- Da lunedì le misure anti Covid hanno imposto la chiusura del più grande mercato all’ingrosso di elettronica del mondo, Huaqiangbei, a Shenzhen.
- Il blocco di Huaqiangbei, ha evidenziato ancora una volta le ripercussioni della politica “contagi zero”, che ha minimizzato i morti, ma che sta contribuendo a deprimere la seconda economia del pianeta.
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Il giornale finanziario online Yicai ha rivelato l’esistenza di un memo aziendale del fondatore di Huawei, Ren Zhengfei, dal titolo “Sopravvivere nei prossimi tre anni grazie alla qualità”.
Il premier cinese Li Keqiang, ispezionandola il 17 agosto scorso, aveva esortato la città di Shenzhen a «iniettare nuovo dinamismo» nell’economia del paese, grazie al suo settore hi-tech, che rappresenta oltre il 20 per cento del Pil della megalopoli del Guangdong.
Da lunedì però nell’ex villaggio che Deng Xiaoping nel 1979 ha trasformato in una zona economica speciale – per accogliere gli investimenti esteri e promuovere le esportazioni – le misure anti Covid hanno imposto la chiusura del più grande mercato all’ingrosso di elettronica del mondo, Huaqiangbei.
Le migliaia di rivenditori che affollano Huaqiangbei stipati in negozietti di tre metri quadrati riempiti all’inverosimile di materiali e dispositivi elettronici dovranno lavorare da casa, sottoponendosi quotidianamente a tampone fino a nuovo ordine. A decretare la chiusura anche di 24 stazioni della metropolitana, cinema, karaoke, bar e altri luoghi d’incontro dei distretti di Futian e Luohu (al confine con Hong Kong) sono bastati nove contagiati sintomatici e due asintomatici registrati domenica scorsa.
Shenzhen – che con oltre 17 milioni di abitanti è una delle metropoli più popolose, giovani e dinamiche della Cina – si è guadagnata la medaglia di città modello nella lotta al Sars-CoV-2 dopo che, a metà marzo, un lockdown di una settimana era riuscito a contenere l’epidemia.
Come il resto del paese, anche gli abitanti della città dove si trovano le sedi dei due colossi tecnologici Huawei e Tencent vanno avanti con un tampone entro le 48 ore precedenti per entrare in qualsiasi negozio o spazio pubblico, entro le 24 ore per accedere alle aree classificate a rischio medio, e la app “codice sanitario” sullo smartphone come passe-partout.
Il blocco di Huaqiangbei, un importante anello della filiera dell’elettronica, ha evidenziato ancora una volta le ripercussioni della politica “contagi zero”, che ha minimizzato i morti (5.226 dall’inizio della pandemia secondo i dati ufficiali), ma che sta contribuendo a deprimere la seconda economia del pianeta.
Nel corso della sua visita Li aveva ammesso che, «ci troviamo nella fase più difficile della stabilizzazione dell’economia: dobbiamo consolidare urgentemente la ripresa economica, perché il tempo non aspetta nessuno». Nei primi sei mesi dell’anno il Pil della Cina è cresciuto del 2 per cento, ben al di sotto dell’obiettivo del 5,5 per cento fissato dal governo per il 2022.
Verso il XX congresso
Nonostante ciò il XX congresso del partito comunista (che si aprirà il 16 ottobre a Pechino) si appresta a celebrare come un successo del “modello cinese” la politica “contagi zero” voluta da Xi Jinping, in grado di rallentare significativamente anche la diffusione di Omicron, e di salvare vite umane.
A Xi, che potrebbe ricevere dal prossimo congresso il titolo di “leader del popolo”, è questo l’aspetto che interessa di più, perché in grado di dimostrare la “superiorità” del sistema cinese rispetto alle democrazie liberali, consolidando il governo del partito unico.
Per questo è più che probabile che, calato il sipario sul congresso, finché la pandemia non finirà, la Cina andrà avanti con i lockdown selettivi, il lavoro da casa, i “circuiti chiusi” messi in campo per non interrompere la produzione di società come Huawei, Foxconn e Smic.
E mentre nell’anno record per i neolaureati (10,7 milioni) il mese scorso risultava disoccupato un cinese su cinque nella fascia di età 16-24, le multinazionali cinesi già fanno i conti con un futuro che prevedono segnato da crescita lenta (un inedito per la Cina post maoista) e da un’accentuata contrapposizione geopolitica con gli Stati Uniti.
Una “nuova normalità” che il fondatore di Huawei, Ren Zhengfei, ha analizzato in un memo aziendale rivelato dal giornale finanziario online Yicai e circolato negli ultimi giorni attraverso i social media cinesi.
Il titolo del documento interno è emblematico della drammaticità della fase e della strategia di una delle compagnie cinesi più colpite dal boicottaggio statunitense: “Sopravvivere nei prossimi tre anni grazie alla qualità”.
«Lasciare i mercati minori»
Classe 1944, Ren – tra gli imprenditori più stimati e popolari in patria – avverte che «dobbiamo capire le difficoltà dell’azienda e quelle che ci attendono. I prossimi dieci anni saranno un periodo storico molto doloroso. L’economia globale continuerà a indebolirsi. Ora, a causa dell’impatto della guerra (in Ucraina, ndr) e del continuo blocco e repressione da parte degli Stati Uniti, è improbabile che l’economia mondiale migliori nei prossimi tre o cinque anni. A causa dell’impatto del Covid-19, potrebbe non esserci una sola regione al mondo che sia un punto luminoso. Quindi la capacità di consumo si ridurrà notevolmente, esercitando pressioni su di noi (Huawei) non solo dal lato dell’offerta ma anche da quello del mercato», ovvero degli approvvigionamenti, resi difficili dalle sanzioni Usa.
Secondo Ren, le nuove circostanze comportano un ridimensionamento delle aspettative della compagnia che – probabilmente fino al 2025 – dovrà adattarsi alla nuova linea guida: “sopravvivere grazie alla qualità”.
Huawei – al centro della battaglia sul 5G e bandita negli Usa dal 2019 – è il simbolo dello scontro per la supremazia tecnologica tra Pechino e Washington. Ma le sue difficoltà sono comuni ad altri colossi, come ad esempio Alibaba e Tencent.
Per la prima volta dal 2008, i dipendenti di Huawei sono diminuiti, da 197.000 nel 2021 a 195.000 quest’anno. E nel primo semestre del 2022 il fatturato della compagnia di Shenzhen è calato del 5,9 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
La ricetta per resistere alla crisi prevede una drastica ristrutturazione, con il taglio dei progetti e degli investimenti che hanno davanti uno sviluppo incerto; la riduzione del personale; l’abbandono di alcuni mercati «dove registriamo un fatturato modesto».
Nel memo aziendale Ren invita i suoi dipendenti a rispettare il principio (maoista) di “cercare la verità nei fatti”. «Abbiamo abbracciato l’ideale della globalizzazione, aspirando a servire l’intera umanità. Qual è il nostro ideale adesso? – si chiede infine –. Sopravvivere e guadagnare un po’ di soldi ovunque possiamo. Dobbiamo studiare dove possiamo farlo e dove invece dovremmo arrenderci».
Ridimensionare le aspettative, adattarsi alle trasformazioni internazionali e della società cinese potrebbe essere non soltanto la ricetta di una corporation simbolo, ma la strategia del partito per la Cina.
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