- Secondo i dati Eurostat, nel 2021 sono 55,6 i miliardi di euro che la Pubblica amministrazione deve saldare ai fornitori. Così vengono messe in affanno migliaia di imprese, che rischiano la chiusura.
- Il trend dell’aumento del debito è in continua crescita: solo nel 2017 lo stock era di 45 miliardi, con un aumento di dieci miliardi in quattro anni.
- Nel decreto Aiuti, approvato in commissione Bilancio alla Camera, è passato un emendamento del Movimento 5 stelle che è intervenuto sulla materia, rendendo strutturale la misura che consente la compensazione dei debiti. Spingendo a non versare più le imposte dovute.
Un incremento costante dei debiti dello stato nei confronti delle imprese. Tanto che, alla fine, gli imprenditori possono non pagare più i loro debiti fiscali, facendo leva sui crediti accumulati. Una norma resa strutturale dal decreto Aiuti, approvato in commissione Bilancio alla Camera nei giorni scorsi, perpetua proprio questo meccanismo: le imprese che vantano crediti con la pubblica amministrazione possono chiedere la compensazione, nel caso abbiano cartelle esattoriali da pagare. Una mossa, voluta dal Movimento 5 stelle, che ha il sapore della disperazione e che dà per scontato il malfunzionamento dell’apparato statale nelle relazione con i suoi fornitori.
I numeri aiutano a inquadrare la questione. Eurostat ha scattato una fotografia impietosa: nel 2021 sono 55,6 i miliardi di euro che la pubblica amministrazione deve saldare ai fornitori. Mettendo in affanno migliaia di imprese, nonostante le buone intenzioni di abbattere lo stock del debito.
Numeri preoccupanti
Difficile fare una stima esatta sulle attività costrette a chiudere, nonostante i crediti vantati. Ma si parla nell’ordine delle migliaia, come confermato da chi segue da vicino i dossier. «Tante, tante promesse, mai mantenute e tante norme, sempre inefficaci», dice Stefano Ruvolo, presidente nazionale di Confimprenditori, che definisce la situazione un «fardello sulla vita delle imprese, con decine di migliaia di aziende che rischiano di chiudere perché stato ed enti locali pagano, quando lo fanno, costantemente in ritardo».
Uno scenario che non è proprio inedito. E anzi, c’è di più. Secondo i dati riferiti dalla Cgia di Mestre, lo scorso anno «l’amministrazione centrale dello stato ha ricevuto dai propri fornitori 3.657.000 fatture per un importo complessivo pari a 18 miliardi di euro».
In totale ne sono state liquidate 2.420.000, «corrispondendo a queste imprese 12,8 miliardi, “dimenticandosi”, si fa per dire, di saldarne 1.237.000». Un’operazione che ha portato a un risparmio stimato in 5,2 miliardi di euro. Resta il fatto, però, che tra i pagamenti saldati il 28,2 per cento è giunto in ritardo rispetto alle scadenze.
Lo storico dei dati indica il trend. Nel 2017 i debiti della pubblica amministrazione si fermavano a 45 miliardi e 200 milioni di euro. Nell’anno successivo c’è stato un aumento fino a 46 miliardi e 800 milioni di euro. E nel 2020 è stato sfondato il tetto dei 50 miliardi, attestandosi a poco meno di 52 miliardi. Fino ad approdare ai 55 miliardi di euro del 2021.
Con queste cifre, l’Italia ha il peggior rapporto tra Pil e debiti commerciali, con il 3,1 per cento. Alle spalle c’è la Romania con il 2,1 per cento e poi Bulgaria, Repubblica Ceca e Finlandia al due per cento. Le altre grandi economie hanno un dato che è la metà, o giù di lì, rispetto all’Italia, la Germania è all’1,6 per cento e la Francia all’1,4 per cento.
Ministeri inadempienti
Uno studio della Cgia di Mestre racconta le mancanze più gravi sui vari livelli, dallo stato centrale agli enti locali. Tra i ministeri con portafoglio «solo due su 14 hanno rispettato le scadenze di pagamento previste dalla norma (Transizione ecologica e Istruzione)», si legge nel dossier. Gli altri sono andati sempre oltre le scadenze.
«Le situazioni più “critiche” – secondo la Cgia – si sono registrate al ministero dell’Interno (+67 giorni rispetto alla scadenza prevista per legge), alle Politiche agricole (+ 42 giorni), alla Difesa (+33 giorni) e ai Beni culturali (+21 giorni)».
Va ancora peggio spostandoci sul piano degli enti locali, soprattutto nel Mezzogiorno. Il comune di Avellino, considerata la media del 2021, ha accumulato 72 giorni di ritardo, Reggio Calabria 154 giorni. E addirittura l’amministrazione di Napoli versa il dovuto con 228 giorni al di là dei termini, con un picco di 279 giorni nel terzo trimestre dello scorso anno. Sono casi estremi, ma che rendono l’idea del livello dell’inefficienza in vari contesti.
La norma del decreto
Così nel decreto Aiuti è stato approvato un emendamento che è intervenuto sulla materia, rendendo strutturale la misura (fino ad oggi temporanea) che consente la compensazione dei debiti. «La disposizione riconosce alle imprese la possibilità di compensare i crediti certificati e vantati nei confronti della pubblica amministrazione per pagare i debiti derivanti da cartelle esattoriali», dice Azzurra Cancelleri, deputata del Movimento 5 stelle, prima firmataria della proposta, che amplia la platea di crediti compensabili ai crediti derivanti da prestazioni professionali.
La legge era già in vigore, solo che aveva una natura provvisoria: ogni anno veniva prorogata con un emendamento. Adesso non c’è più bisogno di questo passaggio. L’intervento nasce con le buone intenzioni di rispondere a delle esigenze delle imprese. Ma spalanca la porta a una conseguenza: l’accettazione strutturale di un meccanismo inefficiente, quello del pagamento oltre i termini previsti, che apre all’opportunità di non versare le imposte dovute.
Non si fa fronte alla disfunzione, ma si sceglie di aggiungerne un’altra, disincentivando le imprese a pagare i tributi dovuti allo stato. Non riuscendo a fare di meglio sul versante dei pagamenti, ci si mette una toppa.
© Riproduzione riservata