La manager cagliaritana aveva ricevuto 500mila euro dall’ormai ex cardinale Angelo Becciu per alcune consulenze su operazioni riservale, denaro che, queste erano le accuse della Santa Sede, avrebbe utilizzato anche per spese personali, mobili di design e beni di lusso
I giudici della Corte d'appello di Milano hanno spiegato in aula di aver ricevuto una misura dell'autorità giudiziaria vaticana nella quale si spiegava come «il giudice istruttore vaticano abbia disposto la libertà provvisoria per la signora Cecilia Marogna e abbia disposto il non luogo a procedere» nei suoi confronti perché è venuto meno "il vincolo" giuridico che aveva portato al suo arresto a Milano nell'ottobre scorso. La misura era stata chiesta dalla Santa Sede in relazione all'indagine sul cardinal Angelo Becciu, all'epoca numero due della segreteria di Stato, e sulla sua gestione dei fondi. La donna era poi stata scarcerata il 30 ottobre su richiesta dei suoi legali.
Le accuse a Marogna
La manager cagliaritana aveva ricevuto 500mila euro dall’ormai ex cardinale Angelo Becciu per alcune consulenze su operazioni riservale, denaro che, queste erano le accuse della Santa Sede, avrebbe utilizzato anche per spese personali, mobili di design e beni di lusso. La donna, che si trova a Cagliari, ha sempre detto di aver svolto con successo gli incarichi che le erano stati affidati, per i quali aveva presentato regolare parcella e aveva percepito i compensi pattuiti. In udienza a Milano, invece, c'erano i difensori di Cecilia Marogna, Fabio Federico e Maria Cristina Zanni, che hanno chiesto di poter discutere nel merito la posizione della loro assistita e hanno chiesto che l'estradizione della consulente della Santa Sede "non venga revocata per difetto di motivazione" da parte dell'autorità giudiziaria vaticana. La Corte d'appello si è riservata di decidere.
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