«La decisione dell’acquisto delle smart card ha prodotto un danno per la Regione Campania». Guai in vista per il governatore dem Vincenzo De Luca, condannato in primo grado dalla Corte dei Conti a risarcire 609mila euro all’ente che guida. La sentenza dei giudici contabili è arrivata oggi. Al centro ha la gestione dell’emergenza Covid, attenzionando in particolare la scelta del presidente De Luca di acquistare, all’epoca, le cosiddette smart card che, al pari del Green pass adottato dal governo nazionale, attestava digitalmente l’avvenuta vaccinazione contro il virus.

«Rivendico pienamente e con orgoglio le decisioni assunte a tutela della salute dei miei concittadini, ricordando che la Campania è la Regione che ha avuto il numero più basso di decessi per Covid in relazione alla popolazione. E questo anche grazie al fatto di esserci assunti la responsabilità di decisioni anticipando spesso il governo nazionale. Ovviamente, la sentenza sarà immediatamente impugnata. Non vorrei dover rispondere del reato di efficienza», commenta il governatore subito dopo la notizia della condanna.

“INCOMPETENZA AMMINISTRATIVA”

Ma per i pm Mauro Senatore e Davide Vitale, che hanno condotto le indagini col nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli, non ci sarebbe stata alcuna efficienza. Anzi. I magistrati della Corte dei Conti parlano, in relazione alle smart card, di «inutile doppione» del Green pass. Ma anche di «fuga in avanti». «La Regione Campania – si legge nelle carte giudiziarie – ha sconfinato in ambiti non di sua specifica competenza, andando a impattare su profili di competenza esclusiva appartenenti al legislatore nazionale».

Oggetto di contestazione, dunque, l’aver adottato provvedimenti affetti da «incompetenza amministrativa».

Una scelta, quella di adottare un provvedimento di questo genere, che viene imputata unicamente al presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, che ha «promosso e sostenuto l’iniziativa in qualità di soggetto attuatore». Al contrario per i componenti dell’unità di crisi (Udc) sono state rigettate le richieste della procura generale. Nella sentenza del resto si legge: «Egualmente, deve riconoscersi anche in capo ai convenuti quali componenti dell’Udc un pari concorso nella concreta attuazione di tale iniziativa» ma «in proposito, questo Collegio condivide, come già detto, le obiezioni difensive che sostengono che l’Udc, come struttura particolare ed extra ordinem, organo di supporto consultivo, difettasse di effettivi poteri di amministrazione attiva al riguardo (tanto meno in tema di forniture ed acquisti di beni), che invece spettavano unicamente in capo al soggetto attuatore».

IL DANNO

Le Smart card, attive tre mesi prima dell’arrivo del Green pass, avrebbero inoltre potuto essere bloccate. È quello che sostengono, ancora, i giudici della Corte dei Conti, che parlano, nella sentenza, di «interruzione in ogni momento senza alcun aggravio di spese» delle card previste dal governo regionale. Un blocco delle Smart card, in altre parole, «avrebbe potuto evitare la sicura inutilità della spesa» sostenuta dalla Regione Campania. Ma ciò non venne fatto. Tra l’altro secondo i pm, De Luca era «pienamente a conoscenza dell’introduzione di uno strumento nazionale e sovranazionale come il Green pass che rendeva inutili e dannose» possibili iniziative territoriali. Da qui la condanna per «l’ingente fornitura di beni privi di sostanziale utilità». Ovvero di una card, una Smart card, che, nonostante le «difficoltà e gli inconvenienti che avrebbero caratterizzato la messa a regime del Green pass», viene ritenuta dalla Corte dei Conti meramente «inutile». Un aggettivo più e più volte ribadito nella sentenza che il governatore della Campania ha annunciato di voler impugnare.

La difesa del presidente

«Riteniamo che la sentenza sia basata su una ricostruzione della vicenda non conforme agli esiti dell’istruttoria, basata su una interpretazione a senso unico, non corretta e non condivisibile dei fatti e del ruolo avuto dal Presidente», scrivono gli avvocati Andrea Castaldo e Antonio D’Aloia. «Ribadiamo come la natura e le caratteristiche della smart card fossero, sin dall’origine, chiare e improntate ad una polifunzionalità dei servizi resi ai cittadini campani. Nelle fasi iniziali, di emergenza pandemica, la Regione Campania si è dotata di tale strumento, naturalmente privilegiando la funzione di attestato vaccinale, ben prima delle iniziative parallele adottate dal Governo su base nazionale. Non a caso, la Regione Campania è stata tra quelle più virtuose nel contenimento e nella gestione dell’epidemia, grazie alle politiche sanitarie adottate dal Presidente De Luca. La Corte dei Conti ha riconosciuto indirettamente ciò, dal momento che ha escluso e rigettato la richiesta di condanna della Procura per la prima fase. La condanna del Governatore, sotto il profilo oggettivo, viene ricavata a partire dal 9 giugno 2021, dal momento che i Giudici ritengono che la distribuzione delle smart card fosse divenuta un doppione del Green Pass istituito a livello nazionale. Inoltre, è bene segnalare come il presunto comportamento illecito venga qualificato non come condotta commissiva, ma omissiva, per non aver risolto il contratto con il fornitore. Avevamo tuttavia dimostrato come, da una parte, l’eventuale risoluzione del contratto avrebbe provocato un danno economico superiore a quello ritenuto dall’accusa, ma soprattutto come la smart card rispondeva a quel progetto di fornitura al cittadino di una serie di servizi che richiedevano tempo, molti dei quali oggi pienamente operativi. È questo francamente il punto che lascia piena insoddisfazione, dal momento che non viene considerato come i ritardi nella predisposizione dei servizi e nella distribuzione delle card non dipendessero per nessun verso, come intuitivo, dalla volontà del Presidente, bensì dagli uffici e dalle ASL preposte a detto compito». «Tradotto in parole semplici, il Presidente De Luca non avrebbe interrotto la fornitura delle smart card, risolvendo il contratto, poiché avrebbe intenzionalmente messo in conto di creare un danno alla collettività. Prima ancora che giuridicamente, sfugge il senso logico di un’operazione del genere; vero invece che in quel periodo così drammatico il Presidente ha anteposto la tutela della salute dei cittadini, il bene della collettività, raggiungendo risultati estremamente positivi nel contenimento della pandemia, a ogni interesse di natura privata o a risultati economicamente dannosi».

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