Le società italiane del ricco parlamentare leghista sono controllate da tre holding lussemburghesi. E al vertice della catena due società nelle mani della commercialista Moreschi . Il caso del “bonus” da 4 milioni
Scavare fino alle radici dell’impero di Antonio Angelucci permette di capire moltissime cose sull’origine e sul consolidamento del suo potere. La lettura dei documenti societari restituisce una certezza: i due settori in cui è attivo, editoria e sanità, seppure diversi sono funzionali l’uno all’altro. Almeno questo dice la storia meno conosciuta del parlamentare più ricco d’Italia.
Per comprendere il travaso di risorse e interessi partiamo dall’ultima sfida dell’ex portantino dell’ospedale San Camillo di Roma, diventato poi sovrano della sanità privata.
Partiamo, dunque, dalla trattativa per comprare Agi, confermata dalla stessa Eni ormai due mesi fa. Dopo Il Giornale, Libero e Il Tempo, il parlamentare della Lega Antonio Angelucci vuole acquistare anche la seconda agenzia di stampa italiana dopo Ansa.
Tutto questo senza considerare che, secondo alcuni articoli pubblicati in quei giorni e poi smentiti dagli Angelucci, nel mirino della famiglia romana ci sarebbe anche La Verità, il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro. Voci di una trattativa in corso per rilevare il giornale di Belpietro circolano ancora oggi con insistenza, nonostante nuove smentite.
Si vedrà come andrà a finire, ma di certo il governo guidato da Giorgia Meloni non sembra opporsi al progetto di raggruppare sotto un’unica guida tutti i giornali di area. Con l’aggiunta fondamentale di Agi, il cui acquisto permetterebbe di fornire agli altri media, non solo quelli di destra, la materia prima, cioè la stragrande maggioranza delle notizie che ogni giorno vengono diffuse. Vista la posta in gioco, vale dunque la pena di analizzare nel dettaglio il potere finanziario di Angelucci.
I bonus da 4 milioni
Partiamo da una stranezza. Se si guardano le dichiarazioni patrimoniali dei parlamentari, Antonio Angelucci, 80 anni a settembre e in tasca la licenza media, risulta il più ricco di tutti: nel 2022 il suo reddito lordo è stato di 3,3 milioni di euro.
Nonostante sia lui stesso a descriversi sul sito del parlamento come «imprenditore», la parte dei documenti dedicata alle imprese controllate è però vuota: il deputato leghista non ha ufficialmente azioni di alcuna azienda.
Per comprendere il motivo della stranezza bisogna analizzare una complicata ragnatela societaria che, partendo dall’Italia, passa per il Lussemburgo, arriva fino alle Isole Vergini Britanniche e incrocia il percorso di una commercialista attivissima nei principali paradisi fiscali del mondo.
Fatto salvo il quotidiano Libero, controllato attraverso la Fondazione San Raffaele, quasi tutti gli affari italiani di Angelucci fanno capo a tre società. C’è la Finanziaria Tosinvest, con 17 partecipate, tra cui alcune imprese del settore sanitario e due dei principali quotidiani del gruppo, Il Tempo e Il Giornale.
Tosinvest non se la passa bene. Nell’ultimo bilancio disponibile, del 2022, ha registrato una perdita netta di 2,5 milioni, a fronte di un fatturato di 10,9 milioni di euro. Poi c’è la Investimenti immobiliari italiana, che raccoglie parte delle case e dei palazzi del gruppo: nel 2022 l’attivo di bilancio è stato pari a 79,2 milioni di euro, ma il conto economico si è chiuso con un rosso di quasi 1,2 milioni di euro. Infine c’è la gallina dalle uova d’oro, la San Raffaele spa, che controlla 16 aziende, quasi tutte cliniche private convenzionate con il servizio sanitario nazionale.
Dei tre pilastri economici di Angelucci, quello rappresentato dalla San Raffaele spa è l’unico redditizio, ma basta e avanza per compensare le perdite delle altre attività: nel 2022 la società ha infatti fatturato 91 milioni di euro e l’utile netto è stato di 15,5 milioni di euro. L’anno prima l’andamento è stato simile: ricavi pari a 97 milioni di euro, profitti netti per 10,4 milioni. Le cose vanno talmente bene che sia nel 2021 sia nel 2022 l’azienda ha speso 4 milioni di euro giustificati come «vitalizio socio fondatore».
Si tratta di Antonio Angelucci? Lo abbiamo chiesto al diretto interessato: «Il signor Angelucci non intende rilasciare alcuna dichiarazione o commento in merito».
Il regno dell’ex portantino
I guadagni macinati grazie alle cliniche convenzionate con lo stato, però, non finiscono in Italia. Tutte le tre grandi società italiane di Angelucci sono infatti controllate dalla lussemburghese Three Sa. È quest’ultima, fondata nel 1994, a incassare i dividendi staccati negli anni dalla San Raffaele spa e dalle altre aziende italiane che fanno capo al parlamentare della Lega.
È scritto nel bilancio della San Raffaele spa, relativo 2022, dove si legge che la società italiana per quell’anno ha deciso di destinare 15 milioni di euro di dividendi – pari a quasi tutto l’utile netto – alla controllante Three Sa. Tasse pagate? Nel bilancio della holding lussemburghese non c’è scritto quante imposte sono state versate nel 2022, ma di certo il Granducato offre parecchi vantaggi rispetto all’Italia sulla tassazione dei dividendi, gli interessi sui prestiti e le plusvalenze finanziarie. Sono questi i motivi che hanno portato la famiglia Angelucci a scegliere di registrare la Three Sa in Lussemburgo? Anche in questo caso la nostra richiesta di commento ha ricevuto la stessa risposta: no comment.
Leggendo il rendiconto finanziario della Three Sa, si scoprono anche i numeri dell’impero. Le società italiane che controlla – cioè principalmente Finanziaria Tosinvest, San Raffaele e Investimenti immobiliari italiana – valgono 245,9 milioni di euro: è questo il valore delle immobilizzazioni finanziarie di Three Sa, cioè in sostanza il patrimonio societario di Angelucci. La holding lussemburghese nel 2022 ha registrato un utile netto pari a 5,5 milioni di euro. Ma, soprattutto, ha in pancia dividendi non distribuiti per 345 milioni di euro: una potenza di fuoco che in pochi possono vantare.
Chi incasserà tutti questi soldi una volta che verranno distribuiti? La serie di scatole cinesi non finisce con la Three Sa. A controllare quest’ultima è un altro veicolo lussemburghese, la spa di Lantigos Sa, a sua volta di proprietà dalla Lantigos Sa, anch’essa basata nel Granducato.
Ma di chi è la Lantigos? Di altre due società: a fondarla, nel 2006, sono state infatti la Aqualegion Ltd, registrata a Londra, e la Walbond Investments Ltd, basata nel paradiso fiscale delle Isole Vergini Britanniche. Abbiamo chiesto spiegazioni ad Antonio Angelucci, ma la risposta è stata sempre la stessa: «Nessuna dichiarazione».
La commercialista
Non c’è modo di conoscere gli azionisti della Walbond Investments, dato che le Isole Vergini Britanniche fanno del segreto societario uno dei loro segni distintivi. Di Aqualegion è invece possibile sapere qualcosa di più. Il registro commerciale britannico dice che la società è controllata con oltre il 75 per cento delle azioni da Luisella Moreschi, una commercialista residente in Lussemburgo.
Moreschi amministra attualmente decine di imprese in giro per il mondo, dagli Stati Uniti a Cipro. Ventiquattro di queste società sono registrate a Panama, altra nazione dove vige il segreto societario e le tasse sono a zero. Non solo. Classe 1957, Moreschi è anche console onoraria del Ruanda in Lussemburgo.
Ed è proprio in Ruanda – uno dei paesi africani con il più alto tasso di crescita economica, da alcuni analisti descritto come il nuovo paradiso fiscale del continente – che le strade degli Angelucci e della commercialista si incontrano di nuovo. Lo si legge sul sito della Fondazione Silvana Paolini Angelucci, organizzazione no profit creata quasi 20 anni fa in memoria della moglie del deputato leghista. Nel 2009, la fondazione degli Angelucci ha cofinanziato la costruzione di una scuola a Nyanzà, non lontano dal lago Kivu. L’altro finanziatore dell’opera? La onlus Femmes Développement, fondata proprio da Moreschi.
La commercialista ha lasciato poche tracce di sé in Italia. Dai documenti ufficiali il suo nome risulta in una società ormai chiusa da tempo e anche in quel caso controllata da una holding lussemburghese. Alla nostre domande, Moreschi non ha mai risposto.
Alla fine si torna sempre lì, in Lussemburgo, nel paradiso fiscale delle multinazionali d’Europa. Paradiso contro cui la destra nazionalista, da Matteo Salvini a Giorgia Meloni, ha sempre tuonato. Su Angelucci però non hanno mai sollevato questioni di opportunità.
Eppure in ballo ci sono soldi pubblici del sistema sanitario nazionale. Ma all’editore di destra più potente e ricco d’Italia è concesso anche questo: cuore sovranista e aziende offshore.
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