Il 16 novembre si è aperto il processo sui fatti del carcere di Monza del 2019, quando un detenuto sarebbe stato vittima di abusi e violenze per mano di alcuni agenti penitenziari. Un video sembra dargli ragione.
- Nell’estate del 2019 un detenuto del carcere di Monza ha denunciato di aver subito una violenta aggressione da parte di alcuni agenti penitenziari, che gli avrebbero causato un trauma contusivo e la rottura di un dente.
- Le telecamere di sorveglianza mostrano gli agenti strattonarlo e dargli sberle e pugni al volto, poi la scena esce dall’inquadratura.
- Il procuratore capo ha rinviato a giudizio cinque poliziotti penitenziari con diversi capi d’accusa tra cui lesioni aggravate e violenza privata. Il 16 novembre è iniziato il processo.
Da una cella della casa circondariale di Monza sbuca il braccio di un detenuto, si allunga sul pavimento. Il palmo della mano continua a picchiare per terra, probabilmente per richiamare l’attenzione. Poi il braccio scompare, trascinato via. Non si sa cosa stia accadendo nella stanza perché la scena a quel punto è fuori dall’inquadratura delle telecamere di videosorveglianza, l’unica certezza è che con il detenuto ci sono alcuni agenti di polizia penitenziaria.
Considerando le immagini crude dei secondi precedenti nel corridoio, oltre che il rinvio a giudizio per diversi reati tra cui lesioni aggravate e violenza privata per cinque secondini, la sensazione è di essere davanti a un nuovo, ennesimo, caso di abusi in divisa nelle carceri italiane. Il 16 novembre, dopo due anni di indagini, è cominciato il processo con cui si dovrà stabilire verità e giustizia.
Lo speciale di Domani sulle violenze di Santa Maria Capua Vetere
Le telecamere di sorveglianza
È l’estate del 2019 quando un detenuto, attraverso il supporto esterno del fratello, denuncia di aver subìto una violenta aggressione da parte di alcuni agenti penitenziari. L’uomo stava portando avanti da giorni una protesta, con tanto di sciopero della fame, per essere trasferito. Quando la moglie lo trova tumefatto durante un colloquio vuole vederci chiaro su quello che può essere accaduto in carcere. L’associazione Antigone prende sùbito in mano il dossier e nel settembre di quell’anno presenta un esposto in procura per l’avvio delle indagini, costituendosi poi anche parte civile nel procedimento.
L’elemento forte dell’accusa è un video diffuso dal Tg1 qualche mese fa. Nel filmato, della durata di alcune decine di secondi, l’inquadratura è su un corridoio del carcere di Monza. In basso a sinistra compare una barella, sopra alla quale si trova il detenuto che ha denunciato le violenze. Si divincola e gli agenti cercano di immobilizzarlo, mantenendogli ferme le braccia. Un poliziotto a quel punto gli sferra diversi colpi e schiaffi in faccia con violenza, gridandogli qualcosa. Nella ripresa successiva, da un’altra prospettiva, si vede arrivare la barella al centro della scena con il detenuto steso sopra. Gli agenti lo strattonano e gli tengono le braccia, che appaiono molli, prive di resistenza.
Il detenuto viene di fatto scaricato per terra dalla barella, che viene inclinata bruscamente a mo’ di scivolo. Nell’ultima parte del video si vede solo un braccio uscire dalla cella e picchiare sul pavimento del corridoio, prima di essere trascinato nella stanza. Da questo punto mancano le riprese, le immagini non possono dire cosa sia successo nella cella in cui si trovavano il detenuto e gli agenti.
Cinque agenti sotto processo
A luglio 2021, dopo quasi due anni di investigazioni, il procuratore capo di Monza ha rinviato a giudizio cinque poliziotti penitenziari, tra cui un ispettore capo e un commissario capo. I capi d’accusa sono molti: lesioni aggravate, falso, calunnia, violenza privata, omessa denuncia di reato, abuso d’ufficio, mentre l’imputazione della tortura è stata archiviata.
Oltre al video delle telecamere di sorveglianza, l’unico finora disponibile, a convincere il procuratore a rinviare a giudizio gli agenti sono state le intercettazioni telefoniche e ambientali, la testimonianza dettagliata rilasciata dal detenuto e la sua certificazione medica. In quest’ultima si parla di trauma contusivo arbitrale bilaterale e della rottura di un dente, avvenuti proprio nell’arco temporale su cui ora si sta cercando di fare chiarezza. La prognosi era di 17 giorni.
La versione degli agenti è che l’uomo abbia avuto un atteggiamento aggressivo, dimenandosi e cercando di scappare mentre si trovava sulla barella nel corridoio. Si parla di pugni rifilati agli agenti proferendo continue minacce di morte, oltre che di un calcio non ripreso dalle telecamere a causa di un cono d’ombra. Per quanto riguarda le ferite, se le sarebbe procurate da solo in cella sbattendo la testa contro il muro.
Violenza di vita quotidiana
Queste circostanze non trovano però riscontro nelle immagini dell’unico video esistente e gli agenti sono anche accusati di aver falsificato il racconto dei fatti nei rapporti interni. Oltre a questo, un agente è accusato di aver indotto il detenuto con minacce e pressioni contenenti riferimenti anche “alla fine di Stefano Cucchi” a fare una dichiarazione spontanea in cui affermava di non aver subìto aggressioni fisiche e di essersi ferito con l’autolesionismo.
Il 16 novembre è cominciato ufficialmente il processo. La difesa si è opposta alla costituzione di parte civile di Associazione Antigone, una richiesta già fatta in passato ma respinta dal giudice che definì gli eventi di una gravità tale da riguardare un’associazione a tutela dei diritti umani. Il 2 marzo 2022 è stata fissata la prossima udienza e il giudice dovrà pronunciarsi nuovamente su questo.
«Come associazione ci auguriamo che il tribunale possa acclarare i fatti e portare luce su quanto accaduto», commenta la presidente di Antigone Lombardia, Valeria Verdolini, presente alla prima udienza del processo. «Siamo addolorati per quanto raccontano le immagini, e per la violenza della vita quotidiana che emerge. Allo stesso modo, siamo grati alle persone che hanno avuto la forza di raccontarci l’accaduto, un coraggio non semplice visto che molto spesso permangono in condizione di privazione della libertà».
© Riproduzione riservata