Secondo l’autorevole sito statista.com, circa metà degli americani scatta fotografie del cibo che mangia. Il dato si riferisce al 2017, e tutto fa pensare che la frazione sia ulteriormente cresciuta. Il fenomeno è mondiale, tanto da guadagnarsi pure una voce in Wikipedia, “Camera eats first” (la macchina fotografica mangia per prima). Potranno esserne esenti i primi esseri umani che abiteranno Marte o gli astronauti che compiranno viaggi interplanetari?

Fatichiamo a staccare gli occhi dal cellulare nei tre minuti tra una fermata della metro o del bus e l’altra, figuriamoci se nei sette mesi di viaggio verso il pianeta rosso non viene la tentazione di postare l’immagine di una pietanza extraterrestre. O di un gatto.

Cibo e gatti non sono il suo scopo principale, ma certo è che il nuovissimo sistema di telecomunicazione che la Nasa sta sviluppando rappresenterà una rivoluzione nelle comunicazioni per le missioni che attraverseranno lo spazio profondo.

Si chiama Deep Space Optical Communication, e mira a sostituire i collaudati sistemi via radio che difficilmente reggeranno gli enormi volumi di dati scientifici, immagini e video fondamentali per le future missioni. Il nuovo dispositivo si basa sul laser e, proprio come la fibra ottica sostituisce le vecchie linee telefoniche sulla Terra man mano che la domanda di dati cresce, esso consentirà un aumento da 10 a 100 volte della velocità della trasmissione dei dati in tutto il sistema solare.

Il prototipo attualmente in uso è installato sulla navicella Psyche, in viaggio verso un asteroide tra Marte e Giove. Proprio pochi giorni fa la Nasa ha annunciato un risultato che è una pietra miliare per questo progetto: la prima trasmissione verso la Terra di un video di 15 secondi in ultra-alta definizione da una posizione a circa 31 milioni di chilometri da noi, più o meno 80 volte la distanza tra la Terra e la Luna.

Nonostante abbia viaggiato da una tale distanza, gli scienziati della Nasa affermano che il video è stato trasmesso con una larghezza di banda maggiore di tante nostre reti internet e che il risultato spiana la strada alle comunicazioni necessarie per i futuri viaggi verso Marte.

Il testimonial

Per l’apertura delle trasmissioni interplanetarie ci voleva un protagonista d’eccezione: chi meglio di una delle figure più affascinanti per la fisica? Archimede, Leonardo, Galileo, Einstein? No. Un gatto. Rosso. Attore del video inviato dallo spazio profondo è un gatto europeo di nome Taters, accasato presso un dipendente della Nasa. Per sua fortuna Taters non ha avuto la sorte della povera cagnetta Laika: il cortometraggio è infatti stato girato prima della partenza e caricato nel computer di bordo della Psyche.

All’inizio Taters è placidamente accovacciato su un cuscino (novità…), ma balza giù quando gli viene mosso davanti il raggio di luce di un puntatore laser, che inizia a inseguire. Se non fosse per i dati scientifici che compaiono in sovrimpressione – comprese la traiettoria della sonda e la frequenza cardiaca del quadrupede – potrebbe essere un video spedito con WhatsApp, salvo che chi l’ha inviato stava a qualche decina di milioni di chilometri.

Non solo Schrödinger

Taters è solo l’ultimo in ordine cronologico della schiera di gatti protagonisti delle vite e delle scoperte dei fisici. Il più celebre, ça va sans dire, è quello evocato in un famoso paradosso quantistico dal premio Nobel austriaco Erwin Schrödinger, nel 1935. Nato in un contesto assai serio e tecnico, un articolo scientifico pubblicato nell’autorevole rivista Naturwissenschaften che riassumeva le conoscenze di allora sulla meccanica quantistica, il gatto di Schrödinger è diventato tanto universalmente pop quanto la linguaccia di Albert Einstein.

Chiuso in una stanza sigillata insieme a un dispositivo che può rilasciare un potentissimo veleno, il felino in bilico tra la vita e la morte è protagonista di un esperimento concettuale dedicato – come scrive David Griffiths – alla «bizzarra natura del processo di misura che rende la meccanica quantistica così ricca di sottigliezze».

Sempre in tema di applicazioni della meccanica quantistica, Chester, il gatto del fisico Jack Hetherington, è diventato autore di un articolo pubblicato nel 1975 nella rivista Physical Review Letters, dedicato alla descrizione dell’atomo di elio-3. Gatto geniale in grado di padroneggiare equazioni e operatori, vi chiederete? No, solo che all’epoca non esistevano i programmi di videoscrittura e le veloci correzioni sui file.

Hetherington aveva dattiloscritto l’articolo usando impropriamente la prima persona plurale, ma in realtà l’autore era solo lui. Al rilievo stilistico della casa editrice rispose evitandosi la seccatura di ribattere tutte le pagine cambiando il «noi» in «io», ma aggiunse un nome alla lista degli autori. Quello del suo gatto, che divenne F.D.C. Willard, Felix Domesticus Chester Willard, dove Willard era il nome del padre di Chester.

Meccanica felina

Se vi chiedete se solo la meccanica quantistica abbia risvolti felini, ebbene no. Anche la meccanica classica – quella branca della fisica che descrive il movimento e le sue cause, poi rivoluzionata per il mondo microscopico dalla quantistica – ebbe e tuttora ha i suoi gatti famosi. Nella realtà e addirittura nella leggenda. Si narra che Isaac Newton – insieme a Galileo tra i padri della fisica moderna – abbia inventato la gattaiola.

Secondo il racconto, Newton creò un buco nella parte inferiore della sua porta e lo coprì con un panno in modo da consentire al suo gatto di entrare e uscire senza disturbare i suoi esperimenti. In realtà pare proprio non sia vero, se non altro perché le gattaiole fecero la loro apparizione nei portoni delle chiese fin dal 1500, due secoli prima di Newton, per permettere ai cani da lavoro dei contadini di uscire senza disturbare.

È però significativo che il mito abbia non solo attribuito a un fisico un’invenzione così preziosa per il benessere dei nostri quattrozampe, ma pure destinato il suo uso ai gatti. Del tutto reale, e pure complicato da spiegare, è invece il moto di caduta libera dei gatti che, come sappiamo, atterrano sempre su quattro zampe, abilità unica della loro specie, e senza violare alcuna legge fondamentale della fisica.

La descrizione teorica è ancora oggetto di studi, che oggi beneficiano delle sequenze di immagini prodotte da fotocamere veloci. Simpatico, e destinato al grande pubblico, un video in slow motion pubblicato dal canale YouTube SmarterEveryDay. Non è certo finita qui: l’attrazione fatale dei fisici per i gatti copre di fatto l’indice di un manuale di fisica.

James Clerk Maxwell, che nell’Ottocento sintetizzò in quattro fondamentali equazioni l’elettromagnetismo classico, si appassionò anche allo studio della caduta dei gatti. Un giovanissimo Nikola Tesla trasse ispirazioni per investigare i fenomeni elettrici dalle scintille che emanavano durante una giornata secca accarezzando il suo gatto Mačka. Nel 2010 un gruppo di fisici di Mit, Princeton e Virginia ha pubblicato nella rivista Science – una tra le principali – uno studio che mostra come «il gatto domestico beve mediante un sottile meccanismo basato sull’adesione dell’acqua al lato dorsale della lingua. (…) Questa competizione tra inerzia e gravità determina la frequenza di sorseggio (…)».

Per finire, anche la termodinamica ha a che fare con i gatti. Questa volta però in maniera semiseria, grazie alla prestigiosa American Physical Society, che ha riscritto le principali leggi della fisica in chiave felina. Nella sua pagina Feline Physics propone una rivisitazione del secondo principio della termodinamica, legge fondamentale della natura, affermando che «il calore fluisce da un corpo più caldo a uno più freddo (vero), tranne nel caso del gatto, nel qual caso tutto il calore fluisce al gatto [vero per chiunque abbia un gatto]».

P.s.: dichiarazione di conflitto di interessi. Certo, ci sono anche i cani, i criceti, i canarini… Ma l’autore di questo articolo è un fisico e convive con Alfa e Trizio, che non sono il nucleo dell’elio-4 e l’isotopo dell’idrogeno, ma due gatti, fratelli, rossi. Come quello della Nasa.

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