L’accusa che la procura di Genova contesta è quella di aver preso foto dai profili social di alcune studentesse dell’Università di Genova e, utilizzando l’intelligenza artificiale, di aver tolto i vestiti dal corpo delle ragazze. Immagini condivise dal professore associato di Architettura su un gruppo Telegram dove gli utenti scambiavano immagini pornografiche o a sfondo sessuale.

L’esposto che ha dato il via al caso giudiziario è stato presentato il 1° ottobre scorso dal rettore dell’università genovese Federico Delfino, venuto a conoscenza della vicenda – secondo quanto riporta Il Messaggero – dopo una telefonata ricevuta da una delle ragazze coinvolte. Sempre quest’ultima, avrebbe chiamato il rettore dopo aver saputo che era stato fatto circolare anche il suo numero di telefono.

Come riportano i due quotidiani genovesi, dieci giorni dopo la polizia postale si è recata a casa del docente e nel suo ufficio universitario per una perquisizione. L’indagine giudiziaria è ancora agli inizi, ma intanto l’Ateneo ha sospeso dal suo incarico il docente.

Sarebbero almeno sei le studentesse prese di mira dal professore, ma l’analisi dei dispositivi informatici sequestrati all’uomo potrebbe far salire il numero. L’indagine, coordinata dal sostituto procuratore Federico Panichi, vede il professore indagato per il reato di diffamazione a mezzo internet.

Nel gruppo Telegram in cui l’associato dell’università di Genova condivideva le fotografie realizzate con l’intelligenza artificiale, chiuso dalla polizia postale, anche altri membri. Almeno una delle immagini, come riportato da Genova Today, potrebbe ritrarre una delle ragazze coinvolte nella vicenda quando ancora minorenne: se la circostanza dovesse essere confermata, al professore potrebbe essere contestato il reato di detenzione di materiale pedopornografico.

Le domande del collettivo

Il 7 novembre scorso il collettivo Cambiare rotta era in presidio sotto al rettorato dell’università di Genova per chiedere l’apertura di un centro antiviolenza nell’ateneo. L’incontro con la prorettrice non ha però portato a un accordo in questo senso. Per tre giorni quindi alcune militanti del collettivo sono rimaste sedute nell’atrio del rettorato dell’ateneo incatenate alle colonne dell’edificio di via Balbi 5, sostenendo come «non si tratti di casi singoli» e che «il sistema è marcio».

La risposta dell’università è stata chiara: l’ateneo ritiene di aver già fornito agli studenti e alle studentesse gli strumenti per chi ha bisogno di denunciare qualsiasi comportamento inappropriato accaduto all’interno delle mura universitarie. Esistono infatti la Consulente di fiducia, il Comitato per le pari opportunità o il Comitato unico di garanzia.

Le studentesse di Cambiare rotta sono però scettiche e raccontano come la Consulente di fiducia, ad esempio, sia praticamente un indirizzo email a cui si ottiene risposta anche dopo giorni. Se infatti le figure di contrasto alla violenza di genere – o quanto meno dedite all’accoglimento di richieste di aiuto su questo delicato tema – non mancano formalmente all’interno degli atenei, non è la prima volta che alcuni studenti e studentesse ne hanno sottolineato l’inefficacia.

Che cos’è il deep nude

Applicazioni e software simili a quello utilizzato potenzialmente dal professore universitario si trovano dappertutto online. Così come sono di facile reperimento anche intere guide che spiegano all’utente come rimuovere i vestiti da una foto “di una donna” per “creare immagini realistiche deep nude”. Il termine inglese si riferisce a una sottocategoria di deep fake, e riguarda quelle immagini manipolate utilizzando software di intelligenza artificiale con l’intento di rimuovere gli indumenti della persona ritratta.

La grande proliferazione di immagini di questo tipo, molto spesso condivisa sulla piattaforma social russa Telegram, fa pensare che chi le crea e chi le veicola online non conosca appieno le conseguenze legali in cui potrebbe incorrere. O, forse, che il problema riguarda anche la difficoltà di intercettare contenuti di questo tipo e chi li ha effettivamente creati e poi condivisi online.

In ogni caso, la violenza di genere operata in un contesto digitale è ampiamente normata dal legislatore italiano. Il cortocircuito è però evidente. Applicazioni o software di questo tipo non sono di per sé illegali. Possono infatti essere utilizzate in ambiti come l’intrattenimento o nel settore della moda, per creare modelli non reali che indossano vestiti. Secondo quanto dichiara la casa madre di una delle applicazioni più famose, più di 100.000 persone si rivolgono a questo servizio ogni giorno caricando foto e digitando parole come “nudo”, “BDSM” o “sesso”. Tra le impostazioni dell’app, sempre secondo quanto dichiarato dall’azienda, quella più in voga riguarda l’età. Permette di ringiovanire la persona ritratta di cinque anni.

Applicazioni legali, appunto, anche se diverse inchieste giornalistiche e giudiziarie hanno provato l’esistenza di reti di pedofili che attraverso queste immagini condividono materiale pedopornografico. La differenza tra l’era Photoshop e queste app sta nella estrema velocità con la quale è possibile realizzare foto deep nude: un lavoro che prima richiedeva ore di lavoro manuale davanti a un computer e una certa competenza tecnica ora può essere fatto in poco più di 30 secondi e con una efficienza molto maggiore.

Non servono poi decine o centinaia di fotografie per creare un contenuto deep nude. Come nel caso del professore associato indagato dalla procura di Genova, basta raccogliere foto profilo o immagini postate sui social media e il contenuto viene creato in pochi secondi. A giugno di quest’anno in una scuola superiore australiana un adolescente è stato arrestato per aver creato deep nude di circa cinquanta suoi compagni di scuola utilizzando uno strumento basato sull’intelligenza artificiale. Il ragazzo ha poi condiviso le immagini tramite Instagram e Snapchat.

In Australia una legge che punisca la pornografia creata tramite intelligenza artificiale è entrata in vigore nel 2022, ma solo nello stato federale di Victoria. Dopo il caso della scuola superiore il governo federale ha iniziato a discutere in parlamento di una legge nazionale per vietare la creazione e la condivisione di pornografia deep fake senza consenso.

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