I partecipanti del Tavolo immigrazione e salute hanno scritto al ministro Speranza ma non hanno ricevuto risposta. Il piano vaccinale non fa nessun riferimento specifico alle fragilità sociali, e non ci sono indicazioni pratiche
- Richiedenti asilo, migranti irregolari, senzatetto: «Nel piano strategico vaccinale non c’è un riferimento esplicito a loro, le persone socialmente fragili» dice Geraci (Caritas Italiana).
- Il mese scorso, i partecipanti del Tavolo immigrazione e salute hanno scritto al ministro Speranza ma non hanno ricevuto risposta, inoltre con il governo Draghi sono venuti a mancare i sottosegretari che seguivano il tema, Zampa e Mauri.
- Per le associazioni bisogna stabilire delle linee di azione regionali e dare priorità ai senza fissa dimora e ai migranti che vivono nelle occupazioni spontanee, come il ghetto di Foggia e Rosarno. Iacoviello (Emergency) aggiunge: «Serve anche una campagna multilingua», perché ogni cultura ha il suo approccio alla salute.
Richiedenti asilo, migranti irregolari, senzatetto: «Nel piano strategico vaccinale non c’è un riferimento esplicito a loro, le persone socialmente fragili» dice Salvatore Geraci, Referente del gruppo che si occupa di salute del Coordinamento Nazionale Immigrazione della Caritas Italiana.
Nella bozza del nuovo aggiornamento sono state inserite le comunità residenziali e religiose, ma il problema non è stato risolto: «Le fragilità indicate come prioritarie sono ancora solo quelle sanitarie. L’inserimento delle comunità inoltre non è chiaro se preveda solo gli ospiti registrati oppure se si troverà un modo per includere tutti gli altri».
Il mese scorso, i partecipanti del Tavolo immigrazione e salute- Associazione Studi Giuridici Immigrazione (ASGI), Caritas Italiana, Centro Astalli, Emergency, Intersos, Médecins du Monde, Medici contro la Tortura, Medici per i Diritti Umani (Medu), Medici Senza Frontiere (MSF), Sanità di Frontiera, Società Italiana di Medicina delle Migrazoni (SIMM)- hanno scritto al ministro Roberto Speranza, ma ancora non hanno avuto risposta.
Oltre alla risposta del ministro, racconta Geraci, manca anche la controparte naturale nei dicasteri che dovrebbero seguire queste categorie: «Il nostro interlocutore era la sottosegretaria Sandra Zampa – prosegue Geraci -, al ministero dell’Interno c’era Mauro Mauri. Nessuno di loro è stato confermato nel governo Draghi».
Mentre aspettano di capire come si svilupperà l’azione dell’esecutivo, le associazioni continuano a farsi avanti, finora nessuno li ha mai contattati: «Noi siamo disponibili a collaborare», dice Geraci, «chi sta nelle strutture politiche e decisionali non si rende conto di quello che c’è per la strada, noi invece ci lavoriamo tutti i giorni».
Le difficoltà
La campagna vaccinale prevede al momento delle tempistiche in cui far rientrare determinate categorie. Si è partiti con le Rsa e il personale sanitario, poi è toccato a insegnanti e forze dell’ordine, quindi la campagna è stata estesa ai carcerati e alle comunità, infine, come ha dimostrato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, si andrà avanti anche per età.
Il problema nasce per chi si trova in quella che Geraci definisce «una situazione burocratica di fragilità», persone che non hanno un codice fiscale, una carta di identità e tantomeno un medico di base che possa segnalarli.
Grazie alle associazioni che si occupano di assisterli, in alcune strutture equiparate a delle Rsa qualcosa si è mosso: «I malati di Hiv che accogliamo a Villa Glori, a Roma, hanno già ricevuto il vaccino Pfizer-Biontech» spiega il responsabile Caritas.
Nel vuoto del piano vaccinale, con sorpresa delle associazioni, l’Aifa, l’associazione italiana del farmaco, ha identificato il problema prima del ministero. Nelle faq generali infatti si legge che se non c’è nessun documento «verranno registrati i dati anagrafici dichiarati dalla persona e l’indicazione di una eventuale ente/struttura/associazione di riferimento».
Una versione «avanzatissima – commenta Geraci -, ma si deve tradurre dal punto di vista organizzativo. Se la Asl dice però che bisogna andare sul sito e inserire il proprio codice fiscale, è chiaro che la cosa diventa impossibile».
Servono indicazioni concrete: «Vivono per strada, sono fragili di per sè, se non traduci quello che ha teorizzato l’Aifa come si arriva a vaccinarli?»
Le mancanze
Il governo passato non ha dimostrato particolare sensibilità «anche se Zampa è stata disponibile» dice ancora Geraci. Se da una parte nessuno ha ancora pensato che un senza dimora o un richiedente asilo possano non avere Internet e un codice fiscale, sin dal momento in cui è scoppiata la pandemia, il ministero della Salute ha prodotto delle linee guida per la gestione della pandemia che non hanno fatto nessuna differenza tra una casa di accoglienza per senzatetto, un centro per i migranti o per i minori non accompagnati.
Il Covid-19 comunque è rimasto sotto controllo: «Paradossalmente vivere per strada è un distanziamento naturale» racconta il responsabile Caritas. D’altro canto nei centri di accoglienza «non c’è mai stata un’emergenza nell’emergenza».
In un monitoraggio portato avanti da Tavolo asilo e Tavolo immigrazione e salute su 179 strutture di accoglienza di vario tipo – dai migranti ai senzatetto -, sono stati riportati, a ottobre 2020, 409 casi di positività su 9.754 beneficiari accolti, con un’incidenza dunque del 4,2 per cento. Adesso però bisogna tenere gli occhi aperti sulle varianti del virus: «In quel caso la situazione può sfuggire di mano».
Le Regioni
Simbolicamente il salto in avanti lo ha fatto Papa Francesco: «Il Vaticano ha una strada propria e ha vaccinato i poveri che si trovavano in quella zona». Ma parliamo di gennaio. Da allora nessuno ha cambiato atteggiamento, infatti, ricorda il responsabile Caritas, i piani sono due: «C’è sia quello nazionale, che quello regionale, ma si basa sui medici di base, in questi casi, possiamo noi segnalarli alle Asl oppure devono individuarli loro? Questo è un work in progress».
Michele Iacoviello, coordinatore cliniche mobili di Emergency, sottolinea che è fondamentale che si muovano tutti insieme. Le associazioni sperano in una nota, in un decreto ministeriale, che detti le regole alle Regioni per operare in modo uniforme, ma anche «in un coinvolgimento ufficiale del terzo settore», magari con dei tavoli locali.
La comunicazione
Oltre alle regole pratiche per arrivare alla somministrazione, serve una campagna di comunicazione multilingue per spiegare l’importanza del vaccino. «Serve l’utilizzo di mediatori culturali, ogni cultura ha un approccio diverso alla cura del corpo e delle sanità» ricorda Iacoviello.
Gli atteggiamenti no vax e la paura infatti non hanno colore. Negli ultimi mesi «sono circolate le peggiori fake news. Dall’aglio per combattere il virus, o la diceria che il Covid-19 colpisse i bianchi e non i neri».
Emergency ha prodotto dei video sulle misure di prevenzione anti Covid-19, come usare le mascherine, le hanno fatte circolare nelle comunità e messe in rete. Dal pidgin english – parlato in Nigeria – al wolof – lingua del Senegal –, le associazioni si sono mosse da sole per arrivare a tutti. Anche su questo un coinvolgimento diretto da parte del ministero della Salute potrebbe essere utile, anche in questo caso «il terzo settore può riuscirci».
Volontà politica
L’intervista dell’ex commissario Domenico Arcuri a Mezz’Ora in Più dove aveva detto che il vaccino deve essere per tutti, migranti inclusi, è l’unico riferimento esplicito che le associazioni ricordino, anche se adesso Draghi nel discorso dell’otto marzo ha parlato di categorie fragili, una definizione che adesso dovrà essere messa alla prova.
Una quantificazione numerica delle dosi necessarie non è mai stata fatta, anche se forse, ammettono, è impossibile. L’Ispi ha stimato più di 600 mila migranti non regolari: «Ma è una stima di una determinata categoria» evidenzia Iacoviello, a cui si vanno ad aggiungere tutte le altre.
La volontà per dare attenzione ai poveri e ai migrati, di fronte a tutte queste variabili, non può che essere politica: «Sappiamo bene che quando si parla di immigrati non sempre c’è» dice Geraci. Iacoviello aggiunge: «Per garantire la salute pubblica però è necessario».
Per questo la proposta è quella di partire subito e mettere insieme agli insegnanti e alle forze dell’ordine e agli abitanti delle comunità «i migranti e le persone che vivono negli insediamenti irregolari, come le occupazioni urbane, il ghetto di Foggia o quello di Rosarno».
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