- Oggi le restrizioni non dipendono più dal sistema a colori, ma dal possesso del green pass rafforzato: a parte la zona rossa, i vaccinati o guariti possono fare qualunque cosa e i non vaccinati quasi niente.
- La scelta di legare le restrizioni alla mancata vaccinazione o guarigione ha superato e, conseguentemente, reso inutile il sistema delle zone a colori. Ma le regole sulle colorazioni regionali sono rimaste. Quale sia la funzione concreta di tali regole non è dato sapere.
- Il sistema delle zone sta causando impatti distorsivi. Siccome il cambio di colore dipende anche dalla percentuale di occupazione dei posti letto, le regioni li aggiungono, sottraendoli ad altre destinazioni, e il gioco è fatto. Ma si tratta di un “gioco” consentito da lacune normative e mancati controlli.
La matassa di disposizioni complicate, aggrovigliate e poco coerenti, che regolano l’esistenza delle persone, è uno dei mali dell’Italia, com’è noto. Se fino a due anni fa questa forma di “burocrazia regolatoria” era palese nei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione, dall’ambito fiscale a quello dell’attività di impresa, la pandemia l’ha fatta emergere anche per i profili sanitari del vivere comune.
I governi dal 2020 hanno affastellato norme su norme per contrastare il Sars-CoV-2. Tuttavia, più ne vengono create, più è difficile mantenere la coerenza del sistema, incastrando quelle nuove nel quadro giuridico vigente, operando i riferimenti corretti, eliminando o modificando ciò che non serve.
Ne sono esempio gli ultimi provvedimenti che hanno esteso l’obbligo di super “green pass”, quindi, di attestazione dell’avvenuta vaccinazione o guarigione, quale condizione per accedere a luoghi e servizi, ma senza intervenire sul sistema delle zone a colori, nonostante l’incoerenza fra la “ratio” dei due strumenti.
Pandemia e burocrazia
Com’è noto, il sistema a colori era stato introdotto nell’autunno del 2020 affinché, invece di un lockdown generalizzato o comunque restrizioni identiche sull’intero territorio nazionale, vi fosse un differente bilanciamento delle limitazioni di libertà e diritti in relazione a specifiche situazioni di rischio delle diverse regioni, sulla base di parametri e indicatori prefissati.
Il sistema si è da subito dimostrato poco oggettivo, a causa della scarsa trasparenza, dello sfasamento temporale e di altri difetti dei dati comunicati dalle regioni alla cabina di regia, incaricata delle relative valutazioni sulla base di algoritmi.
I parametri utilizzati per la determinazione delle zone a colori sono stati modificati nel tempo e, da ultimo, un decreto legge del luglio scorso li ha sostanziati nella combinazione tra incidenza settimanale dei contagi ogni 100mila abitanti e occupazione dei posti letto nelle terapie intensive e nelle aree mediche.
La “ratio” del sistema a colori, come detto, era quella di far sì che le diverse misure di contrasto alla circolazione del virus fossero correlate alla situazione concreta delle varie regioni. Oggi è venuto meno questo criterio ispiratore, sostituito da quello del minor rischio di malattia grave, e parzialmente di contagio, connesso all’avvenuta vaccinazione o guarigione.
I colori non contano
Infatti, le restrizioni non sono più determinate dal colore della regione, ma dallo status di vaccinato o meno delle singole persone. La sostituzione del criterio guida nella gestione della pandemia è avvenuta mediante la progressiva imposizione dell’obbligo di green pass rafforzato, esteso dapprima a una serie di servizi e attività, e poi dal 10 gennaio scorso divenuto condizione per l’accesso a qualunque luogo di socialità. Peraltro, dal 15 febbraio per gli over 50 servirà il super green pass anche per entrare nei luoghi di lavoro, data l’introduzione anche dell’obbligo vaccinale per questa fascia di età.
In altre parole, salvo che in zona rossa, di cui nessuno parla, oggi le restrizioni non dipendono più dal colore, ma dal possesso del super green pass: la zona bianca, gialla e arancione è ormai un’unica zona del medesimo colore, ove i vaccinati o i guariti possono fare qualunque cosa e i non vaccinati quasi niente, in una sorta di lockdown di fatto.
Le regole non cambiano con il cambio di colore, salvo nelle zone arancione, con l’obbligo di green pass nella versione base per spostarsi dai comuni con più di 5mila abitanti e in quella rafforzata per accedere a centri commerciali nel fine settimana.
Dunque, la scelta di legare le restrizioni alla mancata vaccinazione o guarigione ha superato e, conseguentemente, reso inutile il sistema delle zone a colori. Ma le regole sulle colorazioni regionali sono rimaste. Quale sia il senso, la funzione concreta di tali regole, non è dato sapere.
Il rebus dei posti letto
Il sistema delle zone a colori va eliminato non solo perché al momento non serve pressoché a nulla, come spiegato, ma anche perché il suo mantenimento determina impatti distorsivi. Come riportato dalle cronache ormai da settimane, siccome il cambio di colore dipende anche dalla percentuale di occupazione dei posti letto, le regioni aggiungono posti letto per evitare il passaggio in una zona di colore più intenso, e il gioco è fatto.
Ma si tratta di un “gioco” consentito dalla legge stessa, anzi dalle sue carenze. Infatti, il decreto che ha modificato i parametri per il cambio di colori prevede che la comunicazione dei posti disponibili in terapia intensiva per pazienti Covid, da parte delle regioni, possa «essere aggiornata con cadenza mensile sulla base di posti letto aggiuntivi», a condizione che i nuovi posti letto «non incidano su quelli già esistenti e destinati ad altre attività». In altri termini, non si deve fare il gioco delle tre carte con i posti letto, aumentandoli da una parte e sottraendoli dall’altra.
La norma pone due ordini di problemi. Da un lato, nonostante la precisazione che i posti aggiunti non vanno sottratti ad altre patologie, non si dispone un effettivo controllo affinché in concreto ciò non accada. Dall’altro lato, non si dice nulla riguardo ai posti letto nelle ordinarie aree mediche.
Sembra quasi che, stabilendo per le terapie intensive un divieto di cambio di destinazione che nessuno verifica e non stabilendo il medesimo vincolo per le altre aree, si sia lasciata alle regioni una via per evitare cambi di colore. E le regioni ne approfittano.
Dunque, oggi le zone a colori non solo paiono inutili in concreto, ma costituiscono pure l’alibi per consentire i “giochi” sopra esposti. Anche per questo sarebbe meglio eliminare le une e gli altri.
Sfrondare la burocrazia
Le regole per affrontare la pandemia si sono via via accumulate, come detto, creando matasse difficilmente districabili anche dagli esperti. Le persone sono sempre più disorientate a fronte di un sistema che concede una quasi normalità ai vaccinati, anche con le regole sull’autosorveglianza, ma che non impedisce chiusure in via di fatto, come avviene ad esempio nelle scuole per l’incoerenza delle regole stesse.
E nuove regole stanno per arrivare, con il dpcm che definirà quali sono i servizi essenziali cui si potrà accedere anche senza green pass e con ulteriori disposizioni per la quarantena, data la burocrazia che attualmente ne disciplina l’uscita.
Sfrondare il sistema anti Covid dalle norme non necessarie sarebbe importante, per contrastare la “pandemia regolatoria” e rendere più agevole la gestione di quella sanitaria, da parte sia dei decisori sia dei destinatari delle decisioni.
Il governo elimini il sistema a colori o quanto meno spieghi a cosa serve, ora che dal possesso del super green pass dipende praticamente la vita delle persone. Anziché ridurre la trasparenza sui dati, come qualcuno propone, diradandone la divulgazione perché sarebbe ansiogena, si rafforzi quella sulle motivazioni, come richiesto da molti sin dall’inizio della pandemia, spesso inutilmente.
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