Le finali del campionato di calcio libico, che si sono tenute nei giorni scorsi in Italia tra rinvii e situazioni al limite dell’assurdo, sono l’emblema delle tensioni e del caos politico che regna nel paese nordafricano. La trasferta delle sei squadre era iniziata male ed è finita peggio, per via della presenza alla cerimonia di premiazione allo stadio dei Marmi a Roma di Khaled Haftar, capo di Stato maggiore delle Forze di sicurezza dell’Esercito nazionale di liberazione, nonché figlio del generale della Cirenaica Khalifa Haftar.

Nella Capitale, però, si trovava in veste di presidente della squadra vincitrice del torneo, l’Al Nasr. Ciononostante, la sua presenza in platea ha provocato imbarazzi tra i ministri italiani e dissidi con le autorità libiche del governo di unità nazionale, “nemico” di Haftar, seduti a pochi metri da lui. Ma, prima di arrivare alla fine di questa storia, bisogna partire dall’inizio.

I calciatori dell'Al Nasr alzano il trofeo insieme al figlio del generale Haftar (credits: Youssef Hassan Holgado)
I calciatori dell'Al Nasr alzano il trofeo insieme al figlio del generale Haftar (credits: Youssef Hassan Holgado)

La decisione di disputare le Final six della Premier League libica in Italia è stata presa durante il viaggio istituzionale del 7 maggio scorso della premier Giorgia Meloni, recatasi a Tripoli insieme ai ministri Andrea Abodi, Anna Maria Bernini e Orazio Schillaci. In quello stesso giorno, la premier si è recata poi a Bengasi dal generale Haftar. L’altro suo figlio, Saddam, è accusato di essere dietro il traffico di esseri umani che parte dall’est del paese. Da inizio maggio, quindi, si è messa in moto una macchina organizzativa non indifferente: le autorità italiane hanno seguito e accontentato la parte libica nella lunga trafila per scegliere gli stadi in cui disputare il torneo e nelle questioni logistiche. Dopo rinvii e sopralluoghi falliti, il torneo si è alla fine disputato in quattro stadi tra Campania e Abruzzo. L’intera trasferta, come Domani ha scritto nelle scorse settimane, è stata pagata circa 1,5 milioni di euro dallo sponsor petrolifero Tamoil.

L’invito della discordia

(Credits: Youssef Hassan Holgado)

Si è arrivati così, la mattina del 23 luglio, alla cerimonia conclusiva allo stadio dei Marmi, a due passi dall’Olimpico. Un sospiro di sollievo per le autorità italiane dopo quasi un mese di deliri? Non proprio. Ad alimentare le tensioni ci ha pensato il figlio del generale Haftar, Khaled, che si è presentato in platea circondato da quattro guardie del corpo.

Una presenza che stonava nel contesto istituzionale della cerimonia. Eppure, secondo la Farnesina, «Khaled Haftar, proprietario della squadra vincitrice Al Nasr, non è sottoposto ad alcuna sanzione o restrizione. È stato invitato alla cerimonia, organizzata dalla Federazione calcistica libica con l’assistenza della Figc».

A quanto risulta a Domani il coinvolgimento della federazione italiana è consistito solo nel fornire gli arbitri italiani per le partite. Mentre gli inviti sono stati mandati dalla Federcalcio libica, che ha deciso di far sedere a pochi metri di distanza il figlio del generale, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, il ministro dello Sport Andrea Abodi e il suo omologo libico Abdulshfie Hussien Aljwifi, rappresentante del governo di unità nazionale di Abdel Hamid Dbeibeh, con sede a Tripoli (opposto alla sfera di potere di Haftar). C’erano poi il presidente della Federcalcio libica, Abdulhakin Al-Shalmani, e di quella italiana, Gabriele Gravina.

Non è consueto trovare due esponenti delle fazioni opposte libiche seduti a pochi metri di distanza. Il figlio del generale della Cirenaica è arrivato a bordo di un’auto di grossa cilindrata, con quasi un’ora di ritardo, e se n’è andato in protesta mentre sul palco i ministri italiani, quello libico e le autorità della Federcalcio erano in procinto di premiare i suoi giocatori.

Il motivo? Secondo quanto apprende Domani, a Khaled Haftar non è stato permesso di salire sul palco e ricevere il trofeo con loro. Il governo Meloni aveva preso accordi con quello di Tripoli e farlo salire sul palco avrebbe rappresentato una grave gaffe diplomatica con il governo di Tripoli. È stato in quel momento che sono iniziate le tensioni: i calciatori – tranne il capitano – non sono scesi a ricevere la medaglia d’oro, lasciando i ministri da soli sul palco sotto il sole cocente romano.

I ministri Tajani, Abodi e l'omologo libico di quest'ultimo aspettano invano per premiare i calciatori libici (credits: Youssef Hassan Holgado)

Il figlio del generale libico non ha preso bene il rifiuto: ha lasciato la platea ed è montato in macchina. Dopo pochi metri l’auto si è fermata nel parcheggio, circondata dai giocatori libici, che lo hanno convinto a scendere. Lo staff della squadra e chiunque provava a riprendere la scena con il cellulare o le telecamere è stato subito bloccato con violenza dalle guardie di Haftar. Ma quando al figlio del generale è stata consegnata la coppa per festeggiare insieme ai calciatori, la tensione si è trasformata in euforia. In pochi secondi è diventata la vera star dell’evento. E i ministri italiani e il ministro libico, in evidente imbarazzo, sono rimasti con le medaglie in mano.

Parole al vento

La cerimonia di premiazione è stata la classica passerella politica. Mentre il ministro Abodi era sul palco, prima della fallita premiazione, i calciatori dell’Al Nasr hanno intonato cori interrompendo il suo discorso più volte.

Tajani ha fatto intendere che aver ospitato le finali di calcio in Italia è un primo passo verso la cooperazione su dossier più importanti per il governo Meloni, come quelli sui migranti. «Queste giornate rappresentano un momento importante nella nostra diplomazia», ha detto il ministro degli Esteri non sapendo come sarebbe finita la mattinata. Il discorso più lungo è stato pronunciato dal presidente della Federcalcio libica al-Shalmani, che ha parlato di «integrazione» e «fratellanza» e ha contraccambiato l’invito italiano, dicendosi disponibile a ospitare eventuali competizioni con squadre italiane in Libia.

Parole che però non hanno riscontro con una realtà caratterizzata da divisioni sociali e politiche che sfociano continuamente in violenze. Da martedì sera a Zawiya sono in corso violenti scontri armati tra milizie rivali, che stanno tenendo in ostaggio i civili nella città situata a 50 km da Tripoli e che da anni è in mano ai trafficanti di migranti e di droga. La stessa sera a Bengasi, dalla parte opposta del paese, Khaled Haftar e i suoi giocatori sono stati accolti da migliaia di tifosi in festa per celebrare il terzo campionato vinto nella storia del club.

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