I clienti vogliono avere a disposizione cibo sfizioso a qualsiasi ora, in crociera. A garantire l’operatività dei ristoranti è il duro lavoro dei dipendenti. Mentre la cura per i piatti e l’attenzione per la sostenibilità ambientale è ovunque, le denunce per i trattamenti dei lavoratori si sommano
Un ristorante dove poter assaporare i piatti scelti da chef stellati. Uno dove assaggiare quelli della tradizione giapponese. Uno interamente dedicato al mondo del sushi. Un altro alla cucina cinese. Un altro ancora ai vari tipi di poke hawaiani.
E poi uno di solo pizza, carne di qualsiasi taglio, hamburger e persino un’area ad hoc per la Nutella. Pensare che in vacanza si possa ridurre il numero delle calorie ingerite sarebbe sbagliato, specie su una crociera. I lunghi viaggi in mare accompagnano un costante desiderio di cibo, per lo più indotto, da sfogare praticamente ad ogni ora e con qualsiasi tentazione, come si legge dall’offerta di Costa Crociere. Da qualche anno, la compagnia di navigazione italiana ha stretto una collaborazione con Bruno Barbieri (sette stelle Michelen), Hélèn Darroze (sei) e Ángel León (tre), accogliendo a bordo i loro menù degustazione: si comincia da un’insalata di astice con mela kanzi e pancotto, per passare a un pane soffiato al plancton con soppressata di mare e poi finire con un babà imbevuto d’armagnac darroze.
Al gusto si abbina anche l’etica, da ritrovare in un ristorante (Archipelago) costruito con il minimo impatto ambientale e nel reinvestimento dei suoi incassi, devoluti alle attività di salvaguardia del mare. Oltre che nell’abbattimento degli sprechi alimentari, avendo la possibilità di calibrare i pasti in base agli ospiti. Il cibo è dunque tra i protagonisti assoluti di una crociera. Tutto è a portata di bocca, basta sedersi, scegliere, ordinare e aspettare di essere serviti.
Vita a bordo
Quando Luis si è imbarcato a inizio 2020 per diventare responsabile al reparto dei formaggi freschi, non poteva immaginare che una pandemia avrebbe reso la sua avventura tutt’altro che indimenticabile. «I contratti di Costa Crociere durano cinque mesi, con la formula più o meno uno. Vuol dire che la durata è di cinque mesi, ma possono farti sbarcare al quarto come al sesto», spiega. In mezzo al mare i costi sono abbattuti, si spende giusto per il minimo indispensabile. L’obiettivo è resistere cinque mesi, sei al massimo, e poi tornare a casa con un bel gruzzolo. Tuttavia, non è un lavoro alla portata di tutti.
Le condizioni sono dure e gli orari lunghissimi. Ci sarebbero le raccomandazioni europee, dove è scritto che il personale non può lavorare per più di trentuno giorni consecutivi stabilendo un massimo di ore lavorate (quattordici nell’arco di ventiquattro ore o settantadue per un periodo di sette giorni) e un periodo minimo di riposo (dieci ore per ogni giorno lavorato o settantasette nel giro di una settimana). Principi in linea con la Convezione del lavoro marittimo dell’Ilo del 2006, che specifica come «ogni Stato membro riconosce che lo standard relativo alla durata del lavoro per la gente di mare, come per gli altri lavoratori, è di otto ore con un giorno di riposo alla settimana, oltre al riposo corrispondente alle festività nazionali».
Costa Crociere, tuttavia, ci tiene a precisare che «è l’unica società crocieristica le cui navi battono bandiera italiana, il che implica controlli ancora più severi in materia di rispetto delle normative sul lavoro a bordo da parte delle Autorità Italiane. Gli orari di lavoro a bordo sono conformi alle normative previste in materia dall’International Labour Organization e dall’Unione Europea. La retribuzione del personale di bordo viene erogata mensilmente per intero, in linea con quanto previsto dai Contratti Collettivi, tutti stipulati con le Organizzazioni Sindacali Italiane, a prescindere dalla nazionalità del personale; inoltre, a fine contratto vengono liquidati in un’unica soluzione ferie, festività, riposi compensativi, 13° mensilità, Tfr, come dovuti in base ai suddetti contratti di lavoro e alla legge italiana».
L’impegno a bordo continua a tutte le ore. «L’attrazione principale è il cibo. La gente mangia ad ogni ora, e quindi si lavora dalla mattina alla sera», continua Luis. E poi, il Covid-19. Quando il virus ha fatto la sua apparizione sulla nave, «in quel periodo si è scatenato il panico, nessuno sapeva come gestire la situazione», tanta era la paura del contagio. Anche lui è stato male, costretto a rimanere «venti giorni con 39,5 di febbre, chiuso in una cabina senza finestra».
Mal comune, zero gaudio
Di racconti del genere sono pieni i diari di bordo, purtroppo. A finire sotto accusa non è l’esperienza singola né tantomeno la compagnia di navigazione, quanto un modus operandi sempre più diffuso e difficile da scardinare. Human Rights in Tourism ha paragonato il lavoro sulle navi da crociera a una forma di schiavitù moderna, confermando l’usanza di turni da dodici ore o più, senza un giorno libero per mesi, ricevendo paghe basse giustificate con le laute mance. L’esternalizzazione del reclutamento dei lavoratori, subappaltato ad agenzie specializzate, complica ancor di più la questione.
A metà gennaio dello scorso anno c’era stata indignazione per le condizioni di lavoro che alcune società riservavano al personale di nazionalità cubana, come Msc crociere. L’ong Prisoners Defender, supportata da Human Rights Watch e alcuni membri del parlamento europeo, aveva portato prove che testimoniavano, tra le tante violazioni, il trattenimento di gran parte dello stipendio dei lavoratori, la confisca dei loro beni – documenti esclusi – e il divieto di tornare a Cuba per otto anni se fossero scesi prima della fine del contratto o decidevano di non rincasare sull’isola.
Il tutto, con la complicità del governo de L’Havana e la Select Mar cubana. Nel 2014, la polizia brasiliana aveva salvato undici membri dell’equipaggio (tredici, includendo i due che hanno preferito rimanere a bordo) di una nave Msc, ormeggiata a Salvador prima di tornare in Europa, costretti a lavorare per sedici ore al giorno mentre alcuni avrebbero persino subito molestie sessuali.
Condizioni pessime anche quelle con cui hanno convissuto i lavoratori della Bahamas Paradise, che durante il periodo pandemico ha tenuto il suo personale senza paga per mesi, costringendolo comunque a lavorare. Questo, però, non scoraggia le compagnie. «Continuano a chiamarmi», conclude Luis. Perché qualcuno dovrà pur provvedere a rendere irrepetibile l’esperienza su una crociera.
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