- Dagli anni ’70 fino alla comparsa della terza rete di Guglielmi (1987-1994) la politica e la società erano bandite dalla prima serata anche perché i tentativi di proporle erano stangati dagli indici d’ascolto.
- Nella seconda metà degli ’80 la terza rete Rai, che rispetto agli altri canali non aveva il becco di un quattrino, ha cavalcato il momento politico e scoperto che c’era un pubblico pronto a vedere rispecchiate in tv le sue tribolazioni, i suoi sogni di riscatto, le sue rabbie.
- Si è generato così il trionfo di Samarcanda, progenitore del “very long form informativo”, con i suoi pregi, anche economici, e i suoi rischi attuali.
La topica di Report circa la terza dose di Moderna è stato solo l’ultimo degli “incidenti” che capitano a causa della struttura stessa dell’informazione in lunghissimo formato (non sono mai meno di due ore) che caratterizza la tv italiana. Ecco perché conviene osservare il quadro nel suo insieme, a partire dai lontani eventi che lo hanno generato.
Nei lontanissimi anni Settanta e fino alla comparsa della terza rete di Angelo Guglielmi (1987-1994) la politica e la società erano bandite dalla prima serata, i tentativi di proporle erano puniti dagli indici d’ascolto, e il giornalismo era costituito dai tg e da qualche rubrica di un’oretta (Tv7 o Dossier) che, auditel o non auditel, prosperavano protette dalla lottizzazione dei canali.
Ecco perché le prime serate di quei tempi erano occupate solo (si fa per dire) da grandi film, dalle imprese della Piovra, dal baudismo in ogni forma, e dalle forme formose di Drive In. Roba costosa, ma in quel sistema tv così ristretto rispetto a quello attuale, senza Sky o Netflix a rompere le scatole, il canone e la pubblicità ripagavano le spese. Silvio Berlusconi, grazie ai soldi, otteneva dalle leggi quanto gli serviva e si teneva alla larga dalla tentazione di dare vita a un tg del Biscione (su Canale 5, proprio alle 20 andava in onda trionfalmente Il gioco delle coppie).
Il “very long form” informativo
Nella seconda metà degli anni Ottanta il quadro politico ha iniziato a franare. Michail Gorbaciov era insieme la speranza e il becchino dell’Urss e del mondo bipolare, il Pci già si restringeva nelle classi e fra gli elettori, la Cina iniziava la rincorsa, Psi e Dc non ce la facevano a tenersi insieme con la colla del potere e la magistratura, da contrappeso, è diventata contropotere.
In quella temperie la terza rete Rai, che rispetto agli altri canali non aveva il becco di un quattrino, d’istinto ha cavalcato il momento e scoperto che c’era un pubblico pronto a vedere rispecchiate in tv le sue tribolazioni, i suoi sogni di riscatto, le sue rabbie.
Così, si era all’alba dei Novanta, è decollata Samarcanda, ovvero il primo long form informativo (durava un paio d’ore, che per allora era moltissimo) capace di reggere, quanto ad ascolto, il confronto con le punte dell’intrattenimento di Rai 1, pur costando dieci volte meno.
Da lì in poi tutti si sono ingegnati a realizzare qualche Samarcanda a modo loro, declinandola su questo o quel versante della platea televisiva, non tanto per i fini politici che forse non mancavano, ma essenzialmente perché gli conveniva sul piano delle spese. Michele Santoro, addirittura, è stato chiamato e accolto a fare Moby Dick (tale e quale a Samarcanda) nella televisione di Berlusconi proprio mentre gli avvisi (di garanzia) piovevano su Silvio.
Le iene, noleggiando stile e costumi da un format spagnolo, hanno iniziato a campare di spasso e di denuncia. Striscia la notizia s’affermava come la sentinella del popolo fregato. A tenere insieme tutti i titoli stava per l’appunto la durata che per tutti era smisurata: striscia quotidiana sommando sera e dopo sera, con gli altri settimanali estesi a mezzanotte e oltre, perché il coprire ore senza fine era un aspetto della loro convenienza.
Da res cogitans a res extensa
A riassumere la storica vicenda, potremmo dire che l’informazione come res cogitans era stata infine sostituita da una res extensa a suon di chiacchiere e rimbalzi, che s’aiutava mischiando generi e linguaggi presi dall’intrattenimento. Il prodotto, a ben pensarci, più adatto ad agglutinare cerchie rinfocolando i loro pregiudizi.
I pregiudizi sono arrivati a essere non accidenti, ma puntelli del racconto perché il formato lungo implica il costante sventolio delle bandiere con proclami, annunci, sorprese dietro l’angolo commisurate alle fisse del pubblico elettivo.
Il tutto indispensabile per incoraggiare, un petardo dopo l’altro, la permanenza dell’ascolto (Facebook, in campo social, lo definisce engagement) delle tribù autoreferenti che costellano il sociale. Ne consegue un redazionismo-badante che è esploso in quantità da qualche anno con la riconversione delle serate di Rete 4 dal placido dormire ai fremiti di rabbia.
Tale essendo a oggi lo stato delle cose, non ci meraviglia affatto che anche una rubrica come Report che, lo dice il nome, è nata decenni or sono molto densa, strizzi l’occhio di continuo all’“italiano sospettoso”. Tanto più che oggi, grazie alle classifiche dei vaccini rifiutati, sia noi sia Report, Paolo Del Debbio, Mario Giordano e compagnia sappiamo che questo tipo di cittadino e spettatore consiste di almeno cinque milioni d’individui. Adulti e non vaccinati perché di scienza, politica e cultura non si fidano e non ricorrono allo zapping finché gli dai ragione.
Ovviamente, fra tanti editori che lisciano il pelo delle audience a beneficio della cassa, toccherà per istituto proprio alla Rai di innescare palinsesti e concentrare risorse sull’approfondimento per regalare al pubblico gli anticorpi che, senza promettere miracoli, potrebbero garantirgli un panorama un po’ più vario.
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