Un quarto testimone conferma la versione di Tadini secondo cui fosse lui ad aver ordinato di inserire i forchettoni alla cabina. Una decisione che sarebbe stata avallata dai vertici che invece negano tutto. Uno di loro, Enrico Perocchio, ha parlato in un’intervista a La Stampa: «Questa è una tragedia immane. La terrò sempre nel cuore»
C’è un quarto testimone nelle indagini per l’incidente alla funivia Stresa-Mottarone che ha ucciso 14 persone lo scorso 23 maggio. È Fabrizio Coppi, un operatore dell’impianto che avrebbe confermato la versione del caposervizio Gabriele Tadini, fermato insieme al gestore Luigi Nerini e al direttore dell’esercizio Enrico Perocchio.
Coppi è stato sentito due volte dagli inquirenti e ha confermato che il suo superiore, appunto Gabriele Tadini, gli ha ordinato di inserire i forchettoni alla cabina già da un mese. Venivano inseriti per evitare anomalie e disservizi all’impianto, ma secondo la procura di Verbania sarebbero stati la causa che avrebbero impedito alla cabina di agganciarsi a una seconda fune e attivare i freni di emergenza in caso di incidente.
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Secondo gli esperti e i tecnici è stata una scelta scellerata quella di lasciare inseriti i forchettoni. Negli interrogatori Coppi ricorda di aver chiesto a Tadini se ne fosse sicuro della decisione: «Lui mi rispose: “Prima che si rompa un cavo traente o una testa fusa, ce ne vuole”. Ricordo bene queste parole. Non ho replicato anche perché è lui il responsabile». Coppi conferma anche che «la decisione era stata condivisa e avallata da loro», riferendosi a Nerini e Perocchio che invece hanno negato di essere a conoscenza dell’inserimento dei forchettoni alla cabina. «Ho udito più volte Tadini discutere animatamente al telefono con Perocchio e Nerini poiché questi ultimi due erano contrari alla chiusura dell’impianto, nonostante la volontà di Tadini di fermarlo. Dopo alcune telefonate l’ho visto molto turbato e demoralizzato» racconta Coppi. L’operatore aggiunge anche che «con la stagione appena ricominciata dopo il Covid una chiusura sarebbe stata una catastrofe. Tadini aveva ricevuto talvolta il permesso di fermarsi, ma quando c’era brutto tempo».
L’intervista a Perocchio
«No, io non sapevo dei forchettoni. Se avessi saputo non avrei avallato quella scelta. Lavoro negli impianti a fune da ventuno anni e so che quelle sono cose da non fare mai, per nessuna ragione al mondo». A parlare è Enrico Perocchio il direttore di esercizio della funivia del Mottarone in un’intervista rilasciata a La Stampa. Spettava a lui decidere sui problemi tecnici e capire quando intervenire. Perocchio afferma che «tutte le manutenzioni sono state fatte, era tutto a posto». Racconta che non era a conoscenza dell’uso dei forchettoni: «Se mi fosse caduto l’occhio sui forchettoni, colorati di rosso proprio per iniziativa mia, che li volevo ben visibili, li avrei fatti togliere immediatamente. Insomma è stato un errore mettere i forchettoni per ovviare a un problema che si poteva o risolvere. Bastava chiudere l’esercizio uno o due giorni, basta bloccare la funivia e si risolveva il problema. Questo è un periodo di bassa stagione». Il ricordo di domenica scorsa è ancora vivo: «Ero a casa e sono partito subito per il posto dell’incidente. Io pensavo ci fossero da organizzare soccorsi, nessuno mi aveva detto cosa era accaduto. Quando me lo hanno spiegato mi sono sentito morire. “Non è possibile”, pensavo. Se avessi saputo che venivano adoperati i blocchi dei freni, i cosiddetti forchettoni, avrei fermato immediatamente l’impianto. Scoprire questo adesso è un enorme macigno sullo stomaco». Perocchio conclude l’intervista raccontando di essere distrutto per l’incidente: «Ricorderò quella giornata di domenica per tutta la vita. Io sto male per niente, se figuriamoci come sto adesso sapendo che sono morte quattordici persone. Questa è una tragedia immane. La terrò sempre nel cuore. È impossibile dimenticarla. E purtroppo io non posso fare nulla»
La scarcerazione
Dopo 90 ore passate nel carcere di Stresa, sabato sera il gip ha deciso di accogliere le richieste dei legali degli indagati e ha disposto la scarcerazione di Nerini e Perocchio, e gli arresti domiciliari nei confronti di Tadini. Il giudice per le indagini preliminari Donatella Banci Buonamici ha smontato l’impianto accusatorio delle procura di Verbania e ha affermato che «non esistono indizi sufficienti sui vertici aziendali», inoltre, non sussistono pericoli di fuga o di inquinamento delle prove. Da qui la decisione della scarcerazione. Ma la procuratrice di Verbania Olimpia Bossi che coordina le indagini non si da per vinta ed è pronta ad ascoltare altri testimoni come Coppi che ora potrebbero cambiare la direzione delle indagini.
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