Le due anime più forti del governo meloniano prendono di mira una Figc indebolita, invitando a ripetizione il presidente Gravina alle dimissioni. Dalla parte di Fratelli d’Italia l’assalto arriva da un deputato lucano
Le destre all'attacco per annettersi il calcio. L'esternazione con cui lo scorso mercoledì Salvini ha invitato alle dimissioni il presidente della Federazione italiana gioco calcio (Figc), Gabriele Gravina, non sono soltanto l'invasione di campo da parte di un ministro che avrebbe altro di cui occuparsi. Segnano piuttosto l’opzione di scalata a un’organizzazione il cui controllo può avere un peso molto rilevante negli equilibri politici del governo.
E proprio in tal senso andrebbero letti i pruriti calciofili del leader leghista, che in questo campo si segnala soprattutto per i cori contro i tifosi napoletani e per le foto con ultras milanisti pregiudicati. Perché il vero messaggio va nella direzione di Fratelli d’Italia e delle sue mire sul calcio.
Dai ranghi del partito di Giorgia Meloni è giunta in questi mesi una serie di attacchi contro l’attuale governo della Federcalcio. A condurli è stato il deputato Salvatore Caiata, che si sta battendo anche perché ritiene di avere diritto a un posto in Consiglio federale; ma intanto che si vede dar torto su questa pretesa non perde occasione per puntare contro la gestione di Gravina.
Pensare che questo pressing sia soltanto un’iniziativa individuale sarebbe da ingenui. E di sicuro non lo pensa Salvini, che infatti si iscrive alla lista di quelli che cannoneggiano la Figc. Ormai il vero bipolarismo italiano è tutto interno alla destra di governo. E il calcio è un suo campo d’espressione indiretta, magari anche perché lì tirarsi calci agli stinchi è cosa che può capitare.
Cravatte e decoro
Comunque la si pensi, per il deputato Salvatore Caiata l’estate 2023 è stata memorabile. Nella sua attività da parlamentare si è appuntato sul curriculum un atto di quelli che segneranno la storia di Montecitorio: primo firmatario di un ordine del giorno che impone in aula l’uso della cravatta agli uomini e impedisce a uomini e donne di indossare scarpe da ginnastica.
Da segretario della Commissione Affari Esteri della Camera, Caiata ha giustificato il provvedimento, approvato lo scorso 2 agosto, con «le esigenze di rispetto della dignità e del decoro dell’istituzione». Valori ai quali evidentemente tiene molto, allo stesso modo in cui tiene al seggio parlamentare. Quella attuale è la sua seconda legislatura a Montecitorio, conquistata da candidato di due liste diverse.
Anzi, a dirla tutta nella prima occasione una lista alle spalle nemmeno c’era. Perché il Movimento 5 stelle, che l’aveva messo in lista per le politiche del 4 marzo 2018, l’aveva già espulso prima ancora che si andasse al voto. Motivo: Caiata aveva omesso di comunicare alla dirigenza pentastellata di essere indagato da oltre un anno a Siena per presunto riciclaggio. E deve essere stato «il rispetto per la dignità e il decoro dell’istituzione» a farlo insistere nel portare avanti la candidatura anziché farsi da parte. Poi, una volta a Montecitorio, Caiata si è riposizionato a destra tornando alle origini, che lo hanno visto nel ruolo di coordinatore del Popolo della Libertà a Siena.
Da lì in poi alcune cose sono cambiate e altre sono rimaste identiche. A settembre 2022 Caiata è stato confermato in parlamento nelle liste meloniane. Quanto alle vicende giudiziarie senesi, la situazione non è mutata granché.
Il procedimento denominato “Hidden partner”, per il quale il pubblico ministero Siro De Flammineis ha chiesto il rinvio a giudizio del deputato e di altre dodici persone, ha subito lo scorso 14 settembre una battuta d’arresto procedurale che va a allungare i tempi. E poi c’è la questione che riguarda il Potenza calcio, cioè il motivo delle pretese federali avanzate dal deputato.
In Consiglio a prescindere
Caiata, che di Potenza è nativo, è stato presidente e proprietario della società lucana fra il 2017 e il 2022. La acquisisce in Serie D e la porta in Lega Pro. E una volta giunto nel calcio professionistico si piazza nel Consiglio della Lega che ha sede a Firenze.
La sua ascesa nella mappa del potere calcistico va in parallelo col crollo della sua popolarità presso i tifosi della squadra lucana, che lo contestano a più riprese. Lui non demorde e a febbraio 2021 prova anche a candidarsi come Consigliere Figc in quota Lega Pro.
Viene sconfitto da Alessandro Marino, presidente dell’Olbia, e da Giuseppe Pasini, presidente della Feralpisalò. Quindi a giugno 2022 cede la proprietà del Potenza. La sua avventura calcistica sembrerebbe finita qui, unitamente alle sue pretese. E invece no, perché le seconde rimangono vive e vegete.
A risvegliarle è la decadenza di Giuseppe Pasini dal ruolo di consigliere federale in quota Lega Pro. Motivo della decadenza è la promozione in Serie B del Feralpisalò. In casi del genere il regolamento della lega che rappresenta la Serie C parla chiaro: il consigliere federale decade e devono essere bandite elezioni suppletive per coprire il posto rimasto vacante. Invece Caiata non la pensa così.
E nonostante non sia più nel mondo del calcio da oltre un anno ritiene che quel posto in Consiglio federale tocchi a lui. A suo giudizio dovrebbe essere fatto valere un articolo dello Statuto Figc (il 26, comma 6) che parla di sostituzione del decaduto col primo dei non eletti. In Figc sostengono invece che quella via non sia automatica ma opzionale.
Chi ha ragione? Per adesso si può riportare il giudizio emesso lo scorso 17 ottobre (cioè un giorno prima che Salvini attacchi Gravina) dal Tribunale Federale Nazionale della Figc, che ha bocciato il ricorso di Caiata giudicandolo «improcedibile e, comunque, infondato nel merito».
Una stroncatura che vanifica tutte le esternazioni di un’estate che ha visto il portabandiera del dress code parlamentare impegnato a esternare contro la leadership della Figc. Per il momento non gli è andata bene, così come non particolarmente gradita deve essergli stata l’ingiunzione di pagamento che a inizio settembre gli è stata inviata dal Tribunale di Roma, Sezione Civile XVI: oltre 170mila euro per pendenze che risalgono al tempo in cui era proprietario del Potenza. Che autunno amaro dopo un’estate di glorie.
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