Negli ultimi due anni il mondo ha perso quattro democrazie. E il numero di paesi che vanno verso un regime autoritario ha superato quelli verso la democratizzazione
Negli ultimi due anni il mondo ha perso quattro democrazie. E il numero dei paesi che nel 2020 si sono mossi verso l’autoritarismo ha superato il numero di quelli che si muovono verso una direzione democratica. È un’analisi preoccupante quella dell’ultimo rapporto di Idea, l’Istituto internazionale per la democrazia e l’assistenza elettorale, che ha diffuso oggi un documento sullo stato della democrazia a livello globale nell’era della pandemia.
Il Covid-19 ha esacerbato tendenze politiche e sociali negative già in atto. Sono cinque anni che il trend democratico del mondo è in declino, il periodo più lungo dall’inizio della terza ondata di democratizzazioni, nel 1970. «Il report sullo stato della democrazia nel mondo – si legge nel documento – rappresenta una campana d’allarme. L’autoritarismo sta avanzando in ogni angolo della terra, e i pilastri del mondo civile che proteggono i più vulnerabili sono sotto minaccia».
Democrazie in pericolo
In dieci anni il numero di democrazie in pericolo è raddoppiato, secondo l’indice Global State of Democracy (GSoD), e il 2020 è stato l’anno peggiore. Durante la pandemia quasi tutti i paesi del mondo hanno imposto restrizioni alla vita pubblica e sociale, alla libertà di parola e di manifestazione, e molte elezioni previste lo scorso anno sono state posticipate per via delle regole contro gli assembramenti. Nel 45 per cento dei casi queste limitazioni hanno avuto effetti negativi duraturi, che secondo gli autori del rapporto hanno portato a sviluppi preoccupanti.
Ad agosto 2021, data conclusiva del monitoraggio di Idea, il 64 per cento delle nazioni mondiali avevano preso decisioni che vengono definite «sproporzionate, non necessarie, o illegali» per porre un freno alla pandemia. I paesi in cui si è registrato il declino maggiore sono Turchia, Nicaragua, Serbia, Polonia, Brasile, Slovenia, Bolivia, Benin, Ungheria e Mauritius. Tre di questi si trovano all’interno dell’Unione europea. India e Brasile sono sul podio, ma anche Stati Uniti, Polonia, Ungheria e Slovenia hanno subito considerevoli declini.
Il 30 per cento dei paesi in cui la democrazia era prima sotto minaccia sono diventati veri e propri regimi autoritari – Nicaragua, Russia, Turchia, Venezuela – e tra il 2020 e il 2021 quattro nazioni hanno cessato di essere delle democrazie. Si tratta di Costa d’Avorio, Serbia, Mali e Myanmar. Negli ultimi due casi la declassazione a regime autoritario è avvenuta a seguito di un colpo di Stato. Più che due terzi della popolazione mondiale vive oggi sotto regimi autoritari o democrazie il cui stato di salute è in grave pericolo.
Crisi economica e pandemia
La crisi economica e la pandemia hanno inflitto un altro duro colpo ai processi di democratizzazione, che si sono bloccati in diversi paesi: Etiopia, Nagorno-Karabakh, Sudan, Afghanistan e Tunisia sono gli esempi più lampanti. In Etiopia è in corso da più di un anno un conflitto civile tra il governo centrale e i ribelli del fronte del Tigrai, un conflitto complicato dall’entrata in gioco della vicina Eritrea, con la quale l’Etiopia era stata a lungo in guerra nei decenni precedenti.
Il Nagorno-Karabakh, in Armenia, è stato occupato a settembre 2020 dall’Azerbaijan, e anche in questo caso ha ripreso vigore un conflitto che si trascinava da tempo. L’Afghanistan è tornato nelle mani dei talebani lo scorso agosto, dopo un discusso accordo di pace firmato a Doha con gli Stati Uniti, che ha messo fine a vent’anni di occupazione statunitense, ma ha rigettato il paese in una dittatura aggravata da una crisi umanitaria ed economica che ancora deve raggiungere il suo apice.
La Tunisia, considerata per molto tempo l’unico esempio riuscito delle “mancate primavere arabe”, vive ora una crisi economica che si traduce da mesi in proteste di piazza contro il governo. Lo scorso 25 luglio il presidente della Repubblica Kais Saied, ha sospeso i poteri del parlamento e spodestato alcuni membri del governo tra cui il primo ministro Hichem Michichi.
Il Sudan costituisce un caso a sé: un colpo di stato a ottobre 2021 porta alla deposizione e all’arresto del premier, Abdalla Hamdok, e di diversi ministri, instaurando un regime militare. Il 21 novembre, però, il generale Abdel Fattah al-Burhan ha raggiunto un accordo con il primo ministro per il reinsediamento di quest’ultimo.
Infodemia e repressione
Sul lato della libertà d’informazione, il 55 per cento dei paesi durante la pandemia ha emanato leggi (o usato norme già esistenti) volte a restringere la libertà d’espressione, spesso giustificandole come necessarie per combattere la “infodemia” sulla quale la stessa Organizzazione mondiale della sanità ha espresso preoccupazioni.
In molti paesi – Bielorussia, Egitto, Papua Nuova Guinea, Turchia e Venezuela – sono stati registrati attacchi contro scienziati, lavoratori sanitari, attivisti, politici d’opposizione e giornalisti.
A queste persone veniva attribuita la colpa di porsi come divulgatori di dati, ricerche e informazioni sulla pandemia. Uno degli esempi più lampanti è Hong Kong, dove la legge sulla sicurezza che ha colpito attivisti e dissidenti è entrata in vigore proprio nel 2020 – quando il governo pro-Cina ha approfittato del momento di restrizioni alle manifestazioni imposto dal Covid-19 – e già diverse persone sono state arrestate in nome della legge.
Gli esempi positivi: elezioni telematiche e le proteste
Molte democrazie hanno però resistito nonostante la crisi sanitaria ed economica. In diversi casi, ad esempio negli Stati Uniti, i paesi hanno risposto all’impossibilità di recarsi ai seggi per le elezioni mettendo in pratica modalità di voto diverse: early vote, voto telematico o via posta. Anche l’attivismo non si è fermato: proteste e manifestazioni sono continuate, nell’80 per cento dei paesi, nonostante le restrizioni: Bielorussia, Russia, Tunisia, ma anche Stati Uniti con le proteste del movimento Black Lives Matter, e le mobilitazioni globali contro il climate change.
Dopo l’analisi, le proposte
Alla fine del rapporto, Idea propone un’agenda di tre punti per le democrazie:
1) Deliver, sviluppare. Sviluppare un nuovo contratto sociale, come è avvenuto per esempio in Cile, dove le proteste hanno portato alla riscrittura della Costituzione che era in vigore dal tempo del regime di Pinochet.
2) Rebuild, ricostruire. Portare le istituzioni esistenti nel ventunesimo secolo, per esempio attraverso l’incremento di assemblee cittadine, dando alle persone modo di incidere di più sui processi decisionali democratici.
3) Prevent, prevenire. Prevenire l’avvento di regimi autoritari e deterioramento di democrazie attraverso l’educazione, il supporto della società civile e dei media.
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