Mentre i contagi hanno superato i tre milioni in totale, le regioni faticano a portare avanti il loro piano vaccinale e a contrastare le varianti. Lo studio dell’Iss che attesta una diffusione delle variante al 54 per cento preoccupa al governo, che ora non può far altro che spingere sui vaccini
È il quarto giorno di fila che i contagi da Covid-19 superano la quota dei 20mila. Soltanto nella giornata di ieri, il consueto bollettino diffuso dalla Protezione civile e dal ministero della Salute ha registrato 23.641 nuovi positivi su 355.024 tamponi effettuati, portando il rapporto tra test e contagi al 6,6 per cento. I morti sono stati 307, in aumento di dieci unità rispetto a venerdì, arrivando a un totale di 99.578 vittime da Covid-19. È questione di pochi giorni prima che il bilancio superi i 100mila decessi a circa un anno di distanza dal primo lockdown che ha portato l’Italia in zona rossa.
Aumentano costantemente, anche se a un ritmo più lento rispetto a quello previsto inizialmente, il numero delle persone che hanno ricevuto almeno una dose di vaccino, arrivando a un totale di 5.231.708.
Nella giornata di ieri il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha fatto visita alla “nuvola di Fuksas”, il centro congressi nel quartiere Eur di Roma, uno degli hub più grandi d’Italia adibito alla somministrazione dei vaccini.
Con circa 4mila dosi che possono essere inoculate ogni giorno, la nuvola di Fuksas è stata definita «una vera fabbrica della speranza» dal presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti. Agli operatori sanitari, il capo dello stato ha detto: «Teniamo duro, ce la faremo». Ma le campagne vaccinali regionali risentono di gravi problemi organizzativi come affermato anche dal segretario della Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg), Silvestro Scotti, il quale ha riferito che sono stati consegnati circa 10 dosi di vaccino per ogni medico di famiglia «un numero ancora scarso».
Scotti ha sottolineato i ritardi di alcune regioni che non sono ancora partite con la vaccinazione negli studi dei medici di famiglia. Un rallentamento che rischia di essere pericoloso visto il rapido aumento dei contagi dovuto alle varianti. Tra le più monitorate dall’Istituto superiore di sanità ci sono quella inglese, brasiliana e sudafricana. Secondo un flash survey, al 18 febbraio scorso la variante inglese è stata riscontrata in circa il 54 per cento dei contagi, e ha colpito molti giovani.
Un dato allarmante che ha spinto le varie regioni ad aumentare le misure restrittive nei comuni più colpiti e ad adottare strategie diverse tra di loro. La Valle d’Aosta, ad esempio, per tracciare le varianti partirà a breve con uno screening di massa che coinvolgerà circa 5mila studenti della fascia d’età compresa tra i 14 e i 19 anni.
In Piemonte, invece, dall’8 marzo tutta l’attività didattica di seconda e terza media e delle scuole superiori si farà in dad (didattica a distanza) per almeno 15 giorni. Tra le regioni più colpite c’è sicuramente l’Emilia-Romagna dove le varianti hanno ormai preso il sopravvento, così come nella provincia di Perugia. A risentirne, ancora una volta, sono gli ospedali che temono di non riuscire a gestire l’aumento dei ricoveri.
Intanto dal Comitato tecnico scientifico fanno sapere che «non è stato suggerito al governo alcun lockdown» durante l’ultima riunione.
Ciò nonostante gli esperti denunciano una «grande preoccupazione» per come si sta evolvendo la curva dei contagi e chiedono un «innalzamento delle misure su tutto il territorio nazionale», con l’obiettivo di ridurre le «interazioni fisiche e della mobilità».
È chiaro che è in corso la terza ondata della pandemia, come è stato previsto dagli esperti, ma ancora una volta, l’Italia sembra essersi trovata impreparata. E ancora una volta il vaccino è l’unica speranza.
© Riproduzione riservata