«Ogni giorno riceviamo telefonate di donne che chiedono di essere inserite in lista d’attesa, ma quando diciamo loro che bisogna pagare 2.700 euro per la Pma si tirano indietro»
«A partire da gennaio 2024 ogni donna, in qualunque regione risieda, potrà ricorrere alla procreazione assistita con un ticket». Sono parole del ministro della Salute Orazio Schillaci che a settembre 2023 ha partecipato a un convegno della Società italiana ginecologia. Poco tempo dopo la Società italiana riproduzione umana ha stimato che «con l’attuazione dei Lea un maggior numero di coppie accederanno alle cure e questo farà raddoppiare la percentuale di bambini nati con la Pma».
Le previsioni finora sono state smentite dai fatti. La maternità oggi non è messa in discussione solo da problemi finanziari, ma anche dall’infertilità galoppante e dalla scelta delle donne di avere figli sempre più avanti nell’età (mediamente oltre i 36,7 anni).
In questo contesto entra a far parte di un tema così delicato la procreazione assistita, che tra il 2005 e il 2022 ha visto impennarsi la percentuale di bambini nati dalla Pma, passati da un modesto 1,22 per cento al 4,25 per cento, con 217mila nuovi parti in vent’anni. La logica mirerebbe a indicare a qualsiasi governo l’opportunità di prevedere una normativa ad hoc in favore delle coppie che hanno difficoltà a procreare. Invece in Italia il settore rischia il tracollo, con aree della penisola dove i pochi centri pubblici arrancano frenati dalla burocrazia, mentre le cliniche private dominano un settore in cui una sola fecondazione può arrivare a costare 10mila euro.
Il boomerang
Siamo davanti a un meccanismo che sta costringendo migliaia di coppie a rinunciare all’ultimo tentativo di avere un figlio per impossibilità a pagarsi una prestazione, mentre chi può permettersi di pagare vede aumentare le sue probabilità. Dal 1° gennaio e poi, con proroga, dal 1° aprile la procreazione medicalmente assistita è entrata a far parte dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) e la situazione si è aggravata. I parametri sono diventati un boomerang per quelle regioni come Calabria, Sicilia, Campania sottoposte al piano di rientro delle spese sanitarie. Per migliaia di coppie ricorrere a una procreazione nel pubblico è diventato impossibile.
«Da inizio 2024», commenta Paolo Scollo, direttore dipartimento di Ginecologia del Cannizzaro di Catania, dove è attivo uno dei due centri di Pma pubblica della Sicilia, «con i Lea il ministero dell’Economia non ha dato più la copertura per la procreazione ad alcune regioni e la prestazione è totalmente a carico dell’utenza. Nelle regioni virtuose, Lombardia, Toscana, Emilia Romagna, che possono permetterselo, la fecondazione è a carico del Ssn. Qui no».
«Ogni giorno», aggiunge il ginecologo, «riceviamo telefonate di donne che chiedono di essere inserite in lista d’attesa, ma quando diciamo loro che bisogna pagare 2.700 euro per la Pma si tirano indietro». Ma il primario aggiunge un particolare. «In passato con la regione Sicilia, attraverso il finanziamento che arrivava dallo stato, avevamo trovato una intesa per assistere le coppie con Isee basso. Il 70 per cento della somma per ogni prestazione veniva riconosciuta dalla regione. Oggi questi fondi statali non sono più arrivati e in Sicilia di una revisione dei Lea se ne riparlerà a gennaio 2025. Eppure siamo l’unico centro accreditato del Meridione per la preservazione della fertilità nei pazienti oncologici».
«Basta leggere la nota della Ragioneria dello Stato del marzo 2024 per avere un quadro chiaro», commenta Nino Guglielmino, direttore del centro privato Hera di Catania. In un passaggio del documento la Ragioneria scrive come «i finanziamenti già stanziati per i Lea e assegnati alle regioni, in mancanza di provvedimenti attuativi, sono stati utilizzati dalle regioni per coprire altre occorrenze della spesa sanitaria e soprattutto inefficienze-squilibri».
Per questo la Ragioneria «chiede al ministero della Salute, in occasione del riparto delle disponibilità finanziarie 2024 del Ssn e per i successivi anni, di rendere indisponibili le risorse preordinate all’entrata in vigore delle nuove tariffe e quelle per l’aggiornamento dei Lea fino all’effettivo utilizzo delle risorse per le finalità indicate dalle norme».
Questo meccanismo ha spinto in Sicilia i deputati Pd all’Ars, a chiedere alla giunta Schifani l’istituzione di “un fondo per la Pma”: «Per diversi anni l’applicazione dei Lea è stata ostacolata dalla mancata approvazione del decreto Tariffe necessario a garantire parità di accesso alle prestazioni Pma. Il ritardo ha determinato differenze tra i costi sostenuti dalle coppie per l’avvio di cicli Pma nelle diverse regioni, poiché gli enti territoriali in piano di disavanzo sanitario, come la Sicilia, non possono finanziare prestazioni extra Lea».
«Quello che è più grave», ha spiegato il ginecologo Guglielmino, «è che proprio questi ritardi provocheranno un danno serio alla capacità di riproduzione di molte donne. Inoltre nelle regioni del Sud l’accesso negato alle Pma pubbliche costringe molte coppie a rivolgersi all’estero».
In questo scenario ci sono i paradossi. Una decina di anni fa all’ospedale Garibaldi di Catania venne inaugurato il nuovo reparto di Pma. Allora fu speso oltre un milione per acquistare sofisticati macchinari, finiti in un deposito perché il reparto non è mai decollato. È ancora aperto un contenzioso giudiziario con un medico vincitore di concorso per svolgere cicli di Pma. La direzione voleva assumerlo come ginecologo. Solo per fare ecografie.
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