Un’emergenza in tutta Italia. Con la scusa della sanificazione la sindaca di Roma Virginia Raggi ha messo per strada i migranti accolti dal centro Baobab Experience. A Ventimiglia per dei casi di Covid-19 è stato chiuso un centro di accoglienza
- L’accoglienza è messa in serio pericolo dalla pandemia. Mense dei poveri e centri informali stanno chiudendo: migranti e senza fissa dimora sono ancora più ai margini.
- I casi di sospensione dei servizi per le persone in situazione di fragilità continuano a crescere. La sindaca Virginia Raggi con la scusa di sanificare il centro Babobab Experience a Roma ha messo per strada 14 persone, a Ventimiglia per dei casi di contagio è stato chiuso un centro della Croce Rossa.
- In questo modo l’accoglienza è messa in serio pericolo dalla pandemia. L’emergenza sanitaria da Covid-19 ha contribuito a complicare le procedure di accesso ai circuiti di solidarietà già molto difficoltose.
L’accoglienza è messa in serio pericolo dalla pandemia. Mense dei poveri e centri informali che chiudono: migranti e senza fissa dimora ancora più ai margini. Insomma, l’emergenza sanitaria da Covid-19 ha complicato le procedure di accesso ai circuiti formali e informali di solidarietà e accoglienza per le persone più vulnerabili, gli ultimi dei territori.
A denunciare la perenne precarietà dell’accoglienza è il presidio umanitario di Baobab Experience, associazione che dal 2015 presta servizi di prima accoglienza, assiste i migranti in transito, cioè tutti quelli che sono solo di passaggio nel nostro paese e che vorrebbero andare nel nord Europa. Baobab chiede al comune di Roma soluzioni di accoglienza e inclusione per i propri ospiti, molti dei quali richiedenti asilo e che hanno diritto alla protezione umanitaria.
Sanificazione Raggi
La sindaca Virginia Raggi ha risposto a queste richieste lo scorso 15 ottobre con un «intervento di sanificazione», come da lei stessa definito in un post su Facebook, delle aree adiacenti alla stazione Tiburtina, dove le volontarie e i volontari del presidio umanitario forniscono beni di prima necessità ai migranti e ai senza tetto.
L’associazione Baobab ha risposto alla prima cittadina affermando che l’intervento «è consistito nel raccogliere e buttare le coperte dei senza fissa dimora» e che le 14 persone «prese in carico» dal comune, come detto dalla sindaca, sono state invece poi rilasciate in strada. La pandemia ha poi fatto il resto nel peggiorare ulteriormente questa situazione, ostacolando l’accesso a beni e servizi per i migranti.
Questa esperienza rappresenta molte delle situazioni di centri di accoglienza e associazioni che lavorano sul territorio nazionale, le quali si trovano a dover affrontare situazioni delicate e difficili, aggravate della pandemia. È il caso soprattutto dei centri di accoglienza in zone particolarmente nevralgiche come i confini nel nord Italia e le coste dove più frequentemente avvengono gli sbarchi.
Chiusa la mensa
Lo scorso luglio ha chiuso causa pandemia il centro di accoglienza nel campo di Roja a Bevera, frazione di Ventimiglia, gestito dalla Croce Rossa. Le circa 800 persone (la capienza massima era di 360), si sono ritrovate nuovamente in strada, cercando sistemazioni provvisorie tra ponti e spiagge nei dintorni. Inoltre il campo sarà rimpiazzato con un «centro di identificazione e transito nella zona di confine della provincia di Imperia», come annunciato lo scorso 25 settembre con un comunicato stampa della prefettura di Imperia.
C’è anche l’ostello don Luigi Di Liegro, della Caritas di Roma alla stazione Termini, che ha dovuto sospendere l’attività. «La scorsa settimana sono stati ricoverati cinque ospiti per sospetto Covid e si è attivato, in piena collaborazione con la Asl, un sistema di tracciamento dei contatti, al momento, nella struttura, sono presenti 80 ospiti, 23 sono risultati positivi al tampone», hanno riferito. L’assenza di un polo del genere ingrosserà la fila di persone che cercheranno un posto dove dormire lungo le strade della zona.
Anche nelle coste meridionali del nostro paese la gestione dell’accoglienza ha visto un peggioramento: si era infatti affermata la prassi delle “navi da quarantena” per cercare di arginare il contagio, la quale prevedeva il trasporto coatto dei migranti positivi al Covid-19 su delle navi apposite. L’associazione degli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi) lo scorso 9 ottobre ha definito in un comunicato «illegali e discriminatori i trasferimenti coercitivi sulle navi quarantena». La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha però fatto un passo indietro rispetto a questa prassi lo scorso 15 ottobre, dichiarando che «le navi quarantena le consideriamo una soluzione sbagliata. Ho dato disposizioni affinché non vengano più inviate persone positive sulle navi e che quindi si trovino soluzioni sul territorio». La ministra, tuttavia, ha ribadito che difende quella scelta fatta perché non c’erano alternative.
Una scelta che se da una parte rappresenta il generale ambiente di crisi sanitaria di questo periodo, dall’altra rispecchia un sistema di accoglienza che si basava già sull’emergenza quotidiana. Con l’aumento dei contagi e la possibilità di un secondo lockdown, le emergenze aumenteranno e le situazioni di vulnerabilità peggioreranno.
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