Maureen Downey è una che nel vino pregiato ci sguazza. Questo perché colei che è conosciuta come la “Sherlock Holmes dei vini” non solo è tra le massime esperte mondiali di bottiglie rare, ma anche perché la sua fama è esplosa proprio in relazione a una collezione di etichette stellari, poi rivelatasi una delle più celebri frodi del settore.

Vino amaro (Sour Grapes), è il titolo del documentario di Netflix che ripercorre la colossale truffa organizzata da Rudy Kurniawan. Un ragazzo di origini indonesiane che fino al 2012 ha venduto a collezionisti miliardari bottiglie mai prodotte – come le annate del 1945, 1949 e 1966 del Domaine Ponsot Clos saint Denis – o che esistevano in numero inferiore agli esemplari da lui venduti – come le magnum dello Château Lafleur del 1947 – o ancora che contenevano mix fantasiosi, come l’introvabile Château Mouton-Rothschild del 1945 (dal costo unitario di oltre 20 mila euro), “ricreato” con vini comuni.

Già dal 2002 Downey, che ha studiato ospitalità alla Boston University, lavorato in ristoranti e in una casa d’aste di vini, sosteneva che Kurniawan fosse un millantatore. Così però, a suo dire, è diventata una specie di “paria” per molti addetti ai lavori, scontenti dell’attenzione da lei ridestata sulla contraffazione enologica: «Ho dovuto portarmi le guardie del corpo alle degustazioni di vini e sono stata aggredita fisicamente» ha raccontato poche settimane fa a Wine Speed. «Purtroppo nel settore ci sono un sacco di soldi e di fragili ego maschili che gareggiano a “la mia bottiglia è più grande della tua”. Sentirsi dire che le loro preziose etichette erano false era più di quanto potessero sopportare».

Secondo le stime avanzate da Downey, i soli “residui” del caso Kurniawan equivalgono a 550 milioni di dollari di falsi in circolazione, perché il rivenditore che scopre una contraffazione «risarcisce il cliente in cambio della restituzione della bottiglia e di un accordo di riservatezza, ma non la distrugge». Così i vini finiscono per essere venduti in Asia, o riciclati.

Proprio il caso di Kurniawan, condannato a 10 anni di prigione ed espulso dagli Usa, ha spinto i falsari a diventare sempre più abili, al punto che di recente in Francia sono state scoperte bottiglie di Romanée-Conti del 2014 che presentavano sull’etichetta perfino lo speciale inchiostro invisibile usato come segno anti-contraffazione.

A scuola dai falsari

Per ironia della sorte, molto del suo talento nello scoprire i falsi in bottiglia, Downey lo deve proprio a due falsari: il primo è lo sconosciuto acquirente che nel 2000 richiese via fax a Morrel, storica rivendita newyorkese dove lei lavorava, numerosi dettagli su alcune magnum di Gruaud Larose del 1945: «Voleva le fotografie delle bottiglie e chiedeva quanto fosse profondo il barchino sull’etichetta o cosa fosse scritto nell’angolo in basso a sinistra. Solo più tardi, quando quelle domande mi hanno spinto a studiare la contraffazione, ho capito che voleva assicurarsi di non comprare una bottiglia che lui stesso aveva falsificato».

Il secondo falsario cui Downey deve la sua bravura è Mark Hoffman, noto e geniale antiquario che, per convincere gli intenditori della veridicità dei suoi documenti antichi, rubava dagli archivi carta risalente all’epoca storica di riferimento, invecchiava artificialmente l’inchiostro e ricreava i timbri postali. «Come parte del patteggiamento, Hoffman ha raccontato al pubblico ministero tutto ciò che ha fatto. E io ho comprato le trascrizioni e studiato anche altri falsari» ha spiegato Downey. «Sembra folle, ma le loro intuizioni hanno reso le mie capacità investigative molto più acute».

In aggiunta alla consulenza per collezionisti e per l’Fbi, e ai corsi per i privati, sui social Downey informa il pubblico sulle frodi e insegna come riconoscere i vini pregiati. La luce Uv, per esempio, rivela quando un’etichetta è troppo lucida per risalire agli anni Cinquanta e sotto la lente di ingrandimento la stampa a torchio delle vecchie etichette si distingue chiaramente dalla più recente stampa su lastre.

Nel dubbio, Downey può contare su un archivio con oltre 40mila immagini di bottiglie, etichette, tappi autentici. E a volte la verità fa male: di 52 pezzi rari acquistati da un facoltoso americano, solo uno ha passato il suo vaglio. Per questo motivo il consiglio numero uno di Downey è di acquistare da venditori che possono certificare la provenienza di una bottiglia: «I consumatori devono decidere se essere parte del problema o della soluzione. Ma chi cerca continuamente l’offerta migliore si prepara a brutte esperienze».

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