Nel 1980 lo scrittore Nick Hornby convisse con l’idea della cessione di Liam Brady «come negli anni Cinquanta e Sessanta gli adolescenti americani avevano convissuto con la possibilità di un’apocalisse incombente». Poi il nucleo centrale del suo Arsenal divenne un calciatore della Juventus e lui ebbe diversi campionati per disperarsi come se l’apocalisse fosse arrivata. L’Arsenal provava centrocampisti e il suo cuore era assediato dall’atomica dei calciatori inutili. Brady era l’intelligenza del passaggio, col buon senso. Ma solo una élite di tifosi e giornalisti lo citerebbe come un calciatore che venendo dalla Premier League ha sconvolto il campionato italiano. È stato importante, ma non fondamentale.

In queste settimane Manchester, sponda United, sta piombando nella sindrome Hornby vedendo Scott McTominay che in pochissimo non solo è diventato titolare nel Napoli di Antonio Conte, ma subito è diventato il nucleo centrale del cuore dei tifosi. Giocano a suo favore le dichiarazioni maradoniane che da scozzese vengono facili vista la rivalità con l’Inghilterra e quello che Maradona fece alla nazionale inglese nel mondiale dell’86 in Messico. McTominay ha mostrato subito una duttilità tattica, una tecnica non comune e la facilità col gol, tanto da far alzare il coro di quelli che pensano che passare dalla Premier al campionato italiano significa scendere un gradino. È così, perché tranne poche eccezioni, i calciatori che abbandonano il campionato inglese lo fanno o perché sono a fine carriera o perché hanno bisogno di un giro di campo diverso. Ma c’è un dato strano: quello di Gianfranco Zola che dal Parma passò al Chelsea e il cui impatto è paragonabile a quello ipotizzato e non realizzato, sognato e non avverato, di Chinaglia che passa al Frosinone.

Ancora oggi è evocato, ricordato, rimpianto, e forse uno così non l’avranno più anche perché quelli come Zola sono usciti fuori produzione. Per trovare uno che entra così nella storia di una squadra nel passaggio inverso bisogna andare a John Charles che dal Leeds Utd arriva alla Juventus e forma con Omar Sivori una delle coppie migliori di sempre del campionato italiano. Se rapidamente e senza Google ripensiamo agli arrivi dalla Premier al campionato italiano tra inglesi e non, scopriamo che il vero grande evento sconvolgente non viene da un calciatore, ma da un allenatore: José Mourinho che dal Chelsea passa all’Inter.

ANSA

Chi ha funzionato e chi no

Nemmeno Paul Gascoigne – uno che per dirla alla Hornby aveva come Brady l’intelligenza del passaggio, ma non il buon senso – impatta radicalmente sul campionato italiano, un artista del calcio che, però, non smuove – calcisticamente – niente. Grandi giocate, grandi ricordi – soprattutto fuori dal campo – ma non solo zero tituli, in tutto sei gol. C’è anche chi arrivando dalla Premier come una promessa non mantenuta è poi tornato in Premier da grande attaccante ed ha anche soppalcato rispetto alle aspettative: Mohamed Salah che arriva dal Chelsea alla Fiorentina, passa alla Roma e poi esplode nel Liverpool. In questo caso il campionato italiano è stato un purgatorio perfetto per rigenerarsi e tornare nel Paradiso della Premier.

Una storia quasi simile a quella di Paul Pogba che poi ha commesso l’errore di tornare nella squadra dove era stato felice, perdendosi. Il centrocampista francese, arriva alla Juventus da fenomeno delle giovanili del Manchester United – con solo tre presenze in Premier – impatta fortemente sul nostro campionato, vince, è protagonista, ma torna a Manchester dove vince l’Europa League e poi, però, ritorna alla Juventus, dove non pesa più e dove poi finisce nel limbo di una squalifica per doping. Da Manchester – sponda City – arrivò anche l’argentino Carlos Tévez che fece la differenza, anche se neppure lui basta per vincere la Champions League. Per dire calciatori come David Beckham o David Platt sono passati invano, di uno come Luther Blissett si ricordano di più i libri del collettivo di scrittori che ne prese il nome che le sue partite, ma anche Trevor Francis o Graeme Souness non hanno inciso come ci si aspettava per non dire dell’attaccante Ian Rush.

ANSA

Un attaccante invece che arrivando dalla Premier ha influito e tanto è stato Romelu Lukaku che passa dal Manchester United all’Inter anche se i campionati in pandemia andrebbero considerati a parte, senza pubblico e con un tempo diverso, ma l’attaccante belga ha poi dimostrato nel suo andirivieni dalla Premier al campionato che fa sempre la differenza. I calciatori che scendono dall’Inghilterra portano in Italia una maggiore fisicità, un dinamismo diverso con un tempo di gioco accelerato, la capacità di cambiare ruolo: un concetto da basket dove tutti sanno fare un po’ tutto – colpa di Pep Guardiola che come Voltaire è il padre delle derive –, e anche una mentalità che punta al titolo come risposta totale agli sforzi. In Italia scoprono i ritmi bassi, l’eccesso tattico, una narrazione capace di fare a mano della sportività, delle rivalità assolute su basi effimere e una vocazione non al pareggio ma all’accondiscendenza verso la sconfitta.

Le caratteristiche

I calciatori dalla Premier si portano dietro la capacità di giocare fino all’ultimo secondo inseguendo il risultato, ma se pensiamo a calciatori come Luca Vialli (Chelsea), Paolo Di Canio (Sheffield e West Ham), Benny Carbone (Sheffield e Aston Villa) o adesso Sandro Tonali (Newcastle), Riccardo Calafiori (Arsenal) e Federico Chiesa (Liverpool) che portano in Premier una anima latina carica di stupore, con attimi d’improvvisazione che escono dal calcio canonizzato, forse ci accorgiamo che dovremmo stare più attenti alla fantasia, ormai perduta, che sui prati del nostro campionato germogliava e rimaneva a stupire la provincia: uno come Pietro Maiellaro lo avrebbero amato in Inghilterra.

In questi anni è successo che l’Italia ha esportato giocatori capaci di sorprendere e si ritrova McTominay che riporta a casa quelle giocate con l’aggiunta della fisicità. Lo scozzese – nato in Inghilterra – è l’evoluzione di questi scambi. A Napoli la fisicità prima di McTominay era Anguissa: uno imponente e lento, padrone del centrocampo, ma senza strappi né velocità, e si ritrova ora uno imponente, veloce e con i piedi di Steven Gerrard che mai sarebbe venuto a giocare in Italia. Un Marek Hamsik più alto di dieci centimetri nato e cresciuto sotto la stella di Alex Ferguson, che dice di aver sentito il fuoco, sarà quello del Vesuvio: i cerchi del cratere ricordano quelli danteschi e non è detto che scendendo non ci si diverta.

© Riproduzione riservata