- Nel provvedimento di fermo dei presunti scafisti ci sono le testimonianze del viaggio dei migranti dalla Turchia all’Italia. Un viaggio che si è concluso con l’imbarcazione distrutta e oltre 60 morti. Fra loro, almeno quindici erano bambini.
- «Eravamo segregati nella stiva. Ho sempre avuto paura che l’imbarcazione potesse imbarcare acqua perché le condizioni del mare non erano delle migliori e le donne e i bambini erano impauriti, hanno sempre pianto e gridato aiuto», ha raccontato un testimone.
- Il viaggio è costato 8mila euro. I soldi sono stati incassati dalla rete di criminali che gestiscono il traffico dal paese d’origine fino all’approdo.
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Foto di Sara Giudice
Nel provvedimento di fermo per tre persone indicate come presunti scafisti dell’imbarcazione, con una quarta che è irreperibile, c’è il dramma del viaggio dei migranti dalla Turchia all’Italia. Il viaggio si è concluso con oltre 60 morti, fra i quali almeno quindici erano bambini, a Steccato di Cutro, a 20 chilometri da Crotone.
Le testimonianze sono state raccolte dagli inquirenti, tra i quali ci sono i carabinieri che sono stati i primi a intervenire, poco dopo le quattro e trenta del mattino. Lungo la spiaggia hanno trovato i primi cadaveri e si sono gettati in acqua nel tentativo di salvare quanti chiedevano aiuto.
«Successivamente venivano rinvenuti altri corpi, tra i quali anche un bambino, nei confronti del quale veniva praticato un massaggio cardiaco di emergenza con esisto negativo. Il corpo era già privo di vita», si legge nella ricostruzione dei militari, nel provvedimento di fermo a carico di Sami Fuat, difeso dall’avvocato Pasquale Sarpi.
All’inizio erano soli nelle operazioni di soccorso, poi sono arrivati tre pescatori e, successivamente, il personale della guardia di finanza, della capitaneria di porto e della polizia di stato. Fin da subito alcuni sopravvissuti hanno indicato i quattro scafisti e per farlo hanno raccontato cosa hanno vissuto nelle fasi finali del viaggio, iniziato da una spiaggia del distretto di Cesme, in Turchia, dopo aver sostato a Istanbul in alcune abitazioni che sono utilizzate della rete criminale di trafficanti.
Più volte i migranti hanno chiesto agli scafisti e ai complici, di nazionale pakistana, di chiamare i soccorsi quando le coste erano visibili e la situazione diventava pericolosa. Ma non sono stati ascoltati.
Le testimonianze
«La situazione era diventata critica. Infatti, dopo il repentino cambio di rotta, le onde alte hanno iniziato a far muovere e piegare l’imbarcazione sino a quando improvvisamente la barca ha urtato e iniziato a imbarcare acqua», ha raccontato un sopravvissuto.
Nelle testimonianze ha ricostruito la sua odissea, con la partenza nel 2021 dall’Afghanistagn, l’arrivo in Iran attraverso i primi trafficanti e l’ingresso in Turchia. Da lì ha provato, una prima volta, a raggiungere l’Italia ma è stato arrestato e portato in un campo di prigionia dal quale è scappato dopo il terremoto.
Dopo la partenza, con un gruppo di 180 persone, è salito per la prima volta su un barcone che è andato in avaria. Poi su un altro ancora, il caicco che si schianterà a poche centinaia di metri dalla costa italiana. «Abbiamo navigato cinque giorni, gli scafisti avevano un telefono satellitare e un apparecchio che sembrava tipo Jammer (per inibire il funzionamento dei cellulari dei migranti, ndr). Eravamo segregati nella stiva (...). Ho sempre avuto paura che l’imbarcazione potesse imbarcare acqua perché le condizioni del mare non erano delle migliori e le donne e i bambini erano impauriti, hanno sempre pianto e gridato aiuto (...). L’imbarcazione era in condizioni pessime e non siamo mai stati equipaggiati con nessun giubbotto galleggiante (...). Volevano farci sbarcare nel cuore della notte per eludere i controlli di polizia», ha detto.
Quando sono arrivati vicino alla costa, i trafficanti hanno visto alcune segnalazioni luminose e hanno temuto un intervento della polizia. Per questo hanno cambiato la rotta e modificato il punto di approdo.
«Dopo il cambio di rotta la barca ha urtato contro qualcosa e ha iniziato a imbarcare acqua e a inclinarsi su un fianco (...). Ho visto che tre dei membri dell’equipaggio hanno buttato in mare un tender e sono saliti allontanandosi (...). Mi sono tuffato in mare aggrappandomi a un salvagente, così hanno fatto anche le persone che erano con me. Nel momento in cui mi sono tuffato ci trovavamo a circa 200 metri dalla riva. Arrivato a riva, ormai senza forze, mi sono sentito prendere il braccio da un poliziotto che mi ha soccorso e portato in salvo sulla spiaggia», ha raccontato il sopravvissuto.
Help, help
Il viaggio è costato 8mila euro. I soldi sono stati incassati dalla rete di criminali che gestiscono il traffico dal paese d’origine fino all’approdo.
Anche un altro migrante, in fuga dal regime dei Talebani, ha raccontato le fasi del viaggio e il drammatico esito. «Alle quattro di questa notte il mare si era fatto più mosso. A questo punto si sono iniziate a vedere delle luci sulla costa e a quella vista tanti di noi hanno gridato: “Help, help”, credendo che si trattasse già dei soccorsi. Purtroppo non rispondeva nessuno e dopo pochi minuti è arrivata una forte onda e c’è stato un forte urto (...). Quando gli scafisti hanno sentito che chiedevamo aiuto hanno cercato di fuggire. Io ho provato a bloccarli, uno è riuscito a tirarmi e spingermi tuffandosi in acqua anche lui (...)». Uno dei trafficanti ha provato a nascondersi tra i migranti sopravvissuti, ma è stato scoperto e arrestato.
«Non appena la barca si è rovesciata, mi sono tuffato in mare e mi sono aggrappato ad un pezzo di legno con il quale sono riuscito ad arrivare a riva e a mettermi in salvo», ha raccontato un altro sopravvissuto. «Iniziava a diffondersi il panico tra tutti. La gente nella stiva iniziava a soffocare e a salire nella coperta (...) poi la barca si è spezzata e l’acqua ha iniziato a entrare dappertutto (...) sotto c’erano circa 120 persone tra donne e bambini», ha riferito un altro.
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