- Il consigliere comunale Salvatore Luna, ex maresciallo dei carabinieri, nella seduta dell’altro ieri ha detto in municipio: «Capaci è un paese di gente perbene. La mafia qualcuno dice che c'è? Che la trovasse..». Parole pronunciate a una settimana dal trentesimo anniversario dell’attentato.
- Il comune di Capaci è stato sciolto per infiltrazioni mafiose venti giorni dopo il massacro del 23 maggio 1992. La reazione del sindaco Pietro Puccio alle parole del consigliere Luna è stata dura «Qui c’è sempre stata e continua ad esserci».
- Di Capaci sono due boss, Antonino Troia e Giovanni Battaglia, condannati per la strage di trent’anni fa. In Sicilia tira un’aria che trasporta zaffate maleodoranti. Un ritorno al passato anche a Palermo. Dove condannati per mafia decidono il destino del comune e della regione Siciliana.
L’aria che tira in Sicilia trent’anni dopo le stragi trasporta zaffate maleodoranti. Sembrava archiviata per sempre la leggenda della “mafia che non esiste”, testuali parole pronunciate dal maestro elementare e sindaco di Trapani Erasmo Garuccio l’indomani della strage di Pizzolungo, 2 aprile 1985, un’autobomba imbottita di tritolo, il giudice Carlo Palermo salvo per miracolo, Barbara Asta e i suoi gemelli di sei anni, Giuseppe e Salvatore, rimasti lì sulla strada.
E invece il tempo si ferma, il passato ritorna sempre in un’isola che finge di cambiare ma sotto sotto non si libera mai, che scivola sempre sullo stesso linguaggio e nella stessa trappola, che a Palermo vede felicemente due condannati per mafia decidere le sorti del comune e della regione e che a Capaci affonda nel paradosso. Sì, proprio a Capaci, luogo simbolo, lo svincolo dell’autostrada dove il pomeriggio di un sabato italiano di trent’anni fa Cosa nostra uccideva Giovanni Falcone e dove fra una settimana lo stato ne celebrerà solennemente il ricordo.
Un’oscenità nel luogo simbolo
A Capaci, proprio a Capaci, l’ultima oscenità è stata riproposta ieri l’altro. Alla luce del sole, pubblica, in mezzo a una seduta del consiglio comunale. Il sindaco Pietro Puccio passa la parola al consigliere Salvatore Luna e il consigliere Salvatore Luna dà fiato alle trombe: «Capaci non è un paese di mafiosi, Capaci è un paese di gente perbene. La mafia qualcuno dice che c'è? Che la trovasse..».
La mafia a Capaci? Un’invenzione, una favola. Con una naturalezza straordinaria il consigliere comunale ha cancellato almeno due secoli di mafia radicata nel suo paese, ha fatto sparire dalla faccia della terra antichi boss e nuovi capi alleati dei Corleonesi, con quel «qualcuno dice che c’è» insinua il serio dubbio che non ci sia mai stata.
Fa di più: sfida: «Che la trovasse». Un capolavoro. Anche perché Salvatore Luna, 63 anni, fino a qualche mese fa, di mestiere faceva il carabiniere. Maresciallo al comando della legione di Palermo. Al Comune è stato eletto nella lista di centrodestra “Siamo Capaci”, nella passata consiliatura al suo fianco c'era anche il cognato Andrea Misuraca, carabiniere pure lui, brigadiere.
Per molti anni Luna è stato “sindacalista” negli organi di rappresen
tanza militare, è stato consulente per la sicurezza dell’ex sindaco forzista di Palermo Diego Cammarata, candidato sindaco di Capaci nel 2013 e candidato qualche mese dopo alla regione nella lista “Sarà Bellissima” del governatore Nello Musumeci.
Una sceneggiata registrata
La sceneggiata del consigliere Luna è durata circa un quarto d’ora. C’è la video registrazione della seduta del consiglio comunale di Capaci che, dal minuto sette sino al minuto 22, lo vede mattatore con quel finale scabroso.
Il sindaco Puccio lo riprende subito e duramente: «A Capaci la mafia non solo c’è stata ma continua ad esserci». Un altro consigliere gli risponde: «Anche Totò Riina diceva che la mafia non esiste». Ormai, però, la “bomba” era scoppiata.
Ma cosa aveva in mente il consigliere Luna quando ha scandito quelle parole, quali cattivi pensieri lo hanno portato alla vergognosa esibizione? Mistero.
Mistero perché il comune di Capaci è stato sciolto per mafia venti giorni dopo l’attentato del 23 maggio 1992, perché di Capaci sono due boss - Giovanni Battaglia e Antonino Troia - condannati per l’uccisione di Falcone, perché Capaci è sempre stata una piccola grande capitale di Cosa nostra, perché è di pochi mesi fa un’operazione di polizia che ha disarticolato una cosca di estorsori che aveva tenuto prigionieri gli imprenditori del paese.
E poi c’è un precedente che risale al 2017, quando il vecchio comandante della stazione dei carabinieri di Capaci, un investigatore di razza, aveva raccolto informazioni sensibili che avrebbero potuto portare a un altro scioglimento del comune. Attaccato in consiglio, trascinato dalla procura militare in una kafkiana vicenda, delegittimato, cacciato da Capaci.
Un affaire che è finito alla commissione Antimafia e che, ancora oggi, presenta molte ombre. Ma il caso della “mafia non esiste” del consigliere Luna, pur unico nella sua pericolosa banalità, è anche il segno di un clima che si respira in Sicilia.
Nei giorni scorsi abbiamo raccontato dell’ex magnifico rettore Roberto Lagalla, candidato sindaco di Palermo con la regia dell’ex governatore Totò Cuffaro e del senatore Marcello Dell’Utri, entrambi condannati per reati di mafia. Tutto normale, non ha fatto una piega nemmeno il candidato. Quello che oramai davamo per scontato, scontato non lo è affatto. Tornano, tornano sempre.
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