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Si è conclusa sabato a Reggio Calabria la manifestazione “Last 20”. Tre giorni di approfondimenti e scambi culturali dei rappresentanti dei paesi più poveri, con delegazioni provenienti da Afghanistan, Africa, fino allo Yemen, che hanno fatto da “controcanto” al vertice di Napoli dei 20 paesi più industrializzati.
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A Napoli si sono riuniti per trovare un accordo, «ma sono rimasti bloccati i due punti fondamentali per contrastare la deriva della crisi socio-ambientale: l’accelerazione dei tagli alle emissioni di CO2 e lo stop al pensionamento del carbone».
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Il “controvertice” è stato aperto da una manifestazione significativa, l’intitolazione di un ponte all’ambasciatore Luca Attanasio.
«Per dare un presente e un futuro al pianeta vogliamo ricordare ai grandi della Terra che siamo soggetti della storia, e soltanto riducendo consumi e sprechi nei paesi più ricchi, e fermando la rapina delle risorse naturali nei nostri paesi possiamo uscire dalla crisi socio ambientale e dalla spirale del debito per abbracciare un nuovo modello di sviluppo che dia protagonismo ai nostri comuni sogni e speranze. Solo così, tutti sulla stessa barca, possiamo salvarci insieme». È l’appello della manifestazione “Last 20” che si è conclusa sabato a Reggio Calabria.
Tre giorni di dibattiti, approfondimenti e scambi culturali dei rappresentanti dei paesi più poveri, con delegazioni provenienti da Afghanistan, Africa, fino allo Yemen, che hanno fatto da “controcanto” al vertice di Napoli dei 20 paesi più industrializzati. «Quelli che producono il 90 per cento del Pil mondiale – dicono i rappresentanti degli “ultimi 20” –, ma sono anche i responsabili dell’emissione dell’85 per cento dei gas serra».
A Napoli si sono riuniti per trovare un accordo, «ma sui 60 articoli del protocollo, sono rimasti bloccati i due più importanti e fondamentali punti per contrastare la deriva della crisi socio-ambientale: l’accelerazione dei tagli alle emissioni di CO2 e lo stop al pensionamento del carbone».
Il “controvertice” è stato aperto da una manifestazione significativa, l’intitolazione di un ponte che collega una parte della città di Reggio al suo porto, all’ambasciatore Luca Attanasio ucciso lo scorso 22 febbraio a Goma (Congo) insieme a Mustapha Milambo e al carabiniere Vittorio Iacovacci. «Questo ponte – ha detto la moglie dell’ambasciatore, Zadia Sessiki – è un atto d’amore, un gesto molto grande, un simbolo della comunicazione tra i popoli, un modo per affrontare insieme le difficoltà».
Il papà del diplomatico, Salvatore Attanasio, ha ricordato il figlio, «era una persona aperta, che aveva una grande capacità di ascolto, un ascolto vero, sincero, non di circostanza. Era un ambasciatore di pace, un costruttore, e non a caso gli viene intitolato un ponte. Pensiamo ai ponti che voleva costruire: ponti di aggregazione, di fratellanza». Il summit dei 20 paesi più poveri, continuerà con tappe a Roma, Abruzzo, Molise e Santa Maria di Leuca. Perché è iniziato a Reggio Calabria, ce lo spiega Tonino Perna, sociologo, docente universitario e vicesindaco della città dello Stretto. «Perché la Calabria è l’ultima regione d’Italia da sempre, a guardare le statistiche dagli anni Cinquanta. Quindi ha questa sensibilità e lo sguardo che viene dagli ultimi. Se l’Italia deve avere un futuro e risolvere i suoi enormi problemi, non può lasciare fuori il Mezzogiorno. Questo lo dicono tutti a parole, ma nei fatti il Recovery fund non va proprio in questa direzione». I paesi del “Last 20”, ha aggiunto Perna, «non sono ultimi perché sono incapaci, ma sono stati resi ultimi da guerre, mutamenti climatici, dalle multinazionali del cibo che affamano chi produce e fanno grandi profitti».
Modello Riace?
Un momento del summit dei poveri è stato dedicato all’esperienza di Riace, chiedendosi come giornali, tv, cinema e teatro hanno raccontato Mimmo Lucano e la sua “utopia della normalità”. Introdotto dalle parole di Mimmo Rizzuti, uno degli organizzatori del summit, e dalle ballate della “cantastorie” Francesca Prestia, si sono avvicendati giornalisti e scrittori.
Tiziana Barillà autrice del libro Mimì Capatosta ha sottolineato come sia sbagliato parlare di «modello Riace», perché «quella esperienza ha rappresentato una vera e propria alternativa, sia in tema di accoglienza che di sviluppo dei paesi del sud». Lucio Musolino (Il Fatto Quotidiano) ha sottolineato «l’assenza dei grandi giornali e delle tv nel raccontare il processo a Lucano». Un dato evidenziato anche dalla sociologa milanese Giovanna Procacci, che da “volontaria” ha seguito buona parte delle udienze del processo scrivendo puntuali e dettagliate analisi.
Enrico Fierro (Domani) ha parlato della «contaminazione e delle radici dell’esperienza Riace», tutti elementi che danno «corpo a Riace social blues», il primo racconto teatrale sulla storia del paesino della Locride. Contaminazione, intreccio di più culture e suoni mediterranei nelle musiche del “griot” Baba Sissoko e nella recitazione di Cosimo Damiano Damato.
Il summit continua, perché, come dicono gli organizzatori, «il mondo è molto stanco di lasciare a quelli che sono in alto la discussione su cose importanti: cambiamento climatico, pandemia, migrazioni, impoverimento».
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