I reclusi raccontano di torture in Libia. Attesa per le decisioni sulle convalide, che alla fine non sono arrivate: secondo il tribunale di Roma è impossibile «riconoscere come “paesi sicuri” gli stati di provenienza delle persone trattenute». Se dovessero tornare in Italia, il governo rischia la figuraccia in Ue
Aggiornamento ore 14.30 del 18 ottobre: il tribunale di Roma non ha convalidato i trattenimenti dei migranti portati nel Cpr in Albania. Per i giudici i dodici migranti (8 del Bangladesh e 4 dell’Egitto) devono essere rimessi in libertà. Il trattenimento non è stato convalidato perché è impossibile «riconoscere come “paesi sicuri” gli stati di provenienza delle persone trattenute», si legge nel comunicato. Qui tutti i dettagli.
Per il governo l’Italia continua a essere un modello nella gestione dei flussi migratori. Intanto però il progetto in Albania porta alla luce le prime falle del sistema, ancora prima che sia entrato pienamente a regime. Meloni aveva fretta di rendere operativi i centri di trattenimento per migranti costruiti oltremare e per questo il ministero dell’Interno ha permesso una spesa di oltre 200mila euro per il trasferimento di sedici persone.
Oltre al viaggio di andata, quattro migranti hanno percorso quello di ritorno e sono sbarcati al porto di Brindisi: due perché hanno dichiarato di essere minorenni, gli altri due perché in condizioni di vulnerabilità.
Viene prima di tutto da chiedersi come siano state fatte le operazioni di pre-screening, quelle che secondo il protocollo dovrebbero operare una prima selezione tra chi ha il diritto a salvarsi e approdare sul territorio italiano ed europeo, perché soggetto cosiddetto vulnerabile, e chi deve invece affrontare la deportazione.
Le procedure accelerate di frontiera infatti, applicate alle persone trattenute nei centri albanesi, non possono, per legge, essere destinate a minori, donne in gravidanza, vittime di tratta di esseri umani e altri soggetti con esigenze particolari. Aspetti difficili da rilevare in un colloquio rapido, ma l’intesa prevede che questa fase venga svolta in mare.
«Una cernita che evidentemente non funziona», ha detto Riccardo Magi, segretario di Più Europa, che con altri tre parlamentari dell’opposizione ha ispezionato il centro di trattenimento di Gjadër. «A dire dei detenuti attuali», continua, il discrimine sarebbe stato il possesso o meno del documento.
E, secondo le testimonianze raccolte, almeno quattro persone hanno raccontano di aver vissuto periodi di detenzione nei lager libici, rapimenti, torture, lavoro in schiavitù. «Storie», ha aggiunto Magi, «che non sono state prese in considerazione». Da un lager all’altro, dalla Libia all’Albania.
Richieste di convalida
Il vero scoglio che il governo teme di non superare è, però, quello della sezione immigrazione del tribunale di Roma, che questa mattina dovrà decidere se convalidare o meno il trattenimento. I dodici cittadini egiziani e bengalesi detenuti nel centro di Gjadër, provenienti da paesi di origine sicuri, hanno fatto richiesta di protezione internazionale. A preoccupare il governo è una recente sentenza della Corte di giustizia Ue che ha messo in discussione la definizione di paese sicuro.
Per i giudici europei un paese può essere considerato tale solo se lo è nella sua interezza, ma per la maggior parte dei 22 stati designati dal governo questo non accade, perché si escludono determinate categorie di persone o parti di territorio. In base alla decisione, non possono essere considerati sicuri, tra gli altri, proprio Egitto e Bangladesh, i paesi di provenienza delle dodici persone recluse in Albania.
Dopo il primo inciampo, ecco anche il secondo, che potrebbe portare tutto il gruppo detenuto a Gjadër in Italia. «Chi viene portato qui è sostanzialmente una cavia del governo», ha detto Rachele Scarpa, deputata del Pd, parte della delegazione che ha ispezionato i centri. Cosa rimarrebbe? Oltre 200mila euro di costi per spostare una nave da guerra, da aggiungere a circa un miliardo già speso, tra costruzione, gestione e altro.
Paesi sicuri
Bangladesh ed Egitto sono due aggiunte recenti fatte dal governo nell’elenco dei paesi di origine sicuri, e coincidono con le nazionalità di maggiore arrivo. Essere in questa lista significa avere meno garanzie, tempi ristretti e una buona possibilità che la propria domanda di asilo venga rigettata perché, secondo le valutazioni ministeriali, la situazione del paese sarebbe tale da presumere che le richieste di protezione internazionale non siano fondate. Qualcosa però può cambiare dopo la sentenza europea.
Ad ogni modo, proprio dalle schede paese del ministero emergono buone ragioni per non considerarli sicuri. Da scarsa indipendenza della magistratura, corruzione, un graduale restringimento degli spazi di dissenso e l’arresto di migliaia oppositori politici durante il «crescente autoritarismo» del governo di Sheikh Hasina, che è poi fuggita in India per le proteste antigovernative fortemente represse. Le autorità del paese hanno emesso un mandato di arresto per l’ex premier per crimini contro l’umanità.
Così l’Egitto di al-Sisi, inserito proprio su richiesta del ministero dell’Interno nell’elenco. La Farnesina non si prende la responsabilità della scelta di considerare sicuro il paese con il più alto numero di esecuzioni capitali, e un numero tale di arresti arbitrari, detenzioni illegali, maltrattamenti, sparizioni forzate da allertare il Comitato sulla tortura dell’Onu.
Bisogna solo aspettare le decisioni del tribunale ma le premesse non sembrano lasciare margini alla possibilità di convalidare i trattenimenti. Se poi questo dovesse accadere, ci si chiede quale sarà il destino delle persone recluse: verranno portate in Italia con una nave al costo di migliaia di euro? Un viaggio in aereo sarebbe molto più conveniente, ma implicherebbe la presenza di militari italiani sul suolo albanese.
Per il governo i centri albanesi sono un investimento per il futuro, perché meno costosi dell’accoglienza in Italia. A smentire questi dati, il ricercatore Matteo Villa dell’Ispi, che con un rapido calcolo ha dimostrato come i centri di Shëngjin e Gjadër costano nove volte l’accoglienza in Italia e riuscirebbero a rimpatriare il 2 per cento di migranti che arrivano nel nostro paese.
Cattive notizie per il governo che, senza dubbio, proverà a studiare altre vie per rendere legale ciò che oggi legale non è, trovando una sponda in un’Europa che va sempre più a destra. A meno che il fallimento non sia eclatante.
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