- La pubblicazione su Domani di una nuova intervista a una delle vittime di padre Marko Rupnik, il gesuita di abusi nei confronti di alcune suore, consente di fare altre riflessioni sulla vicenda e in generale sulle dinamiche degli abusi clericali.
- La prima considerazione riguarda la genesi della relazione tra abusata e abusatore che è una conseguenza, perversa, di un modello di relazione diffuso e ufficialmente approvato nella chiesa cattolica: quello della direzione spirituale, ovvero dell’affidamento completo e obbediente del neofita al maestro.
- Se il racconto dell’ex suora slovena fosse veritiero, Rupnik e la sua complice avrebbero ordito il piano di una messa travestita, è possibile che un’eco di tutto questo non sia mai giunto nei sacri palazzi romani che hanno garantito per decenni a Rupnik onori e privilegi principeschi?
La pubblicazione su Domani di una nuova intervista a una delle vittime di padre Marko Rupnik, il gesuita di abusi nei confronti di alcune suore, consente di fare altre riflessioni sulla vicenda e in generale sulle dinamiche degli abusi clericali.
La prima considerazione riguarda la genesi della relazione tra abusata e abusatore. Quello che ha raccontato la slovena Klara è comune a tante altre storie: al principio vi è una seduzione, un incanto, a cui fa seguito lo scivolamento nelle maglie un rapporto sempre più stretto che assume presto i contorni della dipendenza, dapprima psicologica e poi anche materiale e pratica, dopo l’ingresso in convento. Fino a giungere alla consumazione di atti sessuali.
Questa sequenza non è casuale, ma è una conseguenza, perversa, di un modello di relazione diffuso e ufficialmente approvato nella chiesa cattolica: quello della direzione spirituale, ovvero dell’affidamento completo e obbediente del neofita al maestro.
Quest’ultimo si accolla il compito di guidare e dirigere la piena conversione del nuovo adepto, correggendone con pazienza gli errori, soffocandone le tentazioni di fuga e conducendolo verso la perfezione legata al suo nuovo stato. È una manifestazione esemplare del potere pastorale di cui ha parlato Michel Foucault e l’applicazione di uno schema diffusissimo nel cattolicesimo, un canovaccio che garantisce la salvezza a chi sa farsi gregge e sottomettersi alla volontà divina tramite la mano ferma di un conduttore.
È evidente che nel caso di Rupnik siamo dinanzi a un suo uso gravemente distorto, ma è altrettanto chiaro che quel modello crea tutte le premesse perché si arrivi a quel punto. Anche se non vi fosse stato sesso vi sarebbe comunque stata una dipendenza fonte di infelicità, una mancanza di autonomia grave in un adulto. La chiesa dovrebbe forse avviare una riflessione sulle conseguenze di questo delicato meccanismo.
Sessualità infantile
La seconda considerazione è un’ulteriore conferma di quanto già sappiamo: la sessualità dei preti abusatori è molto spesso onanistica e infantile. Klara riferisce di carezze, toccamenti, qualche bacio, una violenta masturbazione reciproca, l’ombra di rapporti orali. L’ex consacrata non fa mai menzione di un rapporto sessuale completo.
È un dato che ho ascoltato in molti altri racconti di persone abusate da preti e che trova conferma nei numeri forniti dell’inchiesta tedesca MHG sulla pedofilia clericale. Nello studio tedesco si legge che gli atti sessuali più diffusi (quasi il 30 per cento) consumati da membri del clero con minori sono i «toccamenti sopra i vestiti», seguiti dai «toccamenti dei genitali sotto i vestiti» (22,5 per cento).
Solo nell’11 per cento dei casi è avvenuta una penetrazione genitale. Per capire questo elemento dobbiamo far riferimento a una mentalità molto diffusa dentro il cattolicesimo che assegna a ogni violazione del sesto comandamento (non commettere atti impuri) una diversa gravità.
Un atto di autoerotismo o un palpeggiamento sarebbero peccati di natura meno seria rispetto a un rapporto sessuale completo (che, tra l’altro, nel caso sia compiuto con una donna, produce anche il rischio di una gravidanza indesiderata). È a questa norma informale che molti preti si attengono nei proprio comportamenti sessuali ed è questa stessa regola che molti preti suggeriscono di seguire alle coppie di cattolici che vogliono arrivare vergini al matrimonio.
Il problema è che, nel caso degli abusi (su minori e adulti), gli effetti di questa norma sono tragici, dal momento che per le vittime il danno inflitto dall’abuso non è misurabile con la stessa scala: in altre parole, anche uno sfregamento che al prete sembra un peccato minore può causare in chi lo subisce una ferita enorme.
La profanazione
L’ultima notazione concerne un aspetto che mi aveva già colpito nell’intervista di Federica Tourn a un'altra vittima, Anna, laddove costei raccontava che Rupnik assimilava il triangolo amoroso alla trinità divina. Klara riferisce addirittura, attribuendolo all’amica di Rupnik intenzionata a convincerla a fare l’amore in tre col gesuita, del progetto di «bere il suo sperma da un calice a cena».
A me sembra evidente che, se questo è avvenuto, saremmo di fronte a una sorta di profanazione del rito dell’eucaristia, a qualcosa che assomiglia ai rituali satanisti, nei quali appunto i simboli del cristianesimo vengono ribaltati e dileggiati.
Se il racconto dell’ex suora slovena fosse veritiero, Rupnik e la sua complice avrebbero ordito il piano di una messa travestita, nella quale la vera divinità sarebbe stata il gesuita sloveno amico del papa e venerato da larghe masse cattoliche. È possibile che un’eco di tutto questo non sia mai giunto nei sacri palazzi romani che hanno garantito per decenni a Rupnik onori e privilegi principeschi?
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