In Italia si può finire in carcere, in regime di alta sicurezza, per una molotov. È l’odissea che sta vivendo Luigi Spera, vigile del fuoco di 43 anni, sposato e padre di due figli, accusato di aver partecipato a un atto dimostrativo contro la sede palermitana della Leonardo spa, azienda a partecipazione statale. Da tre mesi è recluso nel supercarcere di Alessandria.

I fatti

Il suo caso è finito in parlamento, mentre cresce la mobilitazione dal basso per la sua liberazione.

È una notte di novembre 2022. La Turchia sta bombardando i curdi. Leonardo, partecipata dallo stato italiano, vende armamenti al regime di Erdoğan. Un gruppo di attivisti di Antudo organizza una protesta contro l’azienda. Lanciano una molotov e accendono dei fumogeni. L’azione dimostrativa non causa danni a cose e persone, è notte e l’edificio è vuoto sia dentro che fuori. Alcuni membri del movimento, nei giorni successivi, subiscono una perquisizione e la cosa sembra finita lì. Un anno dopo arriva la denuncia per Spera e altre due persone.

Il pubblico ministero accusa il vigile del fuoco di terrorismo, con la molotov che viene equiparata a un’arma da guerra. Viene anche accusato di istigazione a delinquere aggravata dal compimento di atti sovversivi, per aver diffuso un comunicato stampa in cui si spiegavano le ragioni dell’atto dimostrativo fuori dalla Leonardo.

Il gip esclude l’accusa di terrorismo, derubricando il tutto a incendio ma lasciando la carcerazione preventiva. Spera fa appello contro la custodia cautelare in carcere. Il tribunale del riesame la conferma e ristabilisce l’accusa di terrorismo. Per il vigile del fuoco inizia un’odissea.

Da tre mesi Spera si trova recluso nel supercarcere di Alessandria. La sua è una detenzione in regime di alta sicurezza 2, uno speciale regime che riguarda i detenuti con l’accusa o la condanna per delitti commessi con finalità di terrorismo (anche internazionale) o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza. Oggi in Italia sono circa 80 e tra loro si trovano jihadisti, ex brigatisti e anche qualche anarchico.

«Ci sono tante cose che non tornano in questa storia», sottolinea l’avvocato di Spera. «Intanto che un gip stabilisca che non vertiamo in un’ipotesi di terrorismo e che un tribunale del riesame invece ristabilisca che è terrorismo andando perfino ad aggravare la misura cautelare».

Poi c’è il ruolo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap): «Il Dap già si era portato avanti e aveva disposto di metterlo in alta sicurezza 2 quando lui era dentro semplicemente per incendio e non per terrorismo. Il riesame non si era ancora pronunciato e già c’era la disposizione del Dap di mandarlo in alta sicurezza».

Secondo l’avvocato non è un caso che la vicenda si stia consumando proprio ora: «I fatti, una molotov che non ha causato danni a cose e persone, sono di novembre 2022, ma le manette arrivano nella primavera 2024».

«Ci sono dei motivi pratici per cui spesso si tira in causa l’accusa di terrorismo quando si tratta di repressione delle lotte sociali», sottolinea Xenia Chiaramonte, ricercatrice in Scienza e filosofia del diritto all’Università di Catania e autrice del saggio Governare il conflitto.

«Se si apre un fascicolo per terrorismo – spiega –, le indagini possono essere protratte per due anni, possono essere portate avanti ulteriormente e c’è anche una maggiore libertà nel compierle, per esempio per quanto riguarda le intercettazioni».

L’accusa di terrorismo poi spesso cade, come avvenuto per gli attivisti del movimento No Tav dopo la pronuncia della Cassazione. Ma alcune cose restano: «Le maglie larghe nelle indagini date dall’accusa di terrorismo permettono di avere più facile accesso a tutta una serie di informazioni che, in un futuro, possono aprire la strada ad altre forme di misure preventive, come la sorveglianza speciale».

Nelle scorse settimane si sono moltiplicate le manifestazioni e i presidi a sostegno di Luigi Spera. E la vicenda è finita anche in parlamento, con un’interrogazione firmata dal deputato di Alleanza verdi e sinistra, Marco Grimaldi.

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