È arrivata dalla diocesi di Bolzano-Bressanone la novità più importante nella gestione dei casi di abuso sessuale da parte di rappresentanti della chiesa cattolica in Italia. La diocesi, guidata dal vescovo Ivo Muser, ha commissionato un’indagine indipendente sugli abusi sessuali (dal titolo Il coraggio di guadare) avvenuti al suo interno dal 1964, data di creazione della diocesi di Bolzano-Bressanone, fino al 2023.

La ricerca è stata affidata agli avvocati dello studio legale Westphal, Spilker e Wastl di Monaco di Baviera, già autori di un’indagine analoga nella diocesi di Aachen (Acquisgrana, 2020) e nella stessa Monaco di Baviera (2022), ha collaborato con loro lo studio di Brunico Kofler Baumgartner & Partner, che ha offerto assistenza sul piano delle caratteristiche linguistiche, culturali e giuridiche locali.

Il lavoro, presentato nei giorni scorsi, è un notevole passo avanti per quanto riguarda l’accertamento dei fatti, l’assunzione delle responsabilità di fronte alle vittime e all’opinione pubblica e, soprattutto, il riconoscere che non si tratta di poche “mele marce”, cioè di casi isolati, ma di un problema sistemico della chiesa, strettamente connesso con le sue strutture di potere e con la visione di un’istituzione troppo chiusa in sé stessa che si percepisce ancora come una realtà separata rispetto al mondo esterno.

Le prime vittime

In base alla vasta documentazione contenuta negli archivi diocesani cui hanno avuto accesso i legali e alle testimonianze ascoltate, sono emersi 67 «quadri di possibili aggressioni sessuali» nei quali sono coinvolte 75 persone.

59 i casi di «abusi in prevalenza probabili o dimostrati» a cui vanno aggiunti 16 casi che «risultano ancora non chiariti». «Per quanto riguarda i chierici accusati – si legge nel rapporto – i relatori ne presumono 29 per i quali le accuse mosse sono dimostrabilmente vere o altamente probabili. Rispetto ad altri 12 chierici, le accuse formulate non hanno potuto essere invece giudicate con il necessario grado di certezza».

In totale, dunque, i sacerdoti chiamati in causa sono 41. Due gli aspetti che vanno sottolineati, in primo luogo quello relativo alle vittime: in tal senso il risultato ritenuto dai ricercatori «più sorprendente», anche nel confronto con le indagini dello stesso tipo condotte in primo luogo in Germania, «è consistito nella maggioranza, superiore al 68 per cento, di persone di sesso femminile tra le parti offese, laddove invece “solo” il 24 per cento delle persone interessate era chiaramente assegnabile al genere maschile».

Questo aspetto, si spiega, «è di particolare interesse sia per la Germania, dove a predominare nettamente era il numero» di vittime di sesso maschile, «che per l’Alto Adige e, come è presumibile, anche per l’Italia». A ciò si aggiunga che «tra le parti lese, sia di sesso maschile che femminile, di cui si sia potuta accertare l’età, la fascia significativamente sovrarappresentata è quella di età compresa tra gli 8 e i 14 anni, con un’incidenza rispettivamente del 28 per cento e 51 per cento, facendo sempre riferimento all’epoca del primo abuso». Ma i dati fin qui emersi non sono tutto: è presumibile, si spiega ancora, che vi sia «un alto numero di casi sommersi».

Preti rimasti in servizio

Accanto a questi dati, va poi collocato quello che possiamo considerare il cuore dell’indagine: ovvero il delinearsi di un sistema istituzionalizzato di coperture e insabbiamenti.

«L’accusa più grave rivolta ai responsabili della diocesi di Bolzano-Bressanone – si legge ne rapporto – riguarda l’ininterrotto impiego nella pastorale, talvolta senza restrizione alcuna, dei sacerdoti sospettati di abusi. Un totale di 15 sacerdoti ha continuato a poter prestare servizio nella pastorale nonostante le accuse esistenti, persino plausibili, mosse nei loro confronti, o la loro attività pastorale, quand’anche svolta in via solo ausiliaria, ha continuato comunque ad essere almeno tollerata».

In generale, osservano i relatori della ricerca, «la cattiva gestione dei casi di abuso sessuale è stata favorita, se non addirittura resa possibile, da svariati deficit sistemici, come ad esempio il cosiddetto clericalismo e, strettamente correlate ad esso, la paura e impotenza sistemiche nell’affrontare gli scandali interessanti l’istituzione ecclesiastica, fenomeni che nell’interesse della difesa dell’istituzione, soggettivamente ritenuta – suppostamente – prioritaria conduce ad assumere condotte quasi paranoidi rispetto alla trasparenza in realtà dovuta».

«A questo si aggiungono – prosegue la perizia - lacune di fondo insite nel diritto penale canonico, la correlata insufficiente cultura giuridica interna alla Chiesa e la carente prassi applicativa delle norme penali del diritto canonico in generale e nei casi di abuso sessuale in particolare».

Di fatto, l’indagine voluta dalla diocesi altoatesina rompe il tabù tutto italiano di non procedere a indagini indipendenti per verificare lo stato delle cose, per riconoscere le proprie responsabilità, per far emergere la realtà dei fatti, per quanto drammatica questa possa essere. Non solo, la Cei ha spesso difeso l’idea dei «casi isolati» per quel che riguarda la chiesa italiana, vale a dire la natura non sistemica degli abusi e delle coperture che li hanno permessi.

Deficit sistemici

Il vicario generale della diocesi, mons. Eugen Runggaldier, nel corso della presentazione del rapporto, da parte sua ha confermato che i casi di abuso nella chiesa si basano su deficit sistemici come la sessualità immatura, l'isolamento dei sacerdoti, le strutture clericali, la mancanza di una cultura dell'errore.

Per questo sarà rielaborato, ha detto, il quadro di regolamenti diocesani per affrontare i casi di abuso e la gestione dei fascicoli migliorata per garantire trasparenza e tracciabilità. In futuro, un catalogo vincolante di misure stabilirà chiare conseguenze in caso di accuse di abuso, mentre un nuovo sistema di monitoraggio garantirà il rispetto delle sanzioni e l'efficacia delle misure preventive.

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