- Renato Natale, medico di 71 anni, è il sindaco di Casal di Principe, cuore della Terra di lavoro. Ventunomila abitanti in provincia di Caserta che strappano la vita coltivando i campi, allevando bufale da latte, costruendo case e strade.
- Gli altri, “i malacarne” del clan dei “casalesi”, per anni hanno accumulato ricchezze da emiri arabi uccidendo, sfruttando il racket delle estorsioni, commerciando in droga e armi, avvelenando queste terre con i rifiuti tossici.
- Le case ufficialmente censite come abusive, costruite senza alcun tipo di permessi, in una realtà dove solo dal 2006 esiste un Piano regolatore, sono 1500. «Troppo facile venire qui con la ruspa, mentre bisognerebbe capire, discutere, trovare soluzioni», spiega Natale.
«Tanti politici, ministri, deputati e presidenti di importanti commissioni, che a Roma contano, vengono spesso nel mio comune. Guardano, osservano, si complimentano per il lavoro fatto, si scattano un selfie. E poi vanno via. Ma se qui in queste terre lo stato si presenta con la ruspa ha perso. Perdiamo tutti la battaglia più importante, quella di strappare consensi alla camorra e alla malapolitica. Certo, la legge sarà stata rispettata fino in fondo. Ma la giustizia certamente no. Forse neppure il buonsenso».
Casal di Principe, cuore della Terra di lavoro. Ventunomila abitanti in provincia di Caserta che strappano la vita coltivando i campi, allevando bufale da latte, costruendo case e strade (i casalesi, quelli bravi e onesti, sono tra i migliori muratori d’Italia). Gli altri, “i malacarne” del clan dei “casalesi”, per anni hanno accumulato ricchezze da emiri arabi uccidendo, sfruttando il racket delle estorsioni, commerciando in droga e armi, avvelenando queste terre con i rifiuti tossici, controllando anche l’aria che gli onesti respiravano. Renato Natale, medico di 71 anni, è il sindaco di Casale. Suo è il lungo sfogo che introduce questo articolo. La questione che non lo fa dormire la notte è molto complessa, ricca di sfaccettature da leggere e capire. E che vanno raccontate. Perché il cancro che rischia di mangiarsi il corpo di Casal di Principe si chiama abusivismo edilizio. Lo stato lo ha scoperto molto di recente, e ora vuole curarlo con terapie da urto. Applica la legge. La parola d’ordine è abbattere. Demolire. Lo impongono le norme. Fin qui, a un occhio distratto, tutto potrebbe apparire normale: se ci sono case abusive vanno tirate giù. Punto. Ma scavando dentro la storia dell’abusivismo a Casal di Principe, si incontra una realtà che ci parla di necessità, di stato assente, di “distrazioni” della politica, e interessi della camorra.
A spese del comune
Qui, su una superficie di 23,49 chilometri quadrati, vivono 21.483 abitanti. Le case ufficialmente censite come abusive, costruite senza alcun tipo di permessi, in una realtà dove solo dal 2006 esiste un Piano regolatore, sono 1500. Praticamente un terzo della città è fuorilegge. Palazzine, villette di campagna, tirate su senza regole, dove vivono non meno di 6mila persone. Un paesino dentro il paese più grosso. Duecento di queste abitazioni sono state già definite per legge come “Resa”, da abbattere. «Ed è questo il punto», dice il sindaco. «Qui bisogna dire come si fa la lotta all’abusivismo edilizio. Faccio l’esempio di due famiglie. Situazioni al limite. Due nuclei con figli che vanno dai tre ai sette anni. Vivono da anni nella casa abusiva costruita dai genitori. Non hanno lavoro, campano col reddito di cittadinanza. La loro abitazione è stata dichiarata fuorilegge e da abbattere nel 2005. Sedici anni dopo l’ordine è diventato esecutivo. Va eseguito. In questo caso ci sono due problemi: il comune deve pagare le spese di demolizione alla procura, poi deve farsi carico dello smaltimento delle macerie, infine acquisisce alla sua proprietà il terreno. Aree che hanno un bassissimo valore di mercato e costi di gestione altissimi. Devi recintarle e sorvegliarle affinché non diventino discariche.
Ma non è finita, perché il comune deve farsi carico della sistemazione degli abitanti della casa abbattuta. In questo caso ho di fronte a me dei soggetti fragili, per reddito e situazione familiare, e c’è la presenza dei bambini. Per queste ragioni ho pensato di sistemarli in un bene confiscato alla camorra, muovendomi sul filo del rasoio di norme che mi impongono tutta una serie di passaggi. Ma la struttura non è ancora pronta, per renderla abitabile occorrono quasi centomila euro, nel frattempo dove sistemo queste famiglie? In albergo, ma a Casal di Principe non ne esiste uno. Insomma, questa vicenda grava sul bilancio del comune tantissimo: 200mila euro per l’abbattimento, 100mila per il nuovo alloggio, e poi le spese di ospitalità in albergo per almeno due mesi in attesa che finiscano i lavori nel bene confiscato. Per abbattere alcuni “scheletri” (case abusive non finite, ndr) abbiamo speso più di un milione. Moltiplica tutto questo per 1.500 case e capisci da solo che il comune rischia il collasso finanziario. Per questa ragione a maggio ho scritto una lettera alla ministra della Giustizia Cartabia. Non ho ricevuto nessuna risposta».
La lettera
«Egregio signor ministro – c’è scritto – le chiedo di emanare un decreto che obblighi le procure a rinviare l’esecutività delle demolizioni a dopo la fine dell’emergenza sanitaria, almeno laddove ci siano situazioni di fragilità sociale». Nessuna risposta. Indifferenza. «E invece serve attenzione e comprensione. Con questo meccanismo non si fa la lotta all’abusivismo, ma si rischia di far rimpiangere i bei tempi in cui tutto era possibile. Perché tutto era illegale e lo stato non c’era. Il politico amico chiudeva volentieri gli occhi. La camorra forniva cemento e tutto il necessario per costruire, tiravo su la mia casa con le mie mani e l’aiuto di qualche operaio in nero.
Allora la legge dov’era, mi chiedo. Per trovare i soldi per gli abbattimenti il comune deve indebitarsi con la Cassa depositi e prestiti, debiti che dovranno essere pagati anno per anno. Con i tagli ai servizi, alla tutela ambientale, alla pulizia delle strade, all’assistenza sociale. A soffrire saranno tutti, anche gli onesti, quei cittadini che negli anni del far west non si sono fatti la casa abusiva. E poi penso ai tempi lunghi, quanti anni ci vorranno per abbattere 1.500 case? Di fatto sei di fronte ad una sanatoria non dichiarata. Troppo facile venire qui con la ruspa, mentre bisognerebbe capire, discutere, trovare soluzioni. Sapendo che qui non siamo di fronte all’ecomostro, all’albergo costruito sul mare, oppure alle case costruite nella zona rossa sotto il Vesuvio, qui a Casale l’abusivismo di necessità è una realtà».
Cancellare il far west
Renato Natale sa di correre il rischio di passare come un sindaco populista, un masaniello pronto a difendere le ragioni dell’illegalità e degli abusivi. Scrolla le spalle. «La mia vita parla per me». E ha ragione. Oggi Casal di Principe è considerata un modello nella gestione dei beni confiscati alla camorra. Le ville dei boss sono diventate centri sportivi riabilitativi, centri antiviolenza, occasioni di socialità e cultura. I loro terreni oggi producono ortaggi di qualità e sono gestiti da cooperative, ma quando Renato era un giovane medico appassionato di politica, cattolico e comunista, Casale era il far west. Boss dai nomi “prestigiosi” (Bidognetti, Schiavone-Sandokan, e compagnia), sfilavano armati per il paese. Quando venne eletto sindaco per la prima volta negli anni Novanta, i camorristi lo minacciavano di morte e gli riempivano l’ingresso del Comune di letame di bufala. Renato Natale era amico di don Peppe Diana, insieme sognavano e lottavano per un paese libero dalla dittatura camorrista.
Il prete lo uccisero in chiesa, in pieno giorno. Come in una città messicana dominata dai narcos, in questa zona tra gli anni Ottanta e Novanta sono state uccise oltre 750 persone. Semplici cittadini ma anche amministratori locali, sindacalisti. In quegli anni, sindaci, assessori, consiglieri regionali e deputati, si adeguavano al potere dei boss. «Vuoi costruire una casa? Fallo pure».
Per decenni è andata avanti così. «Anche oggi – racconta il sindaco – parlano di legalità, e lo fanno soprattutto nei tanti convegni che organizziamo qui, ma alla fine arrivederci e grazie. Nel mio comune ho a disposizione sette vigili urbani. Sette per 20mila abitanti. In queste condizioni far rispettare le leggi è davvero arduo. E poi c’è la procura della Repubblica che mi ricorda i miei obblighi. I fondi per le demolizioni, l’assistenza ai senza casa. Se non dovessi assolvere a tutte le prescrizioni previste, andrei incontro a gravi reati di omissione. Mi sento come Gregor Samsa, il protagonista de La Metamorfosi di Kafka. Lui si trasformava in un gigantesco insetto, cadeva pancia all’aria e non riusciva a muoversi. Io per anni ho detto che lo stato faceva bene ad arrestare i boss, i killer e i loro complici politici.
Ma poi doveva ricostruire un senso civico, strappare consensi ad una camorra che uccideva, estorceva, ma dava anche case e lavoro. Dopo il fascismo arrivarono democrazia e repubblica. Qui la repubblica italiana è ancora tutta da costruire. Con la ruspa si demolisce, si abbatte. Ma sotto le macerie rischia di finire anche il consenso per lo stato democratico».
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