- Tralasciando i suoi risvolti politici, il disegno di legge che contrasta l’omobitransfobia ha ingenerato una crepa nel mondo cattolico. Sulle parole del ddl si giocano le perplessità del Vaticano, incerto sulla vaghezza di termini come «identità di genere».
- Eppure, fra i cattolici non sono mancate voci dissonanti. L’ultima, in ordine temporale, è quella del Coordinamento delle teologhe italiane (Cti), che in un comunicato ha appoggiato le istanze del ddl Zan.
- La non chiara visione ecclesiale sulla questione gender si manifesta in due documenti vaticani coevi: Maschio e femmina li creò, edito dalla Congregazione per l’educazione cattolica nell’agosto 2019, e Che cos’è l’uomo.
Mentre a palazzo Madama si sta per decidere il destino del ddl Zan, approvato alla Camera il 4 novembre 2020 e rallentato da 170 audizioni in commissione Giustizia al Senato, c’è da domandarsi se, mutuando il proemio del documento conciliare Gaudium et spes, «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi» coincidano o meno con «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo».
Tralasciando i suoi risvolti politici, il disegno di legge che contrasta l’omobitransfobia ha ingenerato una crepa nel mondo cattolico. Ne ha dato conto Nando Pagnoncelli sul Corriere della Sera lo scorso 10 luglio, presentando un sondaggio sulla posizione dei cattolici praticanti in merito alla legge che prevede aggravanti per chi discrimina la comunità Lgbt: il 30 per cento degli intervistati si è detto favorevole, mentre il 17 per cento ha espresso contrarietà, ma solo al testo attuale.
Hanno chiesto una «rimodulazione» del testo i vescovi italiani che, dopo aver dissentito per mesi, hanno lasciato agire la Santa sede: con una nota diplomatica datata 17 giugno, la Segreteria di stato vaticana ha, così, chiesto una modifica in nome del Concordato tra i due stati, che è garantito dalla Costituzione. Eppure, malgrado il suo coinvolgimento, fra i cattolici non sono mancate voci dissonanti. L’ultima, in ordine temporale, è quella del Coordinamento delle teologhe italiane (Cti), che in un comunicato ha appoggiato le istanze del ddl Zan: «Sono insopportabili e inaccettabili le cattiverie, le chiusure, gli insulti che feriscono le sorelle e i fratelli omosessuali o che affrontano difficili e delicati percorsi psicologici e sanitari per sintonizzarsi con sé stessi e con la loro esperienza intima. È ora di scegliere da che parte stare» hanno tuonato.
La pensa così anche l’ex presidente, la teologa Cristina Simonelli, che dichiara: «L’articolo 1 del ddl Zan non è scritto molto bene. Però è una legge, non un trattato sul genere. Sul linguaggio ci saranno altri contesti e altri momenti per approfondire meglio, ma concordo largamente sul comunicato diffuso dal Cti, soprattutto la sua presa di distanza dalla discriminazione e dalle connivenze legate al silenzio».
«Identità di genere»
Sulle parole del ddl si giocano le perplessità del Vaticano, incerto sulla vaghezza di termini come «identità di genere», l’identificazione percepita e dichiarata di sé in relazione al genere, seppure non corrispondente al sesso: «Siamo consapevoli che la questione è complessa. In passato, era ovvio parlare di maschio e femmina in nome di una normatività eterosessuale», spiega padre Martin Lintner, teologo morale. «Oggi le scienze ci dicono che ci sono persone che, a livello del corpo, non sono chiaramente né maschi né femmine: la chiesa e i teologi devono riconoscere questo e, se crediamo che la realtà terrestre sia parte della creazione, dobbiamo cercare di interpretare queste realtà nella prospettiva della fede».
La teologa Simonelli spiega che l’indefinitezza di talune espressioni obiettata dalla Santa sede non corrisponde alla linea del magistero di papa Francesco, almeno da quanto emerge in taluni testi: «In Amoris laetitia ci sono due diverse accezioni di genere: è l’approccio aperto di papa Francesco, che si allontana dalla chiusura delle gerarchie, manifestata nella convenzione di Pechino sulla donna e riconfermata dalla mancata adesione del Vaticano alla convenzione di Istanbul». In altri documenti, però, è il papa stesso a frenare sulla «dissolvenza delle differenze», come nell’enciclica Laudato si’ dove, pur occultando il termine «genere», si rifà a una catechesi pronunciata appena un mese prima, in cui contestava la tendenza a «cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa».
Doppio approccio al gender
La non chiara visione ecclesiale sulla questione gender si manifesta in due documenti vaticani coevi: Maschio e femmina li creò, edito dalla Congregazione per l’educazione cattolica nell’agosto 2019, e Che cos’è l’uomo, pubblicato dalla Pontificia commissione biblica un mese dopo: «Il primo documento intende la questione dell’identità di genere in modo così statico da non poter essere applicato in senso pratico, magari neanche da chi l’ha proposta», spiega Simonelli. «D’altra parte, gli esegeti stanno facendo un grande lavoro di liberazione dei testi, come nel secondo caso, dove per esempio il male morale nel racconto biblico di Sodoma non è quello, erroneamente interpretato, della pratica omosessuale, ma la non accoglienza e l’odio verso lo straniero». Interpreta quest’approccio Damiano Migliorini, dottore di ricerca all’università di Verona, fra gli esperti italiani della questione Lgbt nel cattolicesimo: «La chiesa accetta l’esistenza di una pluralità di identità sessuali, ma poi non trae conclusioni. Se si ammettono forme di identità sessuale diverse, allora queste andrebbero tutelate con una terminologia specifica» spiega.
Andrea Grillo, docente di teologia e di filosofia presso il Pontificio ateneo sant’Anselmo di Roma, aggiunge: «Il teologo potrebbe chiedere che le distinzioni e le definizioni siano articolate e differenziate meglio: per questo, ci sono gli uomini politici e i giuristi. Eppure, il teologo sa anche bene, e deve dirlo a voce alta, che la tutela dei soggetti è il valore primario e che la solidarietà con i discriminati è prioritaria. La possibilità di una differenza tra identità sessuata e identità di genere non è anzitutto un’ideologia, ma una realtà con cui fare i conti. L’idea che le leggi di difesa dei diritti siano “pedagogie pericolose” ha almeno 200 anni e può diventare essa stessa un’ideologia».
Nuova antropologia
Per la Santa sede la visione antropologica del ddl Zan non collima con la rivelazione: «Ci sono espressioni della Sacra Scrittura e delle tradizioni ecclesiastiche del magistero autentico del Papa e dei vescovi, che considerano la differenza sessuale, secondo una prospettiva antropologica che la Chiesa cattolica non ritiene disponibile», recita la nota. Un’obiezione poi rilanciata dal presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, su Repubblica il 9 luglio: «Ci sono valori umano-universali che il cristianesimo porta con sé e che dobbiamo sempre più saper mettere in campo a servizio del bene comune». Per Grillo, «la preoccupazione del cardinale Bassetti non viene formulata come un attacco ai valori cristiani, ma come una riduzione della libertà di difenderli e professarli, però se ogni “diritto soggettivo” è visto come una minaccia alla comunione, si porta tutto sul piano di uno “scontro tra culture” che schiaccia i soggetti da tutelare».
Più netto è il giudizio della teologa Simonelli: «Far coincidere il magistero autentico della chiesa con la rivelazione divina non è accettabile, oltre a creare problematicità dal punto di vista ecumenico con le altre chiese cristiane». Per Lintner, il punto di partenza della questione è complesso: «Basandosi sulla rivelazione divina, la chiesa riconosce la normatività dell’identità sessuale identificabile come maschile o femminile ed eterosessuale e, a chi non si ritrova in questa visione antropologica, chiede di accettare la propria situazione come “difettosa” rinunciando alla sessualità. Se la legge Zan chiede di promuovere i diritti civili delle persone di varie identità di genere, la chiesa si sente costretta di fare qualcosa contro le proprie convinzioni, che interpreta come derivate dalla rivelazione divina e che quindi non può semplicemente abbandonare o modificare», spiega. Questo pone la chiesa davanti a una sfida: «Deve chiedersi come integrare le conoscenze umane con la complessa realtà della sessualità e dell’identità sessuale: è un processo di apprendimento ecclesiale che non sappiamo come finirà».
La questione transgender
La faccenda si complica con l’inclusione della comunità transgender, perché secondo Migliorini «la chiesa fa fatica ad accettare l’esistenza di altre identità sessuali, oggi scientificamente riconosciute come varianti della sessualità umana, con tutto ciò che ne consegue».
Gli fa eco Simonelli la quale, malgrado riconosca che «si può anche discutere sull’utilizzo di acronimi che, per loro natura, vengono gradualmente estesi, come Lgbtqi+», ammette che «si ignora che sono in gioco vite umane e grandi sofferenze legate alla disforia di genere, e che queste persone sono oggetto di violenza e discriminazione».
Per Lintner, «la chiesa non fatica tanto nel riconoscere che esistono queste persone, quanto piuttosto nell’accogliere il loro riconoscimento civile, con propri diritti». Anche Grillo ritiene che l’intenzione della chiesa sia favorire sempre l’accoglienza, il dialogo e l’assenza di pregiudizi, salvo poi ammettere che «le categorie con cui ragiona su tali questioni sono spesso rozze. Dovremmo pensare che, nella chiesa, la sfida della Zan non va vista come pericolo per la nostra dottrina, ma occasione per formulare meglio il sapere antropologico cristiano».
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