Dopo le rivelazioni di Domani, nuovi testimoni hanno deciso di raccontare la loro storia alla Rete L’Abuso che ha presentato un esposto in procura a Bergamo. «Erano solo gesti di tenerezza e pace», ha dichiarato il prete al Corriere. A Domani, però, non ha risposto
«Si comportava come un guru, baciava i ragazzi davanti a tutti». Sono ormai almeno una quindicina le testimonianze arrivate a confermare le denunce di Stefano Schiavon e Andrea Travani, che dichiarano di essere stati molestati da don Valentino Salvoldi, sacerdote “fidei donum” della diocesi di Bergamo, formatore e autore di decine di libri a tema religioso.
I due ragazzi, abusati quando erano ancora minorenni, non sono gli unici ad aver subito le sgradite attenzioni del prete. Dopo la pubblicazione del nostro articolo, altre vittime si sono rivolte a Stefano Schiavon e alla Rete L'Abuso (che ha presentato un esposto alla procura di Bergamo nei confronti del sacerdote) per raccontare la propria esperienza, e diverse persone hanno sostenuto di aver visto il prete in atteggiamenti intimi con dei ragazzi durante i campi scuola. Le storie si somigliano tutte: cambiano gli anni – le testimonianze spaziano dalla fine degli anni '80 a metà degli anni duemila – ma i dettagli sono gli stessi.
«Il bagno nudi e le carezze»
«Era il '96 o il '97: durante un campo estivo in Val d'Ossola, Salvoldi ci ha portati a fare il bagno in una sorgente di acqua calda», racconta Samuele (nome di fantasia). «Lì, senza scambiare troppe parole, come se fosse già chiaro quel che sarebbe successo, noi ragazzi ci siamo spogliati fino a restare nudi, e così ha fatto il prete – continua Samuele – Ci siamo immersi nell'acqua e a turno abbiamo ricevuto le carezze e i baci di don Valentino. Se qualcuno aveva un principio di eccitazione, don Valentino spiegava che era “soltanto una cosa meccanica”, e che anche a lui “sarebbe partito il pistolino” - testuali parole – se l'avesse messo sotto il potente getto d'acqua termale». Lo stesso Salvoldi, precisa Samuele, poi commentava la giornata con i ragazzi davanti alle madri che erano venute a prenderli, normalizzando così quello che era appena successo.
Nell'agosto del 2002, a Mione, in provincia di Udine, Francesco (nome di fantasia), oggi 44 anni, si ritrova a uno dei campi organizzati da Salvoldi: «Creava un ambiente suggestivo per dei ragazzini, con rituali serali caratterizzati da luci soffuse e musica, in cui lui era il guru: ricordo bene di averlo visto baciare dei ragazzi», racconta. Anche Davide (nome di fantasia), all'epoca appena ventenne, ha partecipato al campo di Mione e ricorda il clima “paraspirituale” creato dal prete e le serate a lume di candela: «Un ragazzino, visibilmente depresso, era il paggetto di compagnia di Valentino», dice. «La mia vicenda – sottolinea Davide – mostra come il prete sia capace di aspettare il momento adatto e la meccanica premeditata e dolosa del suo comportamento.
Al campo, Salvoldi non tenta approcci fisici con Davide – una volta soltanto gli si avvicina per annusargli i capelli – ma gli chiede di aiutarlo nella redazione del libro che sta scrivendo. Così Davide per un paio d'anni corregge le bozze per don Salvoldi; finito il lavoro, vuole spedirgli il testo ma il prete insiste perché, invece, glielo consegni a mano.
Il sacerdote gli chiede di raggiungerlo in un paese dove si trova di passaggio; prima pranzano a casa di un amico e poi vanno all'albergo dove alloggia per discutere del libro. «Appena sono entrato nella stanza, Salvoldi mi ha messo la lingua in bocca e mi ricordo il disgusto che ho provato, la sensazione della sua barba ispida sul mento. Schifato, sono andato via subito», dice Davide.
E ancora, qualche anno dopo, ecco i ricordi di un altro testimone, Ettore (nome di fantasia): «Ho partecipato a due campi di Salvoldi, nel 2006 e 2008, quando avevo 16 e 18 anni – racconta – la prima sera, don Valentino mi ha chiamato in camera sua perché voleva parlarmi. Mi ha detto di stendermi sul letto per abbracciarci, ma io mi sono rifiutato».
Ettore riesce a non farsi circuire dal prete ma si rende conto del clima particolare che lo circonda: «Durante questi campi si faceva una cena a lume di candela in cui ci si imboccava a vicenda – racconta a Domani – e dopo noi ragazzi eravamo invitati a abbracciarci mettendoci l'un l'altro le mani sotto la maglietta». Non solo: «ho visto distintamente don Valentino baciare a lungo sulla bocca un ragazzo seduto sulle sue ginocchia». Ettore è stranito ma pensa che se nessuno ha qualcosa da eccepire, forse anche i baci fanno parte del “rituale”. «Valentino diceva che le regole dell'esterno non valevano, che con lui si dovevano seguire regole nuove impostate sull'amore, il toccarsi e lo stare insieme».
Giovanni (nome di fantasia), invece, ha incontrato Salvoldi a casa: «avevo 14 anni, era la fine degli anni '80 – racconta – la mia famiglia era cattolica e il prete era una figura di riferimento: don Valentino, in particolare, veniva descritto come una persona brillante e colta. Veniva a pranzo, era un amico dei miei genitori. Ricordo diversi approcci e la sua costante tendenza al contatto fisico. Ha provato a baciarmi e mi ha sfiorato nelle parti intime». Giovanni è poco più di un bambino, non capisce che cosa sta succedendo: «non ho mai parlato del mio disagio perché gli adulti me lo indicavano come un esempio di vita e pensavo di essere io a sbagliare», spiega.
Silenzi e indagini
Contattato da Domani, Salvoldi non ha risposto. Il 29 dicembre scorso ha rilasciato una dichiarazione al Corriere della Sera in cui sostiene che i baci e gli abbracci «erano segni di tenerezza e pace, dell’amore per Dio» e che la sua era «una pedagogia liberatoria». La diocesi di Bergamo, in una comunicazione stringata pubblicata sul sito della diocesi, dichiara: «In merito ad alcune notizie di stampa relative ad un anziano sacerdote del clero di questa diocesi per presunti fatti risalenti agli anni ‘90, si è già provveduto per quanto di competenza ad attivare le procedure previste dal diritto canonico, fermo restando il rispetto del lavoro della magistratura nel comune intento del giusto accertamento della verità».
Qui la nota sembra alludere all'investigatio previa, l'indagine preliminare che il vescovo dispone per accertare la fondatezza degli indizi di un delitto, ma le vittime, fino a questo momento non sono state sentite. Interpellato da Domani, il vescovo di Bergamo Francesco Beschi non ha risposto.
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