L'immagine dell'Italia durante questi ultimi giorni di agosto è quella di paese reso disfunzionale dalla pressione climatica in aumento, dalla sua fragilità e dalla sua impreparazione.

La mappa di un territorio ancora una volta spezzato in due, con il ciclone con caratteristiche tropicali che imperversa al centro-nord e con gli incendi che ancora bruciano a sud: da gennaio al 24 agosto, secondo Ispra, sono andati in fiamme 64mila ettari, di cui il 72 per cento nella sola Sicilia, dove roghi dolosi, prevenzione inefficace e condizioni climatiche ideali per il fuoco non hanno dato tregua.

Questa disfunzionalità è l'intreccio di diverse cause locali, globali, ambientali, sociali, con l'aumento delle temperature al suolo o in mare a fare da innesco o aggravante a seconda dei contesti. Il punto non è attribuire tutto alla crisi climatica, ma capire che la crisi climatica è il contesto di tutto quello che succede.

Un déjà vu

La fotografia di questi giorni è così simile a quanto successo a fine luglio da essere quasi un déjà vu: gli alberi a terra e i parchi chiusi a Milano, la violenza degli eventi estremi su tutto il nord con grandine improvvisa e raffiche di vento, il fuoco che in Sicilia ferma un aeroporto (Trapani invece di Palermo, come a luglio).

L’allerta è stata rossa in Lombardia e arancione in altre sei regioni, dal Friuli Venezia Giulia alla Toscana. A risentirne sono state soprattutto le infrastrutture, l'autostrada A12 si è allagata, un intero paese in Val Camonica è stato evacuato per il timore di un'esondazione del torrente Rabbia, il vento ha sollevato i container a Varese, automobilisti sono rimasti bloccati nei sottopassaggi a Gallarate.

L'immagine iconica di questa nuova emergenza è stata l'allagamento della stazione di Piazza Principe a Genova, dove le scale si sono trasformate una piccola cascata che un'addetta ha provato invano a contrastare con una scopa, metafora involontaria e perfetta per l'Italia in crisi climatica. In città sono caduti 230 mm di acqua in ventiquattro ore.

In Toscana la perturbazione ha portato al suolo oltre 13mila fulmini in dodici ore e ha fatto chiudere parchi, scuole, cimiteri, pontili, e fermato la tratta delle ferrovie regionali che va verso la Romagna, linea già colpita dagli eventi di maggio. Il nodo più problematico è stato però l'interruzione della tratta ferroviaria alta velocità tra Milano e Parigi per una frana a Modane, subito oltre il confine.

Questo è il ritratto di un paese senza pace meteorologica, dove continuano ad alternarsi gli eventi estremi di segno opposto, previsti con precisione dai modelli climatici, e dove soprattutto nessun luogo sembra sicuro (e sarebbe impossibile il contrario, con il 94 per cento dei comuni a rischio idrogeologico).

«Medicane»

La parola della settimana è «medicane», neologismo scientifico coniato qualche anno per illustrare il pericolo degli uragani mediterranei o più precisamente TLC, «tropical like cyclones», cicloni con caratteristiche tropicali che si verificano a latitudini tutt'altro che tropicali. Sono il nostro nuovo, grande problema.

La fine dell'estate e l'autunno sono il loro momento critico, per il contrasto tra le acque superficiali del mare che hanno accumulato sempre più calore e le perturbazioni fredde in arrivo da nord: questa estate la temperatura media del Mediterraneo ha raggiunto il livello record di 28.7°C, con oscillazioni fino a più 5° gradi sopra le medie storiche.

Ogni ondata di calore marino estivo si trasforma in vapore acqueo e carburante per le perturbazioni nei mesi successivi. Bagni caraibici ad agosto significano tempeste. «Il calore accumulato a luglio e agosto ha aumentato l'evotraspirazione, è come quando bolli l'acqua in una pentola, è bastata la prima aria fredda a creare le condizioni per quello che stiamo osservando in questi giorni», spiega Paola Mercogliano, climatologa del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici.

«I temporali a fine agosto sono un evento standard, ma quello che c'è di nuovo è la sempre maggiore differenza di temperatura con il calore accumulato durante l'estate in atmosfera e in mare, che rende gli eventi più estremi. È un fenomeno lineare da spiegare: più aumenta la temperatura, più l'atmosfera è carica di umidità e più gli eventi saranno violenti, la crisi climatica non fa che peggiorare e rendere più intense le dinamiche che già conoscevamo.

Questa è un'estate che fa paura, siamo arrivati al limite di quanto è fisicamente sopportabile, e non siamo nemmeno ancora alla soglia minima che ci siamo dati di +1.5°C di aumento della temperatura. La mitigazione deve iniziare subito, perché non siamo pronti a reggere aumenti di temperatura come quelli che rischiamo di dover affrontare. E non siamo pronti come società, dobbiamo smettere di raccontare i cambiamenti climatici come un problema ambientale, sono un problema sociale ed economico».

Secondo il più recente rapporto dell'IPCC, l'organismo Onu che sintetizza tutta la scienza climatica in nostro possesso, le tempeste con caratteristiche tropicali, o medicane, nei prossimi decenni non aumenteranno la loro frequenza ma vedranno crescere la loro forza e il loro potenziale distruttivo sui paesi mediterranei, con raffiche di vento più veloci, precipitazioni più intense e maggiore rischio di allagamenti.

I medicane non sono enormi come le loro versioni oceaniche, hanno un fronte e un diametro inferiori, sono uragani su piccola scala (anche negli scenari peggiori non superano la potenza 1 su una scala che arriva a 5), ma colpiscono coste e aree come quelle italiane storicamente non attrezzate a reggere il loro impatto, riportandoci nel punto cruciale del tema: il clima sta cambiando più velocemente di quanto riusciamo a tenere il passo e adattarci, soprattutto in Europa, dove la temperatura sta crescendo al doppio del ritmo della media globale ma ancora non si è diffusa la percezione di vivere in un continente climaticamente pericoloso.

Nuova normalità

Le perturbazioni come quella che ha colpito l'Italia in questi giorni fanno parte del paesaggio della nostra nuova normalità. I campanelli d'allarme più recenti erano stato l'uragano mediterraneo Ianos, che aveva fatto quattro morti tra Malta e Creta nel 2020, e Apollo, che nel 2021 aveva colpito la Sicilia orientale, soprattutto Catania, e altri paesi del mediterraneo, dove aveva fatto in tutto sette vittime e quasi 250 milioni di anni.

Sono eventi di due e tre anni ormai fa già rimossi: è uno dei problemi di continuare a non inquadrare il maltempo nel contesto della crisi climatica: il discorso pubblico non riesce ad avere una memoria degli eventi e a vedere la prospettiva di un cambiamento così rapido da cambiare tutte le condizioni di rischio.

La mentalità europea e italiana non si sta aggiornando. «Fino a pochi anni fa, i risk manager europei non conoscevano nemmeno la parola medicane», ha scritto in un'analisi Christelle Castet, capo climatologa dell'agenzia assicurativa Axa Climate, «ma ormai sono un nuovo e crescente pericolo climatico con il quale l'Europa dovrà confrontarsi.

La scienza ci dice che la loro intensità è destinata ad aumentare, portando più vulnerabilità fisica alle aziende, con allagamenti e soprattutto danni da vento, perché la maggior parte delle strutture nel continente non è attrezzata a resistere a questa forza».

© Riproduzione riservata