Così i trafficanti di droga romani utilizzavano alcuni bar e attività commerciali in zona Termini-Esquilino per ripulire denaro, anche attraverso “spalloni” che viaggiavano via aereo. Così i soldi sporchi finivano nella repubblica popolare, inaccessibile agli inquirenti. L’operazione della Guardia di Finanza
C’è una banca senza dipendenti, senza sedi ufficiali, senza sportelli bancomat, ma che funziona benissimo. Uno dei centri operativi è nel quartiere Esquilino a Roma, offre un servizio molto ricercato: il trasferimento di denaro immediato in tutto il mondo e il riciclaggio di soldi sporchi. È la banca fantasma cinese, una delle articolazioni è stata scoperta e bloccata da un’operazione della distrettuale antimafia di Roma, condotta dalla guardia di Finanza. In tutto gli indagati sono quaranta tra cittadini italiani e cinesi, per 19 sono scattate le misure cautelari, i reati contestati sono, a vario titolo, l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, il riciclaggio, l’estorsione, l’autoriciclaggio e la detenzione abusiva di armi.
Ci sono tre strutture criminali che si intrecciano, le prime due sono rette da tre trafficanti di droga, Antonio Gala, Fabrizio Capogna e Federico Latina, la terza banda è, invece, dedita al riciclaggio. Quest’ultima è composta da cittadini cinesi che, dietro le attività di import-export di prodotti, raccoglievano e trasferivano milioni di euro di provenienza illecita. In pratica i trafficanti di droga utilizzavano alcuni bar e attività commerciali in zona Termini-Esquilino come agenzia di servizi, lì cittadini cinesi complici si occupavano di ripulire denaro mandandolo in Cina via aereo, tramite spalloni sempre disponibili, oppure movimentavano soldi in tutto il mondo tramite un meccanismo chiamato “Fei Ch’ien” (letteralmente “denaro volante”), consistente nel virtuale trasferimento del denaro all’estero.
«Nei fatti, il denaro depositato presso il broker cinese non lasciava fisicamente il Paese di partenza, venendone invece trasferito il solo “valore nominale” alla controparte/broker presente nel Paese estero. La successiva compensazione poteva avvenire con modalità diverse quali, tra le altre, il ricorso a corrieri di valuta, bonifici “diretti” di importo frazionato (al fine di aggirare i vincoli antiriciclaggio) ovvero a mezzo di trasferimenti di denaro sulla base di operazioni commerciali fittizie», spiega in una nota la guardia di Finanza.
Tutta l’indagine inizia da un’intercettazione inequivocabile presente nell’ordinanza di custodia cautelare, firmata dalla giudice, Annalisa Marzano. «Devi andare a fare subito il cinese (...) Non ti devi fa nemmeno la doccia», si dicevano al telefono. In via Turati, nei pressi della stazione Termini, l’affiliato al gruppo criminale trovava così un negozio dove depositare i 50 mila euro per ripulirli. Un servizio nel cuore di Roma a disposizione dei criminali della città, con una rete di cinesi in tutto il mondo per il trasferimento di denaro e conti corrente nella repubblica popolare, territorio che risulta agli inquirenti completamente inaccessibile. Così i finanzieri hanno potuto mettere le mani sui contanti in partenza, sequestrati all’aeroporto di Fiumicino, ma non sulle centrali di riciclaggio nel paese d’origine degli spalloni. Solo una parte dei soldi trasferiti è stata sequestrata, quasi dieci milioni di euro, il resto è stata abilmente occultata e arrivata a destinazione, circa 50 milioni di euro.
Una quantità di soldi senza fine, tanto che uno dei sodali, Simone Capogna, arriva a dire: «Abbiamo fatto sta settimana un milione due e cinquanta (...) faccio il trafficante mica lo spacciatore», diceva. Un traffico di droga, hashish e cocaina, proveniente dalla Spagna e diretto in Italia dove venivano rifornite alcune piazze di spaccio romane. La banda era guidata da Fabrizio Capogna che riusciva a impartire ordini anche dal carcere con tanto di cellulare criptato. Capogna è noto alle cronache per il suo metodo di ‘lavoro’ e per la prolungata latitanza all’estero. I narcotrafficanti rifornivano di droga la capitale e non solo e, quando qualcuno non pagava, scattavano le intimidazioni.
«Chiama sto cazzo di Vincenzo e vai a prendermi le chiavi del Porche ora vi ammazzo», diceva Capogna. Restano ancora da identificare decine di soggetti legati alle tre bande criminali del traffico, dello spaccio e del riciclaggio. Un’ inchiesta che svela la diffusione di lavatrici a disposizione dei clan e che conferma le parole del procuratore capo di Roma, Franco Lo Voi. «La situazione riguardante il traffico degli stupefacenti se non è totalmente fuori controllo poco ci manca, nonostante l'impegno, nonostante le operazioni, le indagini, gli arresti e le condanne che si susseguono, la situazione riguardante il traffico degli stupefacenti è veramente preoccupante. È preoccupante per la semplice ragione che l'offerta, che è enorme, risponde a un'enorme domanda», ha detto il magistrato, qualche settimana fa, ascoltato dalla commissione bicamerale d’inchiesta sulle mafie. L’indagine ha dovuto superare un ostacolo di accesso alle informazioni per l’utilizzo di criptofonini, decriptati con l’ausilio anche delle autorità straniere, ma anche per le continue bonifiche alle quali i sodali sottoponevano autovetture o locali frequentati.
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