In Italia ci sono luoghi di detenzione più invisibili delle carceri e dei centri di permanenza per i rimpatri (Cpr). Sono i cosiddetti luoghi idonei presso le questure e le zone di transito aeroportuali. Qui i cittadini stranieri in attesa di esecuzione del rimpatrio vengono trattenuti per ore, se non per giorni, in un contesto normativo grigio, dove non esistono tutele e monitoraggio. Se le carceri italiane sono un buco nero della democrazia e i Cpr dei lager di stato, i luoghi idonei presso le questure e le zone di transito aeroportuali sono aree di detenzione amministrativa discrezionale che per la legge è come se non esistessero, ma a cui il governo sta facendo sempre più ricorso.

Nel 2018 in Italia è entrato in vigore il cosiddetto “Decreto Salvini”. La legge, sbandierata come argine al boom degli sbarchi, è intervenuta tra le altre cose sul tema della detenzione amministrativa degli stranieri in attesa di rimpatrio, prevedendo che essa potesse avvenire non più solo nei Cpr, ma anche in «strutture diverse e idonee nella disponibilità dell'Autorità di pubblica sicurezza», nel caso in cui negli stessi Cpr non ci fosse più posto.

È con questa formula molto generica che in Italia è stata inaugurata la stagione dei luoghi idonei presso le questure. Succede che persone che si trovano sul territorio italiano da anni vengano convocate in questura per informazioni relative al rinnovo del permesso di soggiorno e si ritrovino invece sbattuti in una cella e poi, nel peggiore dei casi, imbarcati su un volo verso il loro paese di origine.

Hassan è arrivato in Italia da ormai oltre dieci anni. Ha ottenuto un permesso di soggiorno per protezione speciale, in patria subiva discriminazioni per una malattia da cui è affetto. In Italia si è costruito una vita e ha lavorato con contratti regolari. Il governo Meloni nel 2023 ha cancellato la tipologia del suo permesso di soggiorno, che intanto gli è pure scaduto. Qualche tempo fa la questura di Milano gli ha detto di presentarsi negli uffici con il passaporto, senza dargli ulteriori dettagli.

«Mi hanno fatto aspettare in sala d’attesa, poi sono arrivati gli agenti che mi hanno sequestrato il permesso scaduto, la mia carta d’identità italiana e il mio passaporto e mi hanno messo in una cella dicendo che entro poche ore mi avrebbero rimpatriato», racconta. «Non avrei mai pensato di poter ricevere un trattamento simile, dopo aver vissuto e lavorato per anni in Italia». La prassi prevede che le persone straniere trattenute nei locali della questura possano rimanerci per un massimo di 96 ore, durante le quali deve avvenire la convalide del rimpatrio del Giudice di pace. Il problema è che non esiste una legge a disciplinare questa restrizione della libertà personale. Che dunque si trasforma in una forma di detenzione grigia e arbitraria, fuori da ogni forma di controllo e in violazione di quelli che, normalmente, sarebbero i diritti dei detenuti.

Hassan è stato diverse ore nella cella della questura. «Mi hanno sequestrato il cellulare, mi hanno dato un pantalone sporchissimo e usato da altre persone, io non avevo niente con me perché ero andato in questura pensando di restarci pochi minuti», racconta. «C’era un materassino molto sottile su cui dormire, mentre per andare in bagno dovevi chiedere il permesso agli agenti che ti accompagnavano. Lì dovevi stare con la porta aperta, sotto sorveglianza. La mia privacy è stata violate». Alla fine il Giudice di pace non ha convalidato l’espulsione e Hassan è uscito dalla questura da uomo libero.

Diritti violati

Anche Adem, 31 anni, ha passato qualcosa di simile. Arrivato in Italia da bambino, dopo un lungo periodo di regolarità non ha più ricevuto risposta per il rinnovo del permesso di soggiorno, che intanto è scaduto. Lo scorso luglio lo hanno fermato per un controllo in strada ed è stato portato in questura.

«Avevano già il biglietto pronto per mandarmi in Marocco, era mezzogiorno e l’aereo partiva alle 18», spiega. «Mi hanno lasciato per sette ore in una cella, mi hanno tolto tutto lasciandomi in mutande senza neanche una coperta e ritirandomi il cellulare».

L’ambiente era una sorta di discarica: «Era sporchissimo, i muri cadevano in terra, il bagno era tutto nero. Mi hanno dato da mangiare del riso ma dentro c’erano le larve. Chissà da quanti giorni era lì». Adem è affetto da una malattia cardiaca, ha provato a spiegarlo agli agenti e a un certo punto ha finto un malore. Quando è stato portato in ospedale gli esami hanno confermato la sua sindrome e una volta in questura è stato liberato per le sue condizioni di salute. «Ho messo in scena un malore perché era l’unico modo per andare in ospedale e dimostrare che sono un soggetto fragile», spiega.

Come sottolinea in un report l’Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione (Asgi), «nessun protocollo è in essere con il servizio sanitario nazionale e i trattenuti non vengono sottoposti ad alcuna visita di idoneità prima di accedere alla struttura; questo perché, sostiene la questura, non vi è alcuna prescrizione di legge in tal senso». Ma non è l’unica mancanza. Sempre l’Asgi denuncia che durante la detenzione «il diritto di presentare reclami al Garante, il diritto di corrispondenza con l’esterno e perfino il diritto a un pasto caldo sono di fatto condizionati alla disponibilità dell’operatore di turno».

Uso smodato

Raccontare i luoghi idonei presso le questure non è facile, perché il loro monitoraggio è di fatto precluso. Abbiamo fatto richiesta alla prefettura di Milano per potervi fare visita, ma non abbiamo ricevuto risposta. Anche l’Asgi aveva ricevuto il rigetto al sopralluogo dalla questura di Milano, che poi è stato effettuato nel 2022 grazie al ricorso al Tar. Le richieste di un elenco dei luoghi idonei presso le questure italiane non ha mai avuto seguito e oggi non si sa quante siano e dove siano, né quante persone ci siano passate. Incrociando le varie testimonianze, solo a Milano le presenze sarebbero decine ogni mese.

In una serie di visite effettuate tra il 2020 e il 2021 ai luoghi idonei di Bologna, Parma e Trieste, il Garante dei diritti dei detenuti ha evidenziato numerose criticità sia dal punto di vista strutturale, chiedendo interventi di adeguamento e ristrutturazione, sia riguardo i diritti di base delle persone straniere recluse, come la comunicazione con familiari e avvocati e l’accesso alle informazioni sul loro status. L’Onu ha lamentato un’assenza di tracciabilità dei luoghi idonei e condizioni detentive che rischiano di tramutarsi in una violazione dell’articolo 17 della Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate, che vieta la detenzione segreta.

I luoghi idonei presso le questure sono zone grigie di detenzione, di cui si sa molto poco. «Negli ultimi tempi è incrementata la loro funzione. Con il nostro sportello stiamo entrando in contatto con sempre più persone coinvolte», denuncia Cesare Mariani, volontario dello sportello legale Naga. «Molti dei rimpatri ci risultano poco legittimati. Persone che avrebbero diritto a rimanere in Italia o perlomeno a ricorrere contro il provvedimento di espulsione rimanendo sul territorio, da un momento all’altro vengono invece rispedite nel loro paese di origine».

Quello che non funziona nei locali idonei è soprattutto l’isolamento totale, che rende molto difficile riuscire a dimostrare il proprio diritto a restare. E si crea anche un cortocircuito istituzionale. «I provvedimenti nel caso di domanda di protezione internazionale arrivano su parere della commissione territoriale e su esecuzione della questura, che sono a loro volta organi soggetti al ministero dell’Interno», sottolinea Mariani, che chiosa: «Questi attori agiscono su chiare indicazioni politiche, non c’è volontà di tutela».

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