- «Mio figlio, come Regeni, è la meglio gioventù. Voglio verità in nome di tutti i ragazzi che partono per migliorare il mondo e che non tornano». Anna Motta è la mamma di Mario Paciolla, il 33enne napoletano che lavorava per l’Onu e che è stato trovato morto in Colombia a luglio 2020.
- «L’Onu, che dovrebbe garantire i diritti umani, non ha garantito a mio figlio il diritto alla vita, e ha derubricato la sua morte come suicidio», dice la madre di Paciolla. Eppure a quel che risulta a Domani dalla seconda autopsia sono emersi segnali che possono indicare che il ragazzo non si è tolto la vita. «Nella squadra dell’Onu c’è chi sa e tace».
- Oltre al ruolo dell’Onu c’è quello dei governi. Il ministro Di Maio, nonostante le interrogazioni di alcuni deputati, continua a stringere rapporti commerciali e istituzionali più che cordiali con la Colombia. Ecco cosa sappiamo ad oggi, in questa storia di troppi silenzi e verità rinviate.
«Mio figlio, come Giulio Regeni, è la meglio gioventù. Nessuno potrà restituirmelo ma voglio verità in nome di tutti i ragazzi che partono per migliorare il mondo e che non tornano». Anna Motta è la mamma di Mario Paciolla, il trentatreenne napoletano che si trovava in Colombia come operatore delle Nazioni unite, per partecipare alla missione di pace, e che il 15 luglio 2020 è stato trovato morto nel suo appartamento a San Vicente del Caguan.
Prima di morire, Paciolla aveva riferito ai genitori di essersi scontrato coi capi missione e aveva paura: «Mi vogliono fregare, mi sono ficcato in un guaio. Mamma, torno a Napoli», aveva detto. Ha fatto il biglietto ma non ha fatto in tempo a tornare a casa. Dall’ultima comunicazione coi suoi cari su whatsApp, con le spunte blu, al silenzio è passata solo una manciata di ore. E su quelle poche ore si attende che si faccia luce da lungo tempo. La prima sbrigativa versione di Colombia e Onu è stata il suicidio, ma nell’estate 2020 il corpo è arrivato in Italia e nella seconda autopsia, da quanto risulta a Domani, sono emersi segnali che possono indicare che il ragazzo non si è tolto la vita. Nulla però è stato ancora reso pubblico.
Il ruolo dei governi
In occasione dell’anniversario della morte del ragazzo, dalla procura di Roma erano arrivate rassicurazioni: l’indagine, seguita dal ros dei carabinieri, è in fase finale. Stessa cosa si ripete oggi: tutti gli elementi sono stati acquisiti, si saprà qualcosa prima o dopo Natale. La verità slitta così di mese in mese. Intanto il governo italiano continua a stringere rapporti istituzionali e commerciali con la Colombia. Nel paese sudamericano, le proteste della società civile sono represse con la violenza – morti, torture e violenze sui manifestanti – e la lista dei leader sociali e dei difensori dei diritti umani che vengono uccisi viene aggiornata di ora in ora. Anche per questo la «dittatura del silenzio» piombata sul caso Paciolla allarma chi lavora per la pace nel paese: «Un cooperante italiano che operava in Colombia sotto l’egida dell’Onu è stato ucciso, e non solo non c’è verità, ma viene insabbiata. In tutto questo il governo riceve la vicepresidente colombiana come se non fosse successo nulla», dice Juan Camilo Zuluaga, referente del nodo italiano a sostegno della commissione della Verità. Si riferisce all’incontro avvenuto a fine ottobre a Roma tra il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e la vicepresidente della Colombia, Marta Lucía Ramírez, che ha pure la delega agli Affari esteri per il suo governo. «Abbiamo parlato con il ministro Di Maio, tra le altre cose, dell’accordo di protezione degli investimenti per stimolare molto più quelli italiani in Colombia», aveva detto entusiasta l’esponente colombiana. Dal nostro parlamento sono arrivati segnali di irritazione: Doriana Sarli, Erasmo Palazzotto e Laura Boldrini hanno in vari momenti preteso spiegazioni ufficiali. «A Di Maio avevamo chiesto di usare quell’incontro per chiedere conto del caso Paciolla, e per dire no a più rapporti commerciali senza anche più diritti umani», dice Sarli. E la risposta? «Nulla». La famiglia Paciolla riferisce che nei primissimi istanti, quando il caso si è aperto, Di Maio ha espresso loro vicinanza. Ma poi? «Non so se ha risposto alle interrogazioni di Palazzotto, magari...», dice Anna Motta. Ma il deputato fuga anche quella speranza: «Le risposte sono così evasive da non meritare l’onore della cronaca. C’è solo un generico impegno a chiedere collaborazione. Intanto anche il silenzio dell’Onu è imbarazzante», aggiunge Palazzotto.
Il ruolo delle Nazioni unite
«L’Onu, che dovrebbe garantire i diritti umani, non ha garantito a mio figlio il diritto alla vita, e ha derubricato la sua morte come suicidio pochissime ore dopo senza ancora neppure l’autopsia», dice la madre di Paciolla. «Abbiamo la certezza che nella sua squadra dell’Onu ci siano persone che sanno la verità, e assistiamo a comportamenti omertosi».
Le Nazioni unite telefonano alla famiglia a Napoli per comunicare la notizia il giorno in cui viene ritrovato il corpo. Chiamano i genitori a stretto giro per chiedere se hanno bisogno di sostegno psicologico. Poi più nulla. Nel frattempo si muove il responsabile della sicurezza della missione Onu in Colombia, Christian Leonardo Thompson, in passato già sottufficiale dell’esercito colombiano, dal 2001 al 2006, e più di recente, dal 2017 al 2019, specialista della sicurezza dell’agenzia per lo sviluppo internazionale degli Stati Uniti (Oti-Usaid). Thompson rientra nell’appartamento dove è stato da poco ritrovato il corpo, si giustifica con chi incrocia sostenendo che in casa ci sono informazioni importanti, e poi ripulisce il posto. Nonostante la procura colombiana abbia anche aperto un’indagine perché quattro poliziotti avevano consentito il repulisti, l’Onu invece di allontanare Thompson lo ha promosso capo nazionale del Centro operazioni di sicurezza, nel dipartimento Sicurezza della missione in Colombia.
Come spiega la giornalista e amica di Paciolla, Claudia Julieta Duque, da quell’avamposto Thompson «riceve i report di tutte le missioni e registra gli incidenti di sicurezza che possono verificarsi», e con il suo nuovo incarico è anche la figura deputata a riferire al procuratore colombiano di Florencia «i viaggi e i report svolti da Mario» in relazione alla vicenda del bombardamento. Di che si tratta? Nell’autunno 2019 il ministro della Difesa colombiano Guillermo Botero è costretto a dimettersi per uno scandalo. Lo solleva il senatore Roy Barreras: snocciola le prove che il ministro ha approvato un bombardamento pur sapendo che c’erano bambini. Dalla ricostruzione di Claudia Julieta Duque, Paciolla avrebbe lavorato ai report che documentavano tutto ciò, e «per decisione di Raul Rosende, direttore della missione in cui era impegnato Mario, alcune sezioni del report sono finite nelle mani di Barreras». Quest’ultimo dice: «Qualche giorno dopo le dimissioni del ministro, i vertici dell’esercito mi interrogarono, cercavano da chi avessi avuto le informazioni». Secondo il senatore, Paciolla sarebbe finito «vittima di falsa información», informazione falsificata: i sospetti, e la brama di vendetta, sarebbero stati fatti ricadere su di lui.
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