«Dai vostri occhi avevo già capito tutto, avevo già capito che c’era qualcosa che non andava». Con queste parole, pronunciate nel corso di un incontro riservato del gennaio scorso, Adolfo Urso ha ribaltato il tavolo dell’amministrazione straordinaria di Condotte d’acqua, una procedura che vale centinaia di milioni.

Tempo pochi mesi e il ministro delle Imprese ha revocato i commissari che per sei anni hanno gestito il colosso delle costruzioni. Gli occhi che secondo Urso confessavano loro malgrado che qualcosa «non andava» erano proprio quelli dei tre professionisti messi alla porta.

Non è solo una questione di sguardi, però. Sulla base di documenti inediti, Domani ha ricostruito come si è arrivati al clamoroso ribaltone, deciso per decreto il 6 settembre, e ha scoperto che la nuova terna di professionisti scelta da Urso comprende anche un vecchio amico e partner d’affari del ministro, l’avvocato Francesco Paolo Bello.

I rapporti risalgono a quando, una dozzina di anni fa, il futuro ministro aveva avviato un’attività di consulenza per le aziende italiane a caccia di affari in paesi “difficili”, in primo luogo l’Iran. Bello, che è un avvocato, aveva collaborato con la società del ministro, la Italian World Services, in sigla Iws, e in seguito i rispettivi percorsi professionali si sono incrociati anche in altre occasioni. Fino alla nomina, con decreto del ministro, nella terna dei commissari di Condotte.

Per Urso, che conferma a Domani i rapporti di amicizia e stima nei confronti di Bello, non è il primo infortunio nel delicato settore delle amministrazioni straordinarie. Ad agosto, come rivelato da Domani, l’avvocato Gianluca Brancadoro, legale amico del ministro, l’estate scorsa si è visto assegnare senza gara un incarico di assistenza giudiziale e stragiudiziale dai commissari straordinari di Acciaierie d’Italia. Incarico a cui Brancadoro ha rinunciato dopo la pubblicazione dell’articolo.

Nei corridoi del dicastero adesso si sprecano dubbi e sospetti su un provvedimento di revoca di cui non si ricordano precedenti. Per quale motivo, ci si chiede, Urso ha deciso di esporsi personalmente in una vicenda così complicata e giuridicamente piena d’insidie? La vicenda si è fatta ancora più scivolosa per il ministro dopo che il 18 ottobre il Tar del Lazio ha sospeso la revoca dei tre commissari di Condotte, Giovanni Bruno, Gianluca Piredda e Matteo Uggetti, quest’ultimo, per altro, già dimissionario. Una sentenza confermata a stretto giro, il 19 ottobre, dal Consiglio di Stato, a cui aveva fatto ricorso il ministero.

La battaglia legale, destinata a proseguire nelle prossime settimane, è stata avviata da Bruno e per il ministro i problemi non si esauriscono nelle aule della giustizia amministrativa. Bruno, infatti, nei giorni scorsi ha presentato anche un esposto in procura a Roma che contiene accuse circostanziate.

Per prima cosa chiede “la punizione del dottor Paolo Casalino e di chiunque altro abbia concorso con lo stesso” per il delitto di omissione d’atti d’ufficio per non aver provveduto alla liquidazione dei compensi al commissario Bruno nonostante le diffide inviate a mezzo posta certificata. Casalino è uno dei dirigenti di vertice del Mimit. Responsabile della direzione generale della politica industriale e a capo della struttura che gestisce i fondi Pnrr, è considerato un fedelissimo di Urso.

Carte in procura

Bruno ritiene di essere stato vittima di quella che appare come una richiesta accompagnata da una minaccia, quella di ritardare il saldo delle parcelle in caso di mancate dimissioni della terna di professionisti. Una denuncia, questa, che a breve potrebbe portare i magistrati a mettere sotto la lente le motivazioni che secondo il ministero avrebbero giustificato la rimozione dei commissari.

Lo stesso Urso è stato tirato in ballo da Bruno nel suo esposto. I documenti consegnati in procura raccontano anche di una riunione dell’8 gennaio 2024 al ministero delle Imprese. All’incontro partecipa anche Urso, che si dimostra molto critico nei confronti dell’operato dei commissari, accusati senza mezzi termini di cattiva gestione.

Lo scontro si è consumato sulla cessione della quota del 15 per cento controllata da Condotte nella società Eurolink, il consorzio che dovrà realizzare il Ponte sullo Stretto. Ad aggiudicarsi quel 15 per cento è stato il gruppo Tiberiade controllato dall’immobiliarista romano Walter Mainetti. Il collegio commissariale di Condotte, con Bruno in testa, aveva seguito una procedura condivisa, almeno fino a un certo punto, con il ministero, che il 29 marzo del 2023 ha autorizzato la vendita della partecipazione in Eurolink.

Nel giro di poche settimane, però, il ministro fa marcia indietro e a settembre dell’anno scorso avvia un’istruttoria per verificare le modalità del “processo di cessione dei complessi aziendali”. In sostanza, finisce nel mirino la vendita di Eurolink, che secondo Urso e i suoi collaboratori sarebbe stata di fatto svenduta.

Il sospetto del ministro emerge con chiarezza in una registrazione, ottenuta da Domani, dell’incontro dell’8 gennaio. L’accusa è che il prezzo di vendita non abbia tenuto conto del fatto che il governo, con una delibera del 16 marzo 2023, quindi poco prima della cessione, aveva rilanciato il progetto del Ponte sullo Stretto. Una decisione definita dal ministro, durante la riunione, come «la grande svolta di questo governo». Secondo Urso, i commissari sarebbero quindi colpevoli di aver svenduto la partecipazione di Condotte senza considerare che di lì a poco proprio Eurolink sarebbe tornata in prima linea per realizzare il Ponte.

Bruno e i suoi colleghi respingono l’accusa, perché, come ribatte uno dei professionisti durante l’incontro con Urso, al momento in cui è stata conclusa la vendita, «non vi era allo stato nessuna prevedibile aspettativa di ipotizzare che ci fosse una qualche sorta di prelazione a favore di Eurolink per avere un affidamento dei lavori» per il Ponte.

Quindi, secondo i commissari, al momento della vendita non c’era nessun fatto nuovo tale da influire in concreto sul prezzo di vendita di quel 15 per cento.

Del tutto diversa è la posizione di Urso che, interpellato da Domani, spiega di aver deciso di non confermare la terna commissariale «in ragione della scarsa diligenza dimostrata nella gestione della vendita della quota in Eurolink».

Questione di fiducia

Nel corso dell’incontro dell’8 gennaio, il rapporto tra il ministro e la terna di professionisti arriva al punto di rottura. Urso li accusa di mostrare scarsa fiducia nei suoi confronti e conclude che, dunque, la fiducia, “non c’è nemmeno da parte mia”. Rivelando così uno dei motivi che saranno alla base del decreto di revoca dell’incarico ai commissari. Ma è su questa parola, “fiducia”, che ora si disputerà la partita giudiziaria. I commissari straordinari, infatti, nominati in procedure fallimentari possono essere rimossi solo per giusta causa. Non si tratta di nomine, perciò, su base fiduciaria come può essere quella di un portavoce o di un capo di gabinetto.

Le motivazioni che risultano dai documenti ufficiali spiegano il cambio della guardia con l’esigenza da parte del ministero di affidare la fase conclusiva della procedura a tre commissari con “professionalità specificamente orientate alle finalità liquidatorie”.

Nei mesi che precedono il provvedimento di revoca, che risale al 6 settembre, lo scontro si consuma sulla valutazione del prezzo di cessione della quota di Eurolink. Qual è il prezzo giusto? Si decide di cercare un tecnico a cui affidare una nuova perizia per ridefinire il valore della partecipazione.

Il documento, siglato da Roberto Mazzei, arriva sul tavolo del ministero il 18 giugno 2024 e di fatto conferma il contenuto della precedente perizia, quella in base alla quale era stata definita la vendita nel marzo 2023. Un risultato che però non ha convinto il ministro, il quale, come spiega a Domani, ha sottoposto la stima a una valutazione di un esperto nominato dal ministero. Secondo questo nuovo esame, il valore della partecipazione è compreso in un range tra 43,15 milioni e 14,24 milioni, cifre molto più elevate rispetto a quelle che risultano dalla perizia Mazzei, comprese tra 4,5 milioni e un importo negativo di 5,2 milioni.

Questione chiusa, dunque? Macché. Il capo di gabinetto di Urso, Federico Eichberg, e il suo vice convocavano i commissari per il giorno successivo 19 giugno. Eichberg, è scritto nell’esposto, in quella sede ha informato i commissari che il rapporto fiduciario con il ministro ”era irreparabilmente compromesso”.

Ma c’è di più, nel racconto di Bruno, così come risulta dalla denuncia, è stato “rappresentato ai commissari che se avessero rassegnato le dimissioni spontaneamente ci sarebbe stato adeguato riconoscimento al lavoro svolto attraverso una tempestiva liquidazione dei compensi.

Pertanto, i commissari venivano invitati a rassegnare le dimissioni, paventando in difetto, la loro sostituzione”. In altre parole: o date le dimissioni voi e avrete le parcelle alla svelta, oppure vi silura il ministero e chissà quando vi pagherà.

Uggetti, uno dei colleghi di Bruno, segue le indicazioni informali del braccio destro di Urso e si dimette l’8 agosto.

Tempo poche settimane e si scopre che la terna dei nuovi commissari comprende anche Francesco Paolo Bello, che così come Uggetti lavora per Deloitte, il colosso internazionale della consulenza. Bruno e Piredda, invece, vengono revocati per decreto. Con lo stesso provvedimento oltre a Bello viene ratificata la nomina di Alfonso di Carlo e Michele Onorato.

Vecchio amico

Chi è il regista di questa manovra? Lo rivela la registrazione di un’altra riunione al ministero, con il capo di gabinetto di Urso che ammette davanti ai commissari: «La decisione è stata assunta dal ministro…è stata una determinazione del ministro», ripete più volte Eichberg durante l’incontro.

Restano molti interrogativi senza risposta in questa storia oscura di nomine revocate e potenziali conflitti di interessi sfociata in una guerra di carte bollate, una vicenda che rischia di esporre il ministero a verifiche della magistratura. Di certo, però, sappiamo che almeno uno dei beneficiari delle nuove nomine ha più volte incrociato Urso nel suo percorso professionale.

Bello, l’avvocato che è partner di Deloitte legal, vanta infatti un’amicizia di lunga data con il ministro, con cui in passato ha anche collaborato. A cominciare da quando, una dozzina di anni fa Bello ha avuto rapporti con la Italy World Services, in sigla Iws, la società di consulenza fondata dal futuro ministro con il figlio Pietro. Da qui, però, prende le mosse un’altra storia, che illumina i rapporti tra Urso, l’amico Bello e altri professionisti di fama. Una storia che racconteremo nelle prossime puntate della nostra inchiesta sul ministro del Made in Italy nonché colonnello della prima ora della premier Meloni.

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