I pm di Milano sequestrano il telefono dell’ex manager (accusatore e imputato) Vincenzo Armanna che dovrebbero rivelare se sono fondate le rivelazioni sulle minacce ricevute dall’azienda per non parlare nei processi
- La guerra aperta tra Armanna e Descalzi va avanti da molti anni, e ha raggiunto il culmine proprio durante il processo Eni Shell – Nigeria per corruzione internazionale, che li vede tutti e due imputati e dove Armanna ha deciso di deporre.
- I testimoni chiave di Armanna, sia italiani sia nigeriani, all'ultimo momento non hanno però supportato la sua versione ridimensionando le sue accuse. Ci sono state interferenze?
- In attesa di comprendere meglio cosa stia succedendo, è arrivata sul tavolo del procuratore aggiunto Laura Pedio un'altra denuncia di Armanna, che accusa i Descalzi, Granata e altri dirigenti Eni in carica.
Il numero uno dell'Eni, l’amministratore delegato Claudio Descalzi è entrato ufficialmente nell'indagine della procura di Milano che vuol far luce sul presunto complotto ai danni di alcuni pubblici ministeri, guidati da Fabio De Pasquale, che hanno indagato per corruzione in Nigeria e Algeria manager della società petrolifera.
Il coinvolgimento di Descalzi con la qualifica di «indagato» si legge nel decreto firmato dai pm Laura Pedio e Paolo Storari con il quale la Guardia di Finanza ha acquisito lo smartphone di Vincenzo Armanna, l'ex dirigente della società licenziato nel 2013 dopo un lungo trascorso professionale tra Congo e Nigeria a stretto contatto proprio con Descalzi.
Le accuse da verificare
I due magistrati hanno prelevato lo scorso 5 novembre il suo cellulare per trovare i riscontri a un articolo del Fatto Quotidiano dove si dava conto dell'esistenza di chat nelle quali il numero due di Eni Claudio Granata avrebbe minacciato Armanna, nel 2013, consigliandolo di non fare mosse azzardate dopo la sua espulsione dalla società.
Secondo la ricostruzione del Fatto, Granata avrebbe cercato di fare capire ad Armanna e che sarebbe stato pericoloso vendicarsi per quel allontanamento raccontando ai magistrati qualcosa che potesse essere rilevante per le loro indagini sulla società. In particolar modo su quelle nei Paesi africani nei quali Eni aveva grossi interessi economici. Ammesso che, ovviamente, ci fosse qualcosa di penalmente rilevante da raccontare.
Granata ha detto quelle cose? E parlava a nome di Descalzi? In questo momento non è possibile saperlo, perché non si conoscono che pochi dettagli di queste chat. Ma la presenza di Descalzi, insieme a Granata e ad Armanna come «indagati» in questo procedimento di «accertamento tecnico non ripetibile» sul contenuto del telefono di Armanna lascia presupporre che qualcosa di rilevante possa spuntare fuori anche a carico del numero uno della società. Qualcosa del quale il numero uno debba poi doversi difendere, per questo sono stati coinvolti i suoi avvocati già in questa fase.
Lo scontro Armanna - Descalzi
La guerra aperta tra Armanna e Descalzi va avanti da molti anni, e ha raggiunto il culmine proprio durante il processo Eni Shell – Nigeria per corruzione internazionale, che li vede tutti e due imputati e dove Armanna ha deciso di deporre ricostruendo il percorso per l'acquisizione del campo petrolifero Opl 245 tra il 2010 e il 2011, acquisito secondo i magistrati solo grazie a una tangente da 1,09 miliardi di dollari versata dalle due major del settore oil. Una versione, la sua, che supporterebbe le accuse di corruzione dei magistrati inquirenti, seppur con qualche lacuna.
I testimoni chiave di Armanna, sia italiani sia nigeriani, all'ultimo momento non hanno però supportato la sua versione ridimensionando le sue accuse. Ci sono state interferenze? Anche questo andrà compreso, così come l'inchiesta di Pedio e Storari sta cercando di capire si ci sia stato effettivamente un depistaggio per impedire di far arrivare nelle aule di tribunale questi procedimenti.
Una trama ordita da Granata, indagato, e dall'avvocato ed ex consulente Eni, Piero Amara, finito anche in carcere a febbraio del 2020 per corruzione in atti giudiziari legati a sentenze pilotate del Consiglio di Stato e al cosiddetto "sistema Siracusa”. L'inchiesta, peraltro, in questi mesi si sarebbe allargata molto e sono tante le persone che sono state ascoltate, senza che siano emersi fatti specifici.
Si è saputo, ad esempio, che ha lambito anche Denis Verdini, il politico di Forza Italia recentemente arrestato.
La versione dell’azienda
Eni minimizzato la questione Descalzi. Secondo la società, il suo vertice è semplicemente il destinatario di un avviso di garanzia ad hoc che consenta al manager di poter assistere legittimamente a questa operazione tramite i suoi difensori. In altri termini sarebbe stata la soluzione tecnica prevista dalle norme per poterlo far entrare nell'accertamento. Questo è quello che si può capire anche leggendo il decreto, che rimanda all'articolo 360 del codice di procedura penale che disciplina questa operazione. Ma questo articolo spiega che si può essere convocati anche come «parti offese» in casi come questo. Ma, evidentemente, non c'erano i termini per far passare Armanna come un semplice delatore verso i due alti manager del Cane a sei zampe.
In attesa di comprendere meglio cosa stia succedendo, è arrivata sul tavolo del procuratore aggiunto Laura Pedio un'altra denuncia di Armanna, che accusa i Descalzi, Granata e altri dirigenti Eni in carica attualmente di intralcio alla giustizia, frode processuale e tentata estorsione.
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