La notizia della bimba di dieci anni di Palermo finita in coma irreversibile dopo aver partecipato alla Blackout challenge, una prova di soffocamento estremo filmata e poi pubblicata su Tik Tok, ha riacceso il dibattito sul tema della sicurezza dei più giovani sul web. Negli ultimi anni, infatti, sono state tante le sfide di questo tipo lanciate sulle varie piattaforme
La notizia della bimba di dieci anni di Palermo finita in coma irreversibile dopo aver partecipato alla Blackout challenge, una prova di soffocamento estremo filmata e poi pubblicata su Tik Tok, ha riacceso il dibattito sul tema della sicurezza dei più giovani sul web. Negli ultimi anni, infatti, sono state tante le sfide di questo tipo lanciate sulle varie piattaforme. Ma mentre alcune – pensiamo alla Ice bucket challenge, nella quale gli utenti si rovesciavano addosso un secchio pieno d’acqua e ghiaccio per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla Sla e la ricerca scientifica – hanno avuto intenti benefici o in ogni caso non erano pericolose per la vita di chi le raccoglieva, tante altre hanno prodotto una scia preoccupante ed evitabile di morti. Ma anche polemiche, perché alcuni di questi fenomeni non sono mai stati accertati dalle autorità.
Blackout challenge
La Blackout challenge consiste nel togliersi l’ossigeno con una corda o una sciarpa, legate attorno al collo. Fino a provocarsi uno svenimento. Il tutto viene filmato o fotografato: video e immagini vengono poi postate online, sui social, per dimostrare di aver superato la sfida. Per attirare i giovani a partecipare, vengono diffuse anche delle bufale sulla challenge, come quella secondo cui farlo provochi una insolita euforia. Una sorta di “sbornia” post-challenge, che spinge i ragazzi a voler provare questa esperienza. La verità, invece, è che il soffocamento «porta a sensazioni di panico e a una perdita di conoscenza che può causare dei profondi danni neurologici», come spiegato a Repubblica da Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di neuroscienze del Fatebenefratelli di Milano.
Sebbene sia diventata celebre oggi con la storia della bambina palermitana, la Blackout challenge ha iniziato a circolare già nel 2018. In quell’occasione, un ragazzo di 14 anni di Milano, Igor Maj, fu trovato morto soffocato con una corda al collo. Secondo i genitori non si trattò di un suicidio, ma proprio di questa sfida: nella cronologia del pc del ragazzo vennero trovate infatti ricerche su questo tema.
Jonathan Galindo
Jonathan Galindo è un personaggio fittizio con le sembianze di Pippo della Disney, ma con lineamenti molto più inquietanti. Si palesa con una serie di account falsi sui social network, non solo Tik Tok ma anche Facebook e Instagram, e a quanto pare chiede l’amicizia ai giovani utenti, contattandoli subito dopo. Ed è qui che inizia la sfida: pare infatti che ai giovani arrivi un link che propone loro di entrare in un gioco, nel quale vengono lanciate sfide e prove di coraggio, che arrivano fino all’autolesionismo.
Di Jonathan Galindo si è parlato in Italia anche molto recentemente, dopo il caso del suicidio di un bimbo di 11 anni di Napoli, avvenuto lo scorso settembre. «Mamma, papà, vi amo ma devo seguire l’uomo col cappuccio», ha scritto in un ultimo messaggio il ragazzo, prima di cadere dall’undicesimo piano. Il fenomeno, tuttavia, è globale: segnalazioni sono arrivate dagli Stati Uniti, dalla Spagna e dalla Germania. La cosa curiosa è che la “maschera” usata dagli account di Galindo è stata realizzata anni fa da un creatore di effetti cinematografici, ovviamente per tutt’altro scopo.
Blue Whale
La Blue Whale challenge è forse la più vecchia di queste follie circolate sul web, anche se non in tutte le occasioni è facile capire cosa sia realmente vero e cosa invece sia frutto di disinformazione. Si tratterebbe di una sfida in cui i giovani sono chiamati ad affrontare cinquanta prove estreme in cinquanta giorni, fino al suicidio. Ogni prova, come camminare sui binari delle ferrovie, va ripresa e poi caricata sui social.
I ragazzi verrebbero contattati sui social da persone misteriose che li guidano prova dopo prova, dopo averli convinti di possedere informazioni che possono far male alla loro famiglia. La prima prova sarebbe quella di procurarsi dei tagli alle braccia e pubblicare le foto con l'hashtag #f57. Della Blue Whale si parlò per la prima volta in Russia, nel 2015. In Italia, sono state Le Iene a trattare ampiamente il tema, intervistando quattro mamme russe di ex partecipanti alla sfida. Tuttavia, non è mai stato accertato se Blue Whale esistesse veramente.
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