- Premessa: questo non è un pezzo sul Covid o sui No green pass o i No mask, è piuttosto una testimonianza sulla teatralità mattoide, sulla voglia di protagonismo, sull’anarchia come scusa per crearsi una ribalta. La scena è quella classica di tanti romanzi: su un treno.
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Davanti al mio posto un signore compila la Settimana enigmistica, con una mascherina casalinga, una pezzetta di cotone nero, calzata tipo scalda collo. Con un gesto cerco di fargli capire che sarebbe opportuno assestarla sul viso, non a protezione del pomo d’Adamo. Il signore non capisce. Poi inizia a sbraitare.
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Arriviamo a Roma, dopo ore di mancato silenzio e droplets in libertà. Nel prendere il bagaglio mi sbilancio, barcollo. Il mio compagno di viaggio mi lancia un maleficio, urlando a tutto il vagone: «Quello che non fa il Covid, lo fa qualche altra cosa». È solo un assaggio di cosa deve essere successo sugli altri treni, metropolitane, autobus, traghetti.
Premessa: questo non è un pezzo sul Covid o sui No green pass o i No mask, è piuttosto una testimonianza sulla teatralità mattoide, sulla voglia di protagonismo, sull’anarchia come scusa per crearsi una ribalta. La scena è quella classica di tanti romanzi: da Graham Greene ad Agatha Christie, da Patricia Highsmith a Venedikt Erofeev, da Bohumir Hrabal a Michel Butor, infiniti scrittori hanno scelto il treno come contenitore di casi umani da far confliggere con altri viaggiatori o quantomeno con sé stessi. Costrizione (in un luogo definito) e reazione.
Compagno di viaggio
Nel primo giorno di mezzi di trasporto affollati per rientri e spostamenti postnatalizi, eccoci alla prova dell’obbligo di green pass sommato all’obbligo di mascherina ffp2. Capita dunque che mi trovi a salire su un Frecciarossa diretto da Milano Centrale a Napoli. La stazione è piena, e così i treni. Nel mio vagone di classe standard quasi ogni posto è occupato, quindi prima di andare a sedermi osservo con preoccupazione i futuri vicini.
Davanti al mio posto un signore compila la Settimana enigmistica, con una mascherina casalinga, una pezzetta di cotone nero, calzata tipo scalda collo. Con un gesto cerco di fargli capire che sarebbe opportuno assestarla sul viso, non a protezione del pomo d’Adamo. Il signore non capisce.
Sussurro: «La mascherina per favore». Lui: «Ce l’ho». Una ragazza mi guarda complice ma tace. Faccio segno di alzarla. Sbuffa e con spiccato accento napoletano dice a gran voce e relativo spargimento di droplets, come lo dovesse sentire tutto il vagone: «Ho preso una pillola, prima devo deglutirla. Sono una persona perbene».
Ma dai. Pausa teatrale e poi rialza il pezzo di stoffa nera coprendo solo la bocca. Sto zitta per un po’ e dopo qualche minuto sussurro: «Il naso, bisogna coprire anche il naso».
A Chiaia
Dramma! Il signore parte con una filippica: lui è vaccinato, lui non ha il Covid, lui è di un ottimo quartiere, eccetera. Nel frattempo, il treno non parte, ci sono ormai venti minuti di ritardo. Pochi posti più in là, un signore sbotta, con accento neutro, indefinibile: «Ha ragione Salvini, bisogna fermare i migranti, altro che imporci di non festeggiare in piazza, se io voglio suonare in piazza io suono, io sono leghista, sono orgoglioso di essere leghista, basta migranti, basta divieti» ulula in piedi nel corridoio, per farsi vedere da tutti.
Va detto che almeno il leghista indossa la mascherina regolamentare. Il mio vicino però non vuol saperne di farsi rubare la ribalta. Si alza a sua volta in piedi, senza mascherina, e mi chiede dove vado, perché lui è rispettabile, lui ha la residenza a Chiaia, io sicuramente ho un indirizzo peggiore, lui è un magistrato, lui abita a Chiaia, ribadisce.
Io vorrei dire che il mio indirizzo è al rione Sanità, tanto per buttarla in caciara (in realtà vado a Roma), ma poi sto zitta perché il leghista ha ripreso a gridare slogan pro Salvini, mentre l’altoparlante avverte che il treno è ancora fermo in stazione perché la Polfer sta cercando di allontanare 16 viaggiatori privi di mascherina.
Il complotto
Passa il controllore, spiega all’uomo di Chiaia che non può viaggiare col pezzo di stoffa. Segue accesa discussione finché il controllore si allontana e torna con una mascherina ffp2. Il leghista grida e si accapiglia anche con quelli che stanno zitti. Il magistrato dice due o tre volte che è magistrato, infine dopo 50 minuti il treno parte: «Ecco, vedete? Il treno è partito solo perché ho detto che sono magistrato, altrimenti stavate ancora ad aspettare, gli ho messo paura a quelli».
Manca però il complotto. Eccolo: Trenitalia per guadagnare di più non fornisce le mascherine ffp2 come faceva prima con le chirurgiche, per giunta non dà più la bottiglietta d’acqua gratuita, né il mignon di panettone come in business. Il leghista si scatena. L’abitante di Chiaia e il salviniano si alleano, il complotto di Trenitalia prende piede tra sceneggiata napoletana e Legnanesi. A quel punto, sotto la mascherina sto ridendo da un bel po’. Si deve notare dagli occhi incinesiti. Dal rischio di scontro fisico si passa al rischio di filodrammatica. Per i due comedians Trenitalia è peggio di Big Pharma e Bilberg messi insieme.
Arriviamo a Roma, dopo ore di mancato silenzio e droplets in libertà. Nel prendere il bagaglio mi sbilancio, barcollo. Il presunto magistrato mi lancia un maleficio, urlando a tutto il vagone: «Quello che non fa il Covid, lo fa qualche altra cosa». È solo un assaggio di cosa deve essere successo sugli altri treni, metropolitane, autobus, traghetti.
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