- Per i giudici del tribunale di Locri che hanno condannato a 13 anni e 2 mesi l’ex sindaco di Riace oltre alle buone intenzioni nel suo progetto di accoglienza dei migranti c’era anche il «bieco calcolo politico».
- I suoi collaboratori che gli avrebbero portato pacchetti di voti per i giudici si sono mossi «nel cerchio rassicurante della sua protezione associativa, per poter conseguire illeciti profitti, attraverso i sofisticati meccanismi».
- La conferma che lui da questo giro non si sia arricchito però arriva dalle stesse carte: «Nulla importa che l’ex sindaco di Riace sia stato trovato senza un euro in tasca», spiegano, «ove ci si fermasse a valutare questa condizione di mera apparenza, si rischierebbe di premiare la sua furbizia, travestita da falsa innocenza».
Le motivazioni della condanna di primo grado dell’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano a 13 anni e due mesi sono un documento lungo oltre 900 pagine in cui a sorpresa il Tribunale di Locri presieduto dal giudice Fulvio Accurso conferma la bontà del sistema di accoglienza ai migranti di Lucano: «È senz’altro emersa una pura passione» per quel «mondo nuovo che lui ha saputo creare» e che i giudici stessi accostano all’utopia della Città del Sole di Tommaso Campanella, un luogo dove vigono felicità e armonia.
Il processo però, specifica il documento che Domani ha potuto leggere, si occupa di tutt’altro: «Il processo si fonda su vicende appropriative che lui ha solo in parte sfiorato». Lucano infatti ha reso testimonianza spontanea in due occasioni nel 2019 raccontando ai giudici il suo progetto di accoglienza.
Lucano lo scorso 30 settembre è stato considerato colpevole di illeciti in relazione ai progetti di accoglienza agli immigrati, ma non solo. Nell'ambito di questo processo risultano contestate molte ipotesi delittuose, c’è pure il mancato pagamento dei diritti Siae per i festival estivi, o illeciti negli affidamenti nella raccolta dei rifiuti e della pulizia delle spiagge, fino alla mancata riscossione dei diritti di segreteria dell'Ufficio anagrafe del Comune o il rilascio del falso certificato di stato civile alla propria compagna. Crimini che hanno portato il tribunale a raddoppiare la pena chiesta dal pubblico ministero, 7 anni e 11 mesi di carcere.
I fini privati
Secondo il tribunale emerge che abbia acquistato per «un ritorno di immagine» «tre case destinate al turismo dell’accoglienza» e «un frantoio» – tutto intestato all'associazione Città Futura . A questo si aggiunge che Lucano avrebbe disposto di «migliaia di euro» per favorire la sua compagna, Lemlem Tesfahun, che ha vissuto «in una casa riccamente arredata» con i fondi dello Sprar «in piena dissonanza con le suppellettili modeste e usurate che venivano invece destinate ai migranti».
Mentre Rosario Zurzolo, legato alla gestione Eurocoop di Camini, che si occupa di inserimento lavorativo per persone svantaggiate, avrebbe versato mensilmente l’affitto a sua figlia a Roma «per motivi opachi».
L’associazione Città futura, si legge ancora, che l’ex sindaco aveva contribuito a costituire, riceveva contributi dalle isole Cayman, definite «noti paradisi fiscali», con «importi mensili che si aggirano tra le 700 e 800 euro». Lucano ha ribadito che si trattava di donazioni.
Secondo il tribunale il vero fine però era politico. L’ex sindaco «aveva tollerato che i suoi più stretti collaboratori avessero posto in essere numerosi reati di cui egli era a conoscenza» per «bieco calcolo politico»: «Dal momento che ciascuno di loro era portatore di un cospicuo pacchetto di voti, a cui lui non aveva inteso rinunciare, per come sarà dimostrato a tempo debito dalla lettura delle sue stesse parole, che si traggono dalle numerose conversazioni presenti in atti».
Su questo per i giudici Lucano avrebbe opposto «ostinati silenzi, che potranno essere riempiti solo dall'eco delle loro stesse parole» che avrebbe portato a «un mondo privo di idealità, soggiogato da calcoli politici, dalla sete di potere e da una diffusa avidità».
Lo schema così costruito sarebbe stato «tutt'altro che rudimentale». La cerchia attorno a Lucano «rispettava regole precise a cui tutti si assoggettavano, permeata dal ruolo centrale, trainante e carismatico di Lucano il quale consentiva ai partecipi da lui prescelti di entrare nel cerchio rassicurante della sua protezione associativa, per poter conseguire illeciti profitti, attraverso i sofisticati meccanismi, collaudati negli anni e che ciascuno eseguiva fornendogli in cambio sostegno elettorale».
Neanche un euro
Il tribunale ammette che da una parte Riace era diventato «giustamente un modello e un simbolo di integrazione per tutto il mondo» ma per i giudici quello che guidava questo disegno era «sfrenata sete di visibilità politica da parte del Lucano medesimo - risultato essere il vero e proprio deus ex machina di quel sistema sotterraneo e perverso».
La conferma che lui da questo giro non si sia arricchito però arriva dalle stesse carte: «Nulla importa che l’ex sindaco di Riace sia stato trovato senza un euro in tasca - come orgogliosamente egli stesso si è vantato di sostenere a più riprese - perché ove ci si fermasse a valutare questa condizione di mera apparenza, si rischierebbe di premiare la sua furbizia, travestita da falsa innocenza, ignorando però l’esistenza di un quadro probatorio di elevata conducenza, che ha restituito al Collegio un’immagine ben diversa da quella che egli ha cercato di accreditare all’esterno», ha scritto il presidente del Tribunale, Accurso.
Il modello Riace, ha scritto Enrico Fierro su queste pagine, ha rivitalizzato un paese spopolato dall’emigrazione, spalancato le porte di case abbandonate da decenni e fatto rivivere il borgo antico, ha riaperto scuola e asili, riportato la vita nei vicoli, consentito a piccole economie di reggere. Ma per i crimini commessi, per i giudici Lucano merita la pena.
© Riproduzione riservata