Il gip di Milano ha accolto la richiesta di patteggiamento di Eni. I fatti si riferiscono a un rinnovo di una concessione petrolifera (per i pozzi nei pozzi Marine VI e VII) in cambio di quote societarie date ad aziende congolesi a capo delle quali c’erano dei pubblici ufficiali del paese africano
È ufficiale. Il gip di Milano Sofia Fioretta ha accolto la proposta di patteggiamento dell’Eni a un risarcimento da 11 milioni di euro a cui si somma una sanzione da 800mila euro nell’inchiesta sul rinnovo di alcune licenze petrolifere in Congo.
In particolare la società è indagata per violazione della legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti. Nel processo sono coinvolti anche cinque dirigenti di Eni. I fatti si riferiscono a un rinnovo di una concessione petrolifera (per i pozzi nei pozzi Marine VI e VII) in cambio di quote societarie date ad aziende congolesi a cui capo c’erano dei pubblici ufficiali del paese africano.
Il patteggiamento segue la derubricazione del reato da corruzione internazionale a induzione indebita internazionale. È stata anche revocata la richiesta della sospensione o del commissariamento per due anni della produzione di petrolio nei pozzi congolesi.
Il fatto
Secondo gli inquirenti, Eni avrebbe chiesto e ottenuto nel 2013 il rinnovo delle licenze per alcuni giacimenti congolesi dal valore di 400 milioni di dollari, retrocedendo quote societarie alla congolese Aocg (Africa oil & gas corporation di Denis Gokana, consigliere del presidente congolese Sassou Nguesso), che avrebbe a sua volta garantito il 23 per cento di un altro giacimento alla World Natural Resources, una società dietro la quale, per la procura, ci sarebbe l’ex dirigente Eni Roberto Casula e Maria Paruano, entrambi indagati.
La società ha commentato l’esito della sentenza attraverso un comunicato: «Eni ribadisce la propria soddisfazione per la conferma da parte della Procura di Milano dell’inesistenza, anche in questo caso, di ipotesi di reato di corruzione internazionale». Il patteggiamento «non rappresenta un’ammissione di inadeguatezza dei propri modelli o colpevolezza da parte della società rispetto al reato contestato, ma un’iniziativa tesa esclusivamente a evitare la prosecuzione di un iter giudiziario che comporterebbe un nuovo e significativo dispendio non recuperabile di costi e risorse», specifica il comunicato di Eni.
Poco più di una settimana fa c’è stata la sentenza di assoluzione di Eni e di altre 14 persone, compreso l’ad Descalzi e alcuni ex dirigenti, sul caso Nigeria.
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