- I cani dei vigili del fuoco non sono di proprietà del Corpo, ma dei singoli pompieri. Il Corpo li utilizza con un contratto di comodato d’uso lasciando alla buona volontà dei vigili il mantenimento e l’allenamento
- Il singolo pompiere deve farsi carico della cura a casa propria dell’animale, assumendosi i rischi e le responsabilità del caso senza mai staccarsi da lui, neanche quando va in ferie
- C’è una evidente disparità di trattamento con i nuclei cinofili di polizia, carabinieri, guardia di finanza ed esercito dove i cani sono di proprietà delle amministrazioniu e poi affidati a personale competente per l’utilizzo necessario
Dal terremoto dell’Aquila alla valanga che a Rigopiano ha travolto un albergo, fino a Ravanusa dove un pezzo di paese è crollato per una fuga di gas, quando c’è da rintracciare qualche superstite o da individuare le vittime tra le macerie, i cani dei vigili del fuoco sono sempre in prima linea. Apprezzati, celebrati sui giornali e dalla televisione come insostituibili e preziosi, pochi sanno però che per lo stato non esistono, o quasi.
Nel senso che quei cani addestrati con pazienza e trattati con ogni cura perché possano svolgere al meglio le loro funzioni, non appartengono al Corpo dei vigili del fuoco che se ne serve solo quando ce n’è bisogno, ma per tutto il resto preferisce siano altri a occuparsene.
Quei cani sono di proprietà dei singoli vigili che con buona volontà e dedizione e spesso anche a loro rischio e rimettendoci di tasca propria li allevano e li allenano. Lo stato si limita ad usare i cani con un contratto di comodato d’uso gratuito.
Va avanti così da più di un quindicennio, da quando nel 2005 è stato di nuovo istituito il nucleo cinofilo dei vigili del fuoco, dopo una lunga parentesi in cui era stato soppresso forse perché a torto ritenuto inutile. Il nucleo era stato fondato alla vigilia della Seconda guerra mondiale, nel 1939, in previsione di ciò che sarebbe poi di fatto successo e cioè che sotto i bombardamenti sarebbero finiti molti civili e i cani addestrati sarebbero stati preziosi per ritrovarli.
Finita la guerra l’amministrazione statale ritenne che dei cani dei pompieri poteva fare anche a meno e per più di mezzo secolo è andata così. Poi ci ripensarono, ma la rifondazione è avvenuta con una pecca madornale: il compito di acquistare e tenere i cani è stato scaricato sui singoli vigili del fuoco. Nell’estate di due anni fa l’anomalia è stata ribadita con una circolare del ministero dell’Interno.
Cani di serie B
Da allora sono stati fatti alcuni tentativi per modificare questa palese incongruenza, ma sono finiti nel nulla. Nell’autunno 2020 Carmelo Miceli e altri cinque deputati del Pd hanno presentato una risoluzione in cui sollecitano il governo «ad adottare con tempestività le opportune iniziative, anche di carattere normativo, finalizzate al superamento delle criticità (...) mediante la piena equiparazione dal punto di vista organizzativo ed economico della componente cinofila del corpo nazionale dei vigili del fuoco agli altri corpi dello stato che fanno riferimento al comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico».
Il punto è proprio questo: il nucleo cinofilo dei pompieri ha le stesse caratteristiche dei nuclei di polizia, carabinieri, guardia di finanza ed esercito dove i cani sono di proprietà delle amministrazioni che poi li affidano a personale competente per i vari usi del caso. Ma il nucleo dei vigili del fuoco viene considerato in modo diverso dallo stato, come fosse di serie B, senza considerare, scrivono i parlamentari Pd che «il servizio reso da queste unità si pone in assoluta condizione di parità con quello reso dalle unità cinofile degli altri corpi».
Il coordinamento che rappresenta i 180 vigili del fuoco cinofili italiani vorrebbe che a questi ultimi venisse riconosciuto un trattamento simile a quello degli altri corpi, niente di più e niente di meno. Proprio in questi giorni è in discussione il contratto nazionale dei pompieri e i rappresentanti del coordinamento ritengono che sia l’occasione giusta per riparare la stortura attraverso l’introduzione di un ruolo specifico dei vigili cinofili.
Il sistema attuale non li tutela per niente, anzi, li espone a una serie di rischi e in cambio concede molto poco. Il Corpo dei vigili del fuoco riconosce ai dipendenti che usano il cane un rimborso per il mangime di 600 euro l’anno, 700 euro per una convenzione veterinaria più un’assicurazione con un premio molto basso per gli eventuali infortuni del cane.
Se poi l’animale muore, l’amministrazione pubblica riconosce al vigile proprietario un indennizzo di 2.500 euro. A parte il bonus per il mangime che viene considerato congruo dal comitato dei vigili, gli altri contributi sono ritenuti assolutamente insufficienti. Le spese per l’acquisto, l’addestramento e il mantenimento in forma dei cani superano abbondantemente i quattrini ricevuti.
Vacanze forzate
Per comprare un cucciolo ci vogliono almeno 2 mila euro e non è detto che bastino perché non tutti i cuccioli si dimostrano portati per gli usi richiesti e se il cane prescelto non manifesta le attitudini necessarie sono soldi buttati via. Se invece il cane offre una buona predisposizione si passa al lavoro lungo e non semplice dell’addestramento che è a carico del vigile proprietario.
Il corpo dei vigili del fuoco si riserva però il diritto di valutare se il cane è preparato come si deve e quindi lo sottopone a cinque esami preliminari. Superati i quali comincia un corso di formazione specifico che si svolge in 4 sedi diverse in Italia e dura 10 settimane, una settimana al mese, in pratica quasi un anno intero. Anche durante tutto questo lasso di tempo il cane resta a carico del vigile proprietario.
Alla fine, se tutto va per il verso giusto, il cane viene considerato idoneo a svolgere i delicatissimi servizi che spesso assicurano il salvataggio di vite umane. Come premio finale, al vigile viene riconosciuta un’una tantum di 1.200 euro, ma in cambio lo stesso vigile deve continuare a tenere il cane giorno e notte a casa sua senza la possibilità di lasciarlo ad altri o in caserma. Neanche per le ferie il vigile può separarsi dal cane e che lo voglia o no deve portarselo in vacanza.
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