Un lockdown duro per ridurre il coronavirus quasi a zero e poi quarantene locali per isolare i nuovi focolai. È la strategia con cui Corea del Sud e Australia hanno sconfitto il contagio. Ora se ne parla anche in Europa
- Un gruppo di consulenti tedeschi ha presentato un piano “Zero Covid” al governo di Angela Merkel.
- E se ne parla anche in Italia: il consulente del ministro Speranza Walter Ricciardi ne ha parlato in televisione domenica scorsa.
- Ma i politici europei sono scettici sulla possibilità di applicare il piano nel vecchio continenete e temono che la popolazione non accetterebbe un nuovo lockdown.
Fare un ultimo lockdown generale, duro, ma il più corto possibile e portare i nuovi casi di Covid-19 quasi a zero. Poi, tornare alla vita normale, ma mantenendo la guardia alta: una dozzina di casi devono essere sufficienti a chiudere un’intera città per una settimana. Questa, in sintesi, è la strategia “zero Covid”, una proposta per contrastare la pandemia che di recente ha iniziato a essere presa sul serio anche in Europa.
Come funziona?
Fino a oggi, i governi di Europa e Stati Uniti hanno cercato di contenere il coronavirus, più che di contrastarlo. Lockdown e altre misure di contenimento sono imposte quando gli ospedali arrivavano vicini al collasso e vengono sollevate non appena il momento sembra opportuno (a gennaio, gran parte dell’Italia è entrata in zona gialla mentre si registravano ancora 500 morti al giorno a causa del Covid-19).
Questa strategia si basa sull’idea che i vaccini siano l’unica vera via di uscita dalla pandemia e fino a che l’intera popolazione non viene immunizzata l’unica azione possibile è contenere l’epidemia.
Ma la lentezza delle vaccinazioni in Europa e il timore per le nuove varianti del virus parzialmente resistenti ai vaccini hanno messo in dubbio le certezze su cui si fonda questo piano e hanno reso più attraenti le alternative. L’idea della strategia zero Covid è stata proposta per la prima volta da diversi scienziati la scorsa estate e prevede di mettere sotto controllo il Covid-19 senza il bisogno di ricorrere ai vaccini e di limitarne la circolazione, così ridurre la possibilità che nascano nuove variante più pericolose.
La strategia si basa su tre pilastri: ridurre al minimo il contagio con un lockdown; isolare l’area in cui il virus è stato quasi eliminato; bloccare ogni focolaio sul nascere con una strategia di lockdown aggressivi. Quest’ultima è la chiave di volta dell’intero piano. Come hanno scritto gli scienziati e i medici tedeschi autori della campagna “Yes to No Covid”: «Soltanto una risposta immediata è in grado di bloccare le nuove catene di infezione».
Bloccando i focolai sul nascere non solo il costo in vite umane della pandemia sarà più basso, ma evitando continui lockdown nazionali anche l’economia sarà meno danneggiata.
I precedenti
Paesi come Cina, Corea del Sud, Giappone e Vietnam sono diventati il simbolo di questa strategia e oggi continuano ad applicarla con successo. Lo scorso 7 gennaio, ad esempio, 11 milioni di abitanti di Shijiazhuang, nella Cina settentrionale, sono stati messi in lockdown dopo la scoperta di un centinaio di casi in città.
All’inizio della pandemia il successo di questi paesi era considerato il frutto di specifiche condizioni politiche (i regimi autoritari di Cina e Vietnam) o culturali (la supposta “disciplina innata” di coreani e giapponesi). Poi però la strategia ha iniziato a essere adottata con successo anche in Nuova Zelanda e Australia.
Come in Cina, anche in questi due paesi basta un pugno di casi per mettere in quarantena milioni di persone. Melbourne, la capitale dello stato australiano di Victoria, è uscita oggi da un lockdown iniziato venerdì scorso dopo la scoperta di 13 casi in città.
Le critiche
Secondo i critici, però, la strategia zero Covid è impossibile da esportare in Europa. Australia e Nuova Zelanda sarebbero paesi troppo diversi, geograficamente isolati, senza confini terrestri e poco densamente abitati. E in nessuno dei due la pandemia ha mai raggiunto i livelli osservati nel vecchio continente. L’Australia ha 25 milioni di abitanti e un record di 750 nuovi casi registrati in un giorno. L’Italia ha 60 milioni di abitanti e un record di 40mila nuovi casi registrati in 24 ore.
Il dubbio di molti è che la popolazione europea non sarebbe in grado di sopportare il nuovo lockdown necessario a portare quasi a zero i casi e avrebbe ormai accettato come normali gli attuali livelli di contagio e di decessi. I politici europei sono i primi a essere scettici. Come ha detto pochi giorni fa il ministro della Salute tedesco Jens Spahn «Non credo che un obiettivo di zero contagi sia qualcosa che può funzionare nell’attuale situazione in cui si trova la Germania».
I sostenitori
Ma nonostante questi dubbi, i sostenitori della strategia zero Covid si sono moltiplicati nelle ultime settimane. Gli scienziati del gruppo “Yes to No Covid”, che include diversi consulenti del governo tedesco, sono tra i più attivi su questo fronte e dal loro sito si può scaricare un piano dettagliato su come applicare in Europa la lezione dell’Australia.
Gli autori del piano sottolineano che il governo tedesco dovrebbe mettersi alla guida di un’iniziativa europea, poiché la natura del continente rende fondamentale la collaborazione tra paesi diversi. Per portare i contagi quasi a zero servirebbe un lockdown immediato di almeno quattro settimane, dopodiché bisognerebbe accettare limitazioni agli spostamenti tra stati e regioni con diversi livelli di contagio. A quel punto, i governi dovrebbe avere il coraggio di iniziare a chiudere localmente con la stessa prontezza di cinesi e australiani.
In Italia, uno dei primi a parlare del piano è stato il consulente del ministro della Salute Walter Ricciardi. Le sue dichiarazioni sono state molto criticate, soprattutto da politici e opinionisti, ma Ricciardi ha ricevuto il sostegno di altri medici e scienziati, come Massimo Galli, dell’ospedale Sacco di Milano, il virologo Andrea Crisanti e il presidente dell’Accademia dei Lincei Giorgio Parisi.
Ma fino a oggi, l’endorsement più autorevole alla strategia zero Covid è arrivato dalla prestigiosa rivista medica The Lancet. Nel numero di gennaio, il direttore Richard Horton ha descritto nel suo editoriale il piano tedesco e lo ha definito «non solo necessario, ma anche fattibile».
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