Nino Caianello, arrestato per corruzione, ai pm: «Librandi? Mi pagava per il mio peso politico». Spunta una consulenza da 38mila euro. L’onorevole: «Falso, volevo solo un parere sul mercato dei led». Altra tegola: la Guardia di Finanza ha contestato alla sua azienda mezzo milione di tasse non pagate
- In un interrogatorio ai pm di Milano, l’ex ras di Forza Italia in Lombardia Caianello ha detto che il deputato Gianfranco Librandi gli avrebbe dato una consulenza da 38 mila euro. «Cosa pagava? Il mio peso politico e di relazione»
- Secondo Librandi invece la consulenza erano del tutto lecita: «Caianello era presidente dell’azienda municipalizzata di Gallarate, e noi volevamo conoscere l’evoluzione del mercato del Led»
- Altra tegola: la Guardia di Finanza ha concluso l’ispezione fiscale all’azienda dell’imprenditore: la Tci non avrebbe pagato tasse per circa mezzo milione di euro. L’onorevole: «Già pagato all’erario metà della somma»
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Foto LaPresse - Mourad Balti Touati 25/02/2017 Milano (Ita) - Via Pier Lombardo - Teatro Parenti Cronaca Incontro Obiettivo Italia su lavoro, innovazione ed industria Nella foto: Gianfranco Librandi, organizzatore evento
Gianfranco Librandi, deputato di Italia Viva già celebre per aver donato alla fondazione di Matteo Renzi 800mila euro, torna nuovamente alla ribalta. Domani ha infatti scoperto che il suo nome è citato in un verbale, in merito a vicende che potrebbero portargli qualche grattacapo.
In particolare, quella dell’interrogatorio segreto di Gioacchino Caianiello, l'ex coordinatore di Forza Italia a Varese che – dopo essere stato arrestato oltre un anno – ha svelato ai magistrati di Milano il sistema delle tangenti in regione Lombardia. Caianiello, detto Nino o anche il “Mullah” per il suo enorme potere nella politica regionale, ha raccontato un anno fa di aver ricevuto da Librandi una consulenza da 38 mila euro. «Pagava il mio peso politico, di relazione e di potere di condizionamento degli amministratori pubblici», ha detto Caianiello.
Librandi è un uomo che si è fatto da solo. Aiuto panettiere, poi operaio in fabbrica, oggi è un ricco imprenditore. Self made man come Silvio Berlusconi, di cui è stato estimatore e con cui condivide la passione per la politica, ha finanziato negli anni partiti di destra e sinistra.
Fondatore della Tci Telecomunicazioni Italia, azienda leader nel settore dei Led, da qualche anno Librandi è sceso lui stesso campo: nel 2013 è riuscito ad entrare in Parlamento tra le file di Scelta Civica con Mario Monti e poi – folgorato da Renzi - ha traslocato nel Pd e in Italia Viva. Dal 2008 al 2017 ha distribuito quasi mezzo milione un po’ a tutti i partiti.
Con la fondazione renziana Open ha però battuto ogni record: tra il 2017 e il 2018 ha donato 800 mila euro attraverso la sua Tci. A marzo 2018 Renzi, all'epoca segretario del Pd, lo candidò per una poltrona alla Camera. «Ci sono imprenditori che si comprano la barca o i cavalli, io investo su Matteo», si era giustificato Librandi quando chi scrive aveva dato la notizia dei finanziamenti record alla Open.
Parola di Mullah
Nino Caianiello, ex ras di Forza Italia a Varese, secondo i pm di Milano che lo hanno indagato per corruzione nell'inchiesta “La mensa dei poveri”, era invece al centro di una colossale rete di amicizie e sponde politiche, capace di condizionare appalti, affari, incarichi professionali e candidature politiche. Nell’inchiesta sono rimasti impigliati un centinaio di indagati tra politici (come l'ex europarlamentare Lara Comi) professionisti e manager.
A Caianiello, nell'ottobre del 2019, i pm milanesi chiedono conto della natura suoi rapporti con Librandi (che non risulta indagato). Dalle indagini della Guardia di finanza erano infatti emersi sei pagamenti fatti nel 2015 da Librandi al ras di Forza Italia, per un totale di 38 mila euro.
Caianiello spiega che quei soldi erano il corrispettivo di un contratto di consulenza, che aveva il fine «di promuovere la costituzione di un nuovo soggetto politico, chiamato Unione italiana, di cui avrei dovuto occuparmi sotto il profilo del radicamento territoriale».
Il “Mullah” aggiunge pure che l’attuale deputato renziano aveva «comprato degli immobili a Saronno» per farne sede sia del suo movimento, sia degli «studi televisivi di un nuovo canale chiamato, mi pare, Intelligo Tv». L’operazione poi saltò, perché l’imprenditore «optò per una diversa scelta politica» candidandosi con Monti.
Quando i magistrati segnalano che tutta la spiegazione non è «credibile», ritenendo poco probabile che Librandi avesse pagato 38 mila euro senza aver ricevuto una controprestazione adeguata, il Mullah precisa meglio: «Nel caso della società di Librandi (e in altre consulenze ottenute da altre due aziende lombarde, ndr) al di là del formale contenuto dell’incarico, che serviva soltanto a giustificare formalmente prestazioni di altra natura, il rele oggetto di quello che pagavano era il mio peso politico, di relazione e di potere di condizionamento degli amministratori pubblici».
Caianello sostiene infine di aver conosciuto Librandi tramite Lara Comi, l’ex europarlamentare di Forza Italia, «la quale intermediò a mio favore anche la consulenza che Librandi decise di affidarmi».
Contattato, Librandi sostiene invece di aver pagato il ras azzurro per un altro motivo, del tutto lecito: «Lui era presidente dell’azienda municipalizzata di Gallarate, e noi volevamo conoscere l’evoluzione del mercato del Led».
Il potente politico di Forza Italia era dunque un esperto del settore delle lampadine? «No, ma sicuramente in quel momento ci servivano esperti per valutare la tecnologia migliore e ci proponevamo: lui doveva metterci in contatto con chi decideva per scegliere l’offerta più vantaggiosa».
Dunque secondo la versione di Librandi nella consulenza il peso politico di Caianello non c’entra nulla, «anche perché lui era in Forza Italia, io no. Credo comunque che stiano indagando i magistrati e decideranno loro qual è la verità. E non è nemmeno vero che l’ho conosciuto tramite Lara Comi: ci siamo incontrati nel 2009, e solo dopo l’ho rivisto con la Comi».
Meno tasse per tutti
Il giallo della consulenza si accompagna poi alle risultanze di una verifica fiscale che ha toccato Librandi. La sua Tci è stata infatti oggetto nei mesi scorsi di una ispezione da parte della Guardia di Finanza. Ora è arrivata la contestazione finale: si tratta di circa mezzo milione di euro di tasse non pagate.
«La cifra è quella, però dobbiamo ancora trattare con l’Agenzia delle Entrate. Metà della somma l’abbiamo già bonificata. Evasione fiscale? Ma no: si tratta solo di alcune detrazioni di costi che, per errori contabili formali, sono stati ritenuti non ammissibili».
Librandi si dice sereno, anche se inizialmente non aveva preso bene l’arrivo in azienda dei militari: «Ve ne dovete andare! Non ha capito, io sono onorevole, e sto in Commissione Finanze ha capito? Ora chiamo il prefetto e la faccio sbattere fuori, ve ne dovete andare! Io lavoro, non come voi che non fate un cazzo dalla mattina alla sera, pago le tasse e anche il vostro stipendio», aveva chiosato il deputato secondo i finanzieri, che avevano scritto una dettagliata relazione ai loro superiori.
Oggi il suo umore è assai migliore: mezzo milione di multa, da pagare in comode rate, per un’azienda che fattura 180 milioni di euro l’anno sono cifra più che ammortizzabile.
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