, quando in via Croce Rossa il gruppo di fuoco guidato da Antonino Madonia, Giuseppe Greco e Giuseppe Giacomo Gambino aspettò sotto casa il vicequestore Ninni Cassarà e lo finì con duecento colpi di kalashnikov.
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alle persone meno note uccise dalla mafia e il cui numero cresce di anno in anno. Dal 1961 si contano circa 1031 vittime innocenti.
«Papà quel giorno si era preso un permesso per stare con noi. Nel primo pomeriggio uscì di casa per andare a riaprire il nostro negozio di giocattoli, ma dimenticò il portafogli. Tornò indietro e citofonò. Mi avviai verso camera sua per recuperarlo e portarglielo e proprio in quel momento sentii il rumore di alcuni spari. Corsi verso mia madre chiedendole: “Ma papà sta provando la pistola?”. Non rispose, lei aveva capito. Ci affacciammo alla finestra e un uomo in strada esclamò: “Hanno ucciso Natale Mondo!”».
Una delle due figlie di Mondo, Dorotea, all’epoca era una bambina, ma a distanza di trentaquattro anni ricorda ancora nitidamente ogni istante di quel 14 gennaio 1988, quando nel quartiere Arenella, a Palermo - poco prima delle 16,00 - Salvino Madonia, Agostino Marino Mannoia e un terzo killer, mai identificato, posero fine alla vita di suo padre: Natale Mondo. Poliziotto, arruolato in Polizia nel 1972, prestò servizio a Roma, Siracusa, Trapani e Palermo. Nel capoluogo siciliano lavorò nella Squadra mobile, dove fu in prima linea nelle indagini sulle cosche mafiose.
Mondo aveva già incrociato lo sguardo della morte due anni e mezzo prima, il 6 agosto 1985, quando in via Croce Rossa il gruppo di fuoco guidato da Antonino Madonia, Giuseppe Greco e Giuseppe Giacomo Gambino aspettò sotto casa il vicequestore Ninni Cassarà e lo finì con duecento colpi di kalashnikov. Insieme a Cassarà perse la vita anche l’agente Roberto Antiochia, mentre Mondo si salvò miracolosamente. «Si salvo ma iniziò a morire quel giorno – spiega la figlia - quell’episodio lo segnò profondamente, non fu più l’uomo spensierato, sorridente e socievole di prima. Iniziò a convivere col senso di colpa di non essere morto insieme ai due colleghi e amici e soprattutto cominciò ad avere paura per mia madre, per me e per mia sorella Loredana, la più piccola. Il contraccolpo psicologico, poi, fu aggravato dall’inchiesta che venne aperta nei suoi confronti proprio a seguito di quel duplice omicidio».
Dopo l’omicidio di Ninni Cassarà
Dopo la strage di via Croce Rossa, infatti, Mondo venne indagato per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti, con l’aggravante dell’accusa di essere la “gola profonda” che avrebbe fornito informazioni a Cosa nostra sugli spostamenti di Cassarà, favorendone l’uccisione. «Visse quei fatti con profondo dolore ma con grande forza d’animo e fiducia nello Stato - spiega Dorotea Mondo - convinto che ne sarebbe uscito pulito e così fu».
Mondo venne scagionato da tutte le accuse grazie anche alla testimonianza della vedova di Ninni Cassarà e di altri colleghi, che spiegarono i suoi contatti con mafiosi dell’Arenella come parte di una normale attività da infiltrato. Queste informazioni, utili per scagionarlo, diventarono però - probabilmente - il movente perfetto per Cosa nostra, che portò a termine il suo piano di morte quel pomeriggio di gennaio proprio sotto casa sua.
«Non provo rancore o rabbia per la sua uccisione - spiega la figlia - so che è morto facendo quello che amava e lui per primo era consapevole del fatto che svolgere quel lavoro a Palermo, in quegli anni, significava mettere in conto anche la morte».
Il suo sacrificio gli è valso il conferimento postumo, per merito assoluto, della qualifica di assistente capo, oltre alla medaglia d’oro al valor civile.
[Per la realizzazione di questo articolo si ringrazia Dorotea Mondo]
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