- Oltre 27 milioni di euro presi dagli “oneri di sistema”, una voce delle bollette dell’energia, versati da tutti i consumatori, per finanziare progetti di efficienza energetica inesistenti. Questa la truffa emersa dall’indagine internazionale a cui ha partecipato dal Guardia di finanza di Aosta.
- Nell’ordinanza di custodia cautelare verso 17 persone si legge nero su bianco un altro elemento che tira in ballo direttamente lo stato: il Gse, il gestore dei servizi energetici, società detenuta interamente dal ministero dell’Economia che si occupa di erogare gli incentivi milionari attraverso il sistema dei “certificati bianchi”, non ha vigilato abbastanza.
- Per la procura di Torino emerge «la mancanza di diligenza da parte dell’ente erogatore nell’eseguire adeguati controlli». Il Gse si dichiara parte lesa.
Oltre 27 milioni di euro presi dagli “oneri di sistema”, una voce delle bollette dell’energia, versati da tutti i consumatori, per finanziare falsi progetti messi in campo da Esco, società che si occupano di efficienza energetica. Si va dalla sostituzione di caldaie alla coibentazione di pareti, fino ai cappotti termici, su edifici reali che però insieme a ditte e persone inconsapevoli, sono stati sistematicamente individuati attraverso semplici ricerche sul web e mai realizzati.
È la nuova frontiera della truffa green, descritta nell’indagine internazionale della guardia di finanza fra Italia e Germania che fotografa un sistema di appropriazione indebita e riciclaggio che ha portato a diciassette arresti e 113 indagati.
Nell’ordinanza cautelare disposta dalla giudice per le indagini preliminari del tribunale di Torino, Francesca Firrao, c’è un altro elemento che coinvolge direttamente lo stato: il Gse, il gestore dei servizi energetici, società del ministero dell’Economia che eroga incentivi milionari attraverso il sistema dei “certificati bianchi”.
La truffa
La Guardia di Finanza di Aosta ha eseguito martedì cinque arresti nei confronti di un italiano in Svizzera e quattro tedeschi, uno dei quali domiciliato a Catania. Tutti accusati di riciclaggio. L’operazione è stata condotta con il coordinamento dell’Agenzia Europea per la Cooperazione Giudiziaria, Eurojust, attraverso una squadra investigativa comune tra la procura della Repubblica di Aosta e quella di Duisburg.
Le forze dell’ordine hanno sequestrato conti correnti, immobili e criptovalute, per un valore totale di 41 milioni di euro, l’equivalente delle somme ottenute con la truffa e di quelle riciclate.
I fatti documentati partono dal 2016 e arrivano al 2020. A luglio del 2019, il nucleo polizia economico finanziaria di Aosta, ha scoperto che una società fantasma, la PowerQ s.r.l., che in teoria si occupava di lavori di efficienza energetica, aveva sede in un magazzino dismesso, senza realizzare nemmeno una caldaia aveva ottenuto circa 27 mila “certificati bianchi”, rivenduti allo stato a 8 milioni di euro, a fronte di 26 falsi progetti presentati al Gse.
L’obbligo
Il meccanismo dei certificati bianchi nasce dal fatto che l’Italia deve rispettare ogni anno impegni precisi di risparmio energetico per emettere meno CO2. Le aziende distributrici di energia elettrica e gas con più di 50mila clienti finali, come E-distribuzione del gruppo Enel o Italgas, devono mettere in campo progetti di efficienza energetica che diano diritto ai “certificati bianchi”, oppure acquistare i certificati da altri operatori del settore: le Esco, come la PowerQ della truffa.
Il Gse riconosce sia alle aziende distributrici sia alle Esco, un numero di certificati corrispondente al risparmio di energia ottenuto grazie agli interventi realizzati. I certificati vengono poi scambiati sul mercato dei Titoli di efficienza energetica gestito dal Gestore dei mercati energetici (Gme). Alla fine del ciclo il Gse paga alle aziende i certificati con risorse ottenute dagli oneri di sistema in bolletta.
Il beneficio si basa sul valore di mercato dei certificati bianchi, oggi 270 euro a titolo. Quanto la voce pesi sui cittadini non è dato sapere nel dettaglio, ma nel 2020 il costo complessivo di certificati e conto termico (incentivi alla produzione di energia termica) ha superato il miliardo di euro.
Il ruolo del Gse
Oltre alla prima società fantasma, la Guardia di finanza ne ha trovate altre sette e gli indagati volevano costituirne altre. Negli anni presi in esame son stati presentati 95 falsi progetti per lavori mai effettuati. Tutte le aziende hanno «sfruttato le falle del sistema legislativo dell’incentivazione del risparmio energetico globale».
Le fasi di accreditamento presso il Gse e di presentazione e valutazione dei progetti, sono avvenute esclusivamente online, e nessuno ha mai verificato. A quanto si legge nell’ordinanza, «non viene effettuato, di norma, alcun controllo».
Dei 27 milioni di proventi illeciti, 14 sono stati riciclati con un sistema di false fatturazioni tra le otto Esco e numerose società italiane ed estere compiacenti o costituite ad hoc. Il denaro arrivava su conti in Albania, Bulgaria, Germania, Liechtenstein, Malta, Principato di Monaco, Slovenia, Spagna, Svizzera, Regno Unito, Ungheria, e rientrava in Italia in contanti, attraverso corrieri, per poi essere reinvestito in strumenti finanziari, criptovalute e immobili di lusso tra cui due ville a Ischia e Ventotene.
La reazione del Gse
Nel rapporto 2020 del Gse infatti si legge che, nell’ambito dei certificati bianchi, quando c’è stata, l’attività di controllo sulle “schede standard”, una delle modalità che permettono di ottenere l’incentivo, ha comportato la revoca del beneficio nel 90 per cento dei casi.
Il Gse interpellato da Domani ribadisce di essere parte lesa: «L’indagine si dovrebbe inserire in un più ampio fenomeno di truffe subite dal Gse», e «fin dal 2015, avendo rilevato numerose criticità, si è attivato per richiedere al ministero dello Sviluppo economico l’abrogazione di alcune specifiche schede standard poi avvenuta con decreto del 22 dicembre 2015».
Ma le indagini e il rapporto del gestore dimostrano che i problemi sono andati avanti nonostante questa modifica. Per la procura di Torino, infatti, dall’indagine emerge «la mancanza di diligenza da parte dell’ente erogatore nell’eseguire adeguati controlli».
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